martedì 26 marzo 2013

02 Mandi, Maria



02 Mandi, Maria
Alla lista, già lunga, degli amici che, con la loro barchetta,  hanno attraversato il mare della vita, quest'anno mi tocca  aggiungere, fresco, il nome di Maria, moglie del mio medico Enzo, e sorella di Silvano. La provvidenza ha voluto che spartissi con loro questi undici anni di speranze e di delusioni, di salustris e di notte fonda. Undici anni che però non sono stati buttati via, perché sono serviti a rafforzare la condivisione e la conoscenza profonda, realizzando la parola del Signore: “diventano una carne sola” (Gen 2, 24). E si sa che nessun cemento è più forte di un amore dolorante. più forte del fuoco, dell’acqua e della morte stessa.
Sono 25 anni che Enzo, con affetto, pazienza e competenza, si prende cura della mio corpo magagnato. Mi piacerebbe, come prete, potere restituire il piacere che lui mi ha fatto cercando di sollevare il suo cuore ferito, di alleggerire il carico pesante che gli schiaccia le spalle, di accendere un lumicino che gli permetta di non restare al buio in questo momento di solitudine interiore ed esteriore. Ma forse è più saggio e produttivo mettersi nelle mani misteriose e paterne di quel Dio che è medico e medicina delle nostri anime.
In questi anni così lunghi, anche se sono volati via, ci si siamo interrogati tante volte sul perché del vivere e del combattere, sullo scandalo del dolore e della morte. Si girava in giro in giro come il topo gira dentro alla trappola, senza trovare una via di uscita. Perché non ci sono vie d'uscita. Bisogna fare una scelta. O accettare la crudeltà e la nudità della ragione o fare il salto della fede. Che non nega il razionale, ma lo aiuta, lo accompagna, lo completa. Permettendo al uomo di non restare del tutto al buio.
Quando il medico è anche uomo, vive un conflitto tremendo tra ciò  che vedrà l'occhio esperto e ciò  che grida il cuore sensibile. Soprattutto può provare un senso di frustrazione, di sconfitta. Cosa vale il suo lavoro, la sua fatica, se non riesce a guarire la gente, Partendo dalle persone più care? La risposta è nel fatto che il medico non è padrone della vita, come il prete non è padrone della religione, come il maestro non è padrone della scienza, come il genitore non è padrone dei figli, ma solo servitore. Lui può curare fino dove può, e fare bene, ma solo Dio salva, perché noi possiamo conoscere, se riusciamo, i meccanismi della vita, ma la risposta sul perché della vita è più grande e profonda. Davanti al mistero della vita faremmo bene a fermarci in contemplazione, come Mosè davanti al roveto.
Maria ha vissuto la sua malattia con grande lucidità e serenità e anche questa è una grazia di Dio. Non ha mai perduto la speranza ma non si è mai fatta illusioni. Nelle telefonate che si facevano si parlava di tutto, con grande franchezza, senza dover recitare nessuna farsa. Ed era fatta bene interiormente. Ed era forte. E aveva tempo di pensare anche per gli altri, come per quella famiglia cingalese che ha raccomandato fino nell'ultimo.
Di lei, voglio ricordare, tra i tanti, due momenti. L’anno scorso ha voluto farmi la sorpresa di venire a trovarmi in dialisi vestita in maschera. Non volevo e non potevo credere. “Forse è l’ultima volta” mi ha detto ridendo. Questo anno, il 3 di luglio, una sorpresa ancora più bella. Stavo ricordando i 40 anni di anniversario della mia prima messa e lei ha voluto essere presente. La vedo ancora nei banchi, col suo capino con poca piuma come gli uccellini di nido. Ma se i capelli erano spariti, le ali dell'anima si erano rafforzate e si stava preparando al grande volo. Mandi, Maria! Ti raccomandiamo a Dio e ci raccomandiamo a te.