domenica 20 aprile 2014

16 A scuola da Tommaso

16 A scuola da Tommaso
Forse i cristiani non si ricordano di tutti i particolari della resurrezione del Signore, ma anche i più digiuni e neutrali sanno che uno dei discepoli ha detto che, se non vedeva il segno dei chiodi e non metteva la sua mano nel costato del Signore, non credeva. Di fatto il nome di Tommaso, insieme con quel di Giuda, tutti lo conoscono, e la maggioranza restano edificati della sua prudenza, invece di restare mortificati dalla sua diffidenza. E così è nato il proverbio: "io sono come San Tommaso: se non vedo, non credo". Il vangelo riporta anche il soprannome di questo discepolo: "Dìdimos", che si può tradurre come "gemello" o anche come "doppio", nel senso di falso e instabile. In tutti e due i sensi può benissimo essere considerato "gemello" di ognuno di noi, così prudenti dove si dovrebbe credere e così avventati dove sarebbe bene essere più prudenti.
Mi sono domandato più volte, soprattutto davanti a tante manifestazioni di credulità immotivata e di incredulità preconcetta, se dobbiamo prendere l'esempio dal primo Tommaso nel chiedere la prova o se invece è più cristiano ripetere col secondo Tommaso: "Signore mio e Dio mio" (Gn 20,29). E' il rapporto dialettico e conflittuale fra le esigenze sacrosante della ragione e quelle non meno sante della fede. La ragione domanda prove e non può chiudere gli occhi, ma la fede non può fondarsi sulle prove, anche se per principio non deve fondarsi sull'assurdità.
D'altra canto tanto la ragione che la fede provengono da Dio, che si onora sia aprendo gli occhi e cercando le cause che chiudendo gli occhi e accettando il mistero. Direi che servono entrambi gli atteggiamenti. Basta adoperarli nel posto giusto. perciò nelle cose umane non si deve chiudere gli occhi ma si deve cercare il più a fondo possibile per avere il massimo di obbiettività e di chiarezza. In comune, in parlamento, in tribunale, nelle banche, nella vita sociale non devono esserci misteri e non si deve pretendere un atto di fede e tanto meno di adorazione. Si deve vedere, prima di credere. E vedere anche dove non si vorrebbe o non vorremmo. Vedere e tastare.
Invece nelle questioni di fede, dove la ragione non può provare e una prova materiale non direbbe proprio niente, si deve avere l'intelligenza di chiudere gli occhi e adorare. perché il reale è più vasto del razionale e la ragione non riesce a vedere tutto e tanto meno a spiegare tutto.
Direi che la fede è un dono da adoperare anche nelle robe di questo mondo, per vederle nella loro completezza e soprattutto per andare più in là o in alto del semplice dato razionale, che può essere insignificante, freddo e angosciante. Con gli occhi del corpo vedo una persona, un fatto, un caso, un puntino. Con gli occhi della fede, questa persona prende il volto di Cristo, questo fatto entra in una storia più grande, questo puntino trova il suo posto nel disegno di Dio, dove anche il nero e il negativo e l'inspiegabile o l'inevitabile trovano una loro giustificazione e positività. Solo con gli occhi della fede posso vedere la mano e l'opera di Dio e solo vedendo la mano e l'opera di Dio posso vedere nella dimensione più vera e globale.
Ma ci sono però momenti dove non si riesce a vedere proprio niente, perché la notte è troppo fonda e le tenebre troppo disperanti. E' soprattutto in quel momento che l'occhio della fede riesce a guardare nel buio, come i gatti, e a trovare l'orma e la strada di Dio anche nel garbuglio più annodato. E in quella volta solo uno che crede vedrà. Abbiamo peraltro la conferma della storia: solo quelli che hanno creduto in qualcosa di grande, sono riusciti a vederlo.

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