mercoledì 28 novembre 2012

48 Occhi che trasfigurano

48 Occhi che trasfigurano
Non ho alcuna paura a confessare la mia ignoranza o, se preferite, la mia ingenuità. Mi hanno sempre spiegato, da bambino in sù, che il Signore può tutto e così, per una vita intera, ho accettato e spiegato il miracolo della trasfigurazione del Signore come una luce che si è accesa a colpo sul volto di Gesù e i discepoli, che lo avevano visto sempre come un uomo mortale, in un lampo e solo per un lampo l'hanno visto nella realtà nascista della sua divinità. Poi tutto è tornato come prima.
Dovevo andare propio sul posto e trovare un eremita santo e intelligente che ci faceva da guida per finirla di pensare a Gesù come a una sorta di prestigiatore e leggere il vangelo in forma più seria e profonda e vera. Frère Jacques ci ha spiegato che non si tratta di una luce accesa sul volto di Cristo ma di una luce accesa nel cuore degli apostoli. Non è cambiato lui ma sono cambiati loro e con i nuovi occhi hanno visto la realtà in maniera nuova.
Perché una madre riesce a vedere il suo bambino come il più bello del mondo anche quando la fa penare? Perché una moglie riesce a volere bene al suo uomo, e lui a lei, anche quando la bellezza esteriore svanisce e la poesia dei primi tempi lascia il posto alla prosaicità di una convivenza sempre a rischio? Perché una persona riesce a fare per anni e anni sempre le stesse cose, a fare mille volte quella strada, a ripetere quella e sempre quella col cuore contento?
Perché sono trasfigurati interiormente. Non è che la realtà sia luminosa. sono illuminati loro. Ed essendo illuminati vedono tutto luminoso. O almeno sotto una luce positiva che altri non vedono.
L'occhio spento vedrà un porcile dove c'è un palazzo, mentre l'occhio acceso vedrà un palazzo anche in un porcile. E riesce a trasfigurare una stanza, un cortile, una persona malata e noiosa, una stagione della vita. Addirittura un letto di ospedale e un cimitero
L' ho provato e lo provo anche io, Nella mia esperienza di prete e di maestro. Quando ho dentro di me la luce dell' amore, non c'è paese che mi dispiaccia o persona che mi pesi o bambino che mi stanchi. Perché vedo tutto coll'occhio splendente dell' amore e con quello profondo della fede. Amore che colora e fede che trasfigura. Senza deformare la realtà o nascondere ciò che non va. Difatti scopro nella persone il volto di Cristo e vedo il paese come luogo che la provvidenza mi ha affidato per i suoi progetti e per la mia salvezza.
Non è che la gente prima di noi avesse un mondo più splendente. anzi l'aveva sicuramente peggiore. Ma aveva occhi che trasfiguravano e allora trovava la forza di portare la croce e la serenità del cuore anche nella fatica del vivere. Dobbiamo chiedere la grazia di illuminare gli occhi dell'anima e allora anche questo nostro Friuli così povero di prospettive e questa vita moderna così ingarbugliata e complicata e faticosa ci piaceranno. E anche noi non chiederemo di scappare, ma di fare la tenda in questo nostro tempo e in questa nostra terra.
In oriente esiste un ordine monastico in cui i fratelli, trovandosi, non si scambiano il buongiorno e neanche l’augurio di pace. Ma ognuno dice al fratello: “Che il Signore ti trasfiguri”. La questione è tutta qui. Non è importante che si trasfiguri Lui, anche perché, con i nostri occhi spenti, non riusciremmo a vedere niente. L’importante è che ci trasfiguriamo noi. Allora compiremo il miracolo di trasfigurare anche la realtà e daremo una tinteggiatura di resurrezione e di vita anche alla situazione più ordinaria e prosaica.

