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A scuola da Tommaso
Forse
i cristiani non si ricordano di tutti i particolari della
resurrezione del Signore, ma anche i più digiuni e neutrali sanno
che uno dei discepoli ha detto che, se non vedeva il segno dei chiodi
e non metteva la sua mano nel costato del Signore, non credeva. Di
fatto il nome di Tommaso, insieme con quel di Giuda, tutti lo
conoscono, e la maggioranza restano edificati della sua prudenza,
invece di restare mortificati dalla sua diffidenza. E così è nato
il proverbio: "io sono come San Tommaso: se non vedo, non
credo". Il vangelo riporta anche il soprannome di questo
discepolo: "Dìdimos", che si può tradurre come "gemello"
o anche come "doppio", nel senso di falso e instabile. In
tutti e due i sensi può benissimo essere considerato "gemello"
di ognuno di noi, così prudenti dove si dovrebbe credere e così
avventati dove sarebbe bene essere più prudenti.
Mi
sono domandato più volte, soprattutto davanti a tante manifestazioni
di credulità immotivata e di incredulità preconcetta, se dobbiamo
prendere l'esempio dal primo Tommaso nel chiedere la prova o se
invece è più cristiano ripetere col secondo Tommaso: "Signore
mio e Dio mio" (Gn 20,29). E' il rapporto dialettico e
conflittuale fra le esigenze sacrosante della ragione e quelle non
meno sante della fede. La ragione domanda prove e non può chiudere
gli occhi, ma la fede non può fondarsi sulle prove, anche se per
principio non deve fondarsi sull'assurdità.
D'altra
canto tanto la ragione che la fede provengono da Dio, che si onora
sia aprendo gli occhi e cercando le cause che chiudendo gli occhi e
accettando il mistero. Direi che servono entrambi gli atteggiamenti.
Basta adoperarli nel posto giusto. perciò nelle cose umane non si
deve chiudere gli occhi ma si deve cercare il più a fondo possibile
per avere il massimo di obbiettività e di chiarezza. In comune, in
parlamento, in tribunale, nelle banche, nella vita sociale non devono
esserci misteri e non si deve pretendere un atto di fede e tanto meno
di adorazione. Si deve vedere, prima di credere. E vedere anche dove
non si vorrebbe o non vorremmo. Vedere e tastare.
Invece
nelle questioni di fede, dove la ragione non può provare e una prova
materiale non direbbe proprio niente, si deve avere l'intelligenza di
chiudere gli occhi e adorare. perché il reale è più vasto del
razionale e la ragione non riesce a vedere tutto e tanto meno a
spiegare tutto.
Direi
che la fede è un dono da adoperare anche nelle robe di questo mondo,
per vederle nella loro completezza e soprattutto per andare più in
là o in alto del semplice dato razionale, che può essere
insignificante, freddo e angosciante. Con gli occhi del corpo vedo
una persona, un fatto, un caso, un puntino. Con gli occhi della fede,
questa persona prende il volto di Cristo, questo fatto entra in una
storia più grande, questo puntino trova il suo posto nel disegno di
Dio, dove anche il nero e il negativo e l'inspiegabile o
l'inevitabile trovano una loro giustificazione e positività. Solo
con gli occhi della fede posso vedere la mano e l'opera di Dio e solo
vedendo la mano e l'opera di Dio posso vedere nella dimensione più
vera e globale.
Ma
ci sono però momenti dove non si riesce a vedere proprio niente,
perché la notte è troppo fonda e le tenebre troppo disperanti. E'
soprattutto in quel momento che l'occhio della fede riesce a guardare
nel buio, come i gatti, e a trovare l'orma e la strada di Dio anche
nel garbuglio più annodato. E in quella volta solo uno che crede
vedrà. Abbiamo peraltro la conferma della storia: solo quelli che
hanno creduto in qualcosa di grande, sono riusciti a vederlo.
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