mercoledì 21 novembre 2012

47 Una “Strada della croce” che attraversa il paese

47 Una “Strada della croce” che attraversa il paese
Tempo di Quaresima, tempo di Via crucis o “Strada della croce”. Anche i più “cani” sentono la necessità di fare qualcosa per confortare il Signore.
A Basagliapenta la Via crucis è stata tolta da don Sebastiano ancora nel ’72, perché dovevano ritinteggiare la chiesa. Poi non le hanno riappese per non rovinare il muro. L'altro giorno, è venuta da me, una delegazione a chiedermi di tornare ad appendere i quadri. Mi sono ricreato perché, magari a distanza di 23 anni, si sono accorti che non c' erano. E l'ho presa come conferma di ciò che si va dicendo in giro: che la gente torna a sentire la religione. Un'illusione svanita immediatamente. Infatti la motivazione più forte era che la nostra chiesa era spoglia e, soprattutto, che la nosta Via crucis era talmente bella che tutti ce la invidiavano.
Però la questione delle Via crucis mi è rimasta dentro. Come trovare una forma giusta, impegnata, concreta di vivere la passione del Signore?
Credo che tornerò ad appendere la Via crucis quando tutti noi, prete e gente, avremo imparato non a fare il giro della chiesa ma il giro del paese. A trovare le“stazioni” dove Cristo soffre oggi, nella nostra realtà.
Uno che è condannato a portare una croce non meritata e più grande di lui; uno che cade nella disperazione o nella depressione o nel vizio; una madre il figlio, o la figlia, o la fa morire di dispiaceri; uno stanco morto che deve sempre pensare anche per gli altri; uno che deve asciugare i sudori o le lacrime di un malato e di un anziano; uno che è inchiodato per anni in un letto, una carrozzina, nel peso della famiglia, un lavoro che lo scanna e non lo soddisfa; uno che è spogliato nella dignità, nei diritti, nell' onore; un malato terminale e quello che gli sta vicino.
Anche il cimitiero è una stazione, l'ultima. Una persone che gira tutti gli ospedali per trovare una speranza, un giovane che gira tutte le fabbriche e gli uffici per trovare un lavoro, uno che non trova casa. Non sono strade di passione anche queste?
Questo non per togliere alla religione la dimensione verticale e misterica riducendola a sociologia o a filantropia, ma per ubbidire al comandamento di Cristo che ha detto di vederlo nei fratelli. Anche perché oggi Cristo in persona non patisce e non ha senso confortarlo, mentre ogni uomo colma nella sua carne la passione del figlio di Dio (Col 1,24). E lui stesso, alle donne che lo piangevano, ha detto: “Figlie di Gerusalemme, non piangete per me; piangete invece per voi stesse e per i vostri figli” (Lc 23,28).
Mi ha sempre fatto impressione quel prete che trascorreva ore e ore in chiesa a parlare con le statue e, quando usciva, era tanto carico che non riusciva a guardare in faccia e a salutare nessuno. E una volta è successo che un gruppo di giovinastri maleducati hanno forzato la porta della chiesa e, per rubare l’oro della Madonna, le hanno sfigurato il volto. Ha pianto e fatto un mese intero di riparazioni. Quando invece gli hanno raccontato che un giovane aveva violentato una ragazza, ha detto sospirando che sono cose che succedono; per ciò le ragazze farebbero bene a stare più a casa.
Io non dico che tutti quelli che fanno la Via crucis non hanno pietà per il prossimo che soffre. Dico che, partendo dalla compassione e dalla pietà per il prossimo che soffre, fare la Via crucis ha più senso e gusto.

mercoledì 14 novembre 2012

46 Una Storia ai margini della storia

46 Una Storia ai margini della storia
Forse i nostri tempi sono i meno indicati per capire l’Avvento. perché l’Avvento è il tempo del desiderio, della gola, dell'aspettare una cosa bramata. Ma si può bramare quando che si ha tutto? E' questo uno dei tanti castighi della abbondanza: che ti spegne il desiderio, ovvero la cosa più bella della vita. perché la brama accende di luce anche gli angoli più bui dell’anima e una cosa piccola diventa straordinaria. Qualche volta mi viene da chiedermi che prezzo alto che abbiamo dovuto pagare per avere tutto ciò che abbiamo e se abbiamo fatto proprio bene i conti.
Ma se anche abbiamo un po' di abbondanza economica (peraltro più di statistica che reale), non per questo l’Avvento perde di importanza. perché io non posso accontentarmi di cose, che nutre una parte di me ma non tutto me, e, se sono libero dalle preoccupazioni per il pane e il materiale, mi resta tutto il tempo e lo spazio per spalancare il cuore a qualcosa di più alto. L’Avvento diventa così il tempo dell'anima, che aspetta una persona cara. anzi la Persona. E non solo l'aspetta ma gli va incontro, come una madre corre incontro al bambino o il fidanzato incontro alla fidanzata.
Già. Ma dove possono andare incontro a Cristo Signore in questo anno di grazia che Dio ci dà da vivere?
Io non sono un astrologo. Pertanto preferisco consultare la “guida” ufficiale del cristiano, il vangelo. E il vangelo mi dice che lui non arriva in piazza o in municipio. E neanche nel palazzo più grande o nella città più grande. Lui inizia la Storia al margine della nostra storia. Non per il gusto di essere originale o strambo ma per aggiustare gli errori della nostra storia poco esemplare. E per iniziare un’altra storia, alternativa.
Luca dice che sotto di Tiberio Cesare a Roma, di Ponzio Pilato in Giudea, di Erode e della sua parentela disgraziata in Galilea e nei dintorni, di Anna e Caifa a capo del tempio, la parola di Dio giunse a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto (Lc 3,1-2). Cose da mettersi le mani nei capelli! Sarebbe come dire che, sotto di Scalfaro, Berlusconi e Giovanni Paolo II a Roma, della Guerra e di Mussato e di Battisti a Trieste e a Udine, il Signore va a pascolare su in Carnia o in Slavia o in una borgata desolata del Friuli. Perché?
Io non sono il Signore. Ma penso che abbia scelto di andare dove non vanno gli altri, per andare a visitare quelli che non vanno a visitare gli altri, per fare ciò che non fanno quegli altri. Va dagli ultimi per ribaltare la storia, in modo che siano primi almeno nel suo libro e nel suo cuore.
Va dai piccoli, dai poveri, dagli abbandonati, dai dimenticati, dai traditi, dai disperati, dove gli uomini hanno fatto deserto. E nel deserto degli uomini lui fa sentire la sua voce di vita e inizia la sua Storia.
Quanti sono i piccoli? E chi li ha uccisi? Dove vivono? E chi li va a trovare? Che ghigne hanno? E chi li guarda? Cosa manca loro? E a chi interessa?
Se vogliamo avviarci incontro al Signore, per fare un Avvento spirituale oltre che liturgico, basta uscire fuori della porta e mettersi a cercare. Iniziando dai luoghi che nessuno frequenta e dalle persone che nessuno guarda. Ce ne sono in ogni paese, in ogni borgo, forse in ogni famiglia. Perché il deserto ci sta catturando tutti.
La Genesi narra che Caino condusse fuori suo fratello Abele per ucciderlo (4,8). Il vangelo dice che Gesù ha scelto di nascere e di morire fuori dal consorzio umano per salvarci. E' proprio qualcosa di nuovo.

mercoledì 7 novembre 2012

45 Una spada nel cuore

45 Una spada nel cuore
Nel cantare il vangelo di Luca (2,22-38) che ci mostra la processione della vita che entra nel tempio contornata dalla vita che si sta chiudendo, Simeone e Anna, o vorrebbe l'occhio e il cuore su quella persona che, stringendo il suo bambino, porta simbolicamente tutta la vita. Intendo Maria e tutte le madri, che hanno il destino di generare la vita e la responsabilità di crescerla e di offrirla al mondo. L’avvenire della umanità non è nè nei parlamenti nè nelle fabriche nè nelle curie ma sulle ginocchia delle madri. L'ha detto il Concilio Vaticano II.
Perché non sentiamo la grandezza di questa missione? Perché non aiutiamo questa creatura in un compito senza pari per difficoltà, e che interessa tutti? Perché tutto proviene dalla madre, tanto dalla madre terra che dalla madre fisica. E solitamente la più usata, maltrattata, dimenticata dopo il bisogno è proprio lei, la madre terra e la madre fisica.
Sentendo le parole crude e vere del vecchio Simeone, non posso non pensare a mia madre e a tutte le madri, conosciute e non. Io, i figli del mio paese, ogni figlio che viene nel mondo è di consolazione o di disperazione per sua madre, di rovina o di resurrezione? Mia madre e tutte le madri, pensando a me e ai loro figli, cosa gli viene nel cuore? “Benedetto il giorno in cui è nato!” o “Non lo avessi mai generato!”?. Perché, quando il cuore è troppo gonfio e il peso ti schiaccia, ti viene anche di fare ciò che nessun istinto ti spinge a fare: rinnegare e maledire la tua creatura, il tuo sangue.
E mai come oggi il mestiere della madre è difficile, problematico, ingrato e svolto in solitudine. Perché tutti aspettano da lei e tutti le fanno prediche, pronti a condannarla, quando (e chi non sbaglia mai?) sbaglia in qualcosa. Allora il marito le dice che rovina i bambini, il maestro e il professore le dicono che non gli sta sufficientemente sotto, il prete dice che non ha religione e sta uccidendo l’anima del figlio. E ogni giudizio negativo, soprattutto quando ce l' ha messa tutta e le scelte, da fare, sono difficili e contraddittorie e le soddisfazioni poche e nessuna, si tramutano in una spada che trafigge l’anima della madre fuori per fuori. L’Addolorata di Madonna delle Grazie ha sette spade e tutti vanno a pregarla e a condolersi con lei. Credo che qualunque madre seria e cosciente non ne abbia di meno, anche se nessuno l'avvicina con una parola di conforto e gratitudine per avere accettato un compito così tremendo.
Sento tanti preti prendersela stupidamente con le madri di adesso. “Madri assassine!” ha detto loro, uno. Intanto non si dovrebbe parlare di ciò di cui non si ha esperienza. Inoltre dico che una madre di oggi si trova ad affrontare problemi che quelle di una volta neanche si sognavano. E potevano anche illudersi di vedersi ricambiato l’affetto e l’assistenza, mentre anche la madre più ingenua di oggi sa che dovrà vedere del figlio o della figlia finchè potrà trascinarsi, senza pretendere nè un sorso d' acqua da viva nè una messa dopo morta. Perché i figli ne hanno a sufficienza per pensare per sè.
Una volta, il vescovo mi ha detto che è difficile fare il vescovo. Gli ho risposto che fare il prete è più difficile e più difficile di tutti è fare il genitore. Perché noi abbiamo la teoria e loro devono fare le scelte concrete e tenersi i figli anche e soprattutto quando nessun vuole averli. Un vescovo e un prete possono avere un attimo di delusione e di rabbia. Non hanno sicuramente la spada che li fora senza sosta il cuore. Allora, più che fare le prediche alle madri, chiediamo che ci facciano loro la predica a noi. Sulla pazienza e la gratuità.