mercoledì 28 settembre 2011

23 Croce di Carnia


23 Croce di Carnia


QUESTO DOVEVA COMPARIRE PER LA SCORSA FESTA DELL'ASCENSIONE

Si può, in occasione della festa dell’Ascensione, non andare col pensiero a un momento unico, il bacio delle Croci, in quel luogo unico per fede, per cultura, per storia che si chiama San Pietro in Carnia?
Gli avi hanno ritenuto che nessun luogo non era più adatto a riprodurre anche visivamente il mistero dell’Ascensione, come il punto più elevato di contatto fra il cielo e la terra. Peraltro, se uno deve staccarsi da questa valle di lacrime, si innalza il più possibile, per dopo volare nella libertà infinita di Dio.
Da secoli i carnici hanno voluto accompagnare questo mistero con la grande Rogazione, che parte da tutte le chiese dei canali per l’appuntamento sul Piano della Vincola, piano di fraternità. Rogazione che riproduce, come un una sacramento, la storia di questo popolo forte e gentile, generoso e sfortunato. Potevano scegliere un simbolo più adatto di quello delle croci? Croci infiocchettate, ingentilite, ma sempre croci.
Carnia avara e amara. Carnia benedetta da Dio per le sue ricchezze e bellezze ma tradita dagli uomini con le loro rapine d’acqua, di verde, di legno, di gente, di risparmi, d’ingegni, di tutto. Celebrando in questi giorni la festa della mamma, si deve pensare a questa grande madre ricca di anni e di dolori, di pazienza e di fortezza, dura come le rocce, con la pelle ruvida dei suoi alberi secolari che hanno dovuto affrontare ogni sorta di traversie e d’intemperie.
Il Friuli deve rendersi conto che uccidendo la Carnia si suicida. Se si tagliano le radici, l’albero muore. Se si prosciuga la vena, la fontana non dà più acqua. E la Carnia è radici, sorgente, maestra e madre. Non abbiamo il diritto di trascurarla, dopo tutto ciò che ci ha dato. Sarebbe un delitto di ingratitudine. Non possiamo ucciderla. Sarebbe un delitto di stupidità.
In un mondo disorientato e disarmonico, la Carnia resta ancora un esempio di armonia fra l’uomo e la natura, fra passato e presente. Solo in Carnia si possono trovare odori veri e colori genuini e dissetare la sete dell’anima. In Carnia le chiese hanno tutto l’aspetto di case e le case assomigliano a chiese e il parlare delle persone è litania, armonia, lamento e canto.
Ciò che non posso perdonarmi e perdonare è che questa gente, che ha resistito in periodi di grande stremo, sta morendo nel momento relativamente d’abbondanza. C’è qualcosa che non quadra.
Una volta un politico carnico, democristiano, mi disse: “ Ma conviene allo Stato mantenere luoghi come Rivalpo, Valle e Trelli?”. A parte la carognità cinica della domanda e il fatto che i nostri paesi di montagna, comprese le valli del Torre e del Natisone, si sono mantenute da sole e inoltre hanno mantenuto gli altri, perché non vi poniamo la domanda contraria: “Conviene allo Stato mantenere i letamai di Roma, di Napoli, e di altri luoghi, che succhiano cielo e soldi e producono solo corruzione e violenza?”,
lo Stato è giunto fin quassù solo per riscuotere e rubare, dividendo i debiti e mai i crediti. Una cosa vergognosa. Ma ciò che dispiace di più è che la nostra Chiesa friulana non ha saputo né voluto fare di meglio. Difatti, mentre la gente si estingue e i preti sono diventati una rarità, quelli delle tasse arrivano puntuali a riscuotere i soldi per le immondizie anche se non hanno portato i cassonetti e la centrale diocesana, per non essere da meno, continua impassibile a riempire le buchette delle canoniche vuote con pacchi di piani e progetti non meno vuoti e patetici.
Se non vogliamo aiutarli, lasciamoli almeno in pace.

giovedì 22 settembre 2011

22 Il mistero della madre


22 Il mistero della madre


QUESTO DOVEVA COMPARIRE PER LA SCORSA FESTA DELLA MAMMA

Il mese di maggio, ci riporta, almeno a quelli delle generazioni –anta, un po’ di nostalgia delle funzioni, dei canti, dell’allegria, dei dispetti del mese della Madonna, tanto che si è parlato della Madonna e non sempre a proposito!
Ma questo mese ci richiama anche un’usanza non liturgica, ma non meno significativa e bella: la festa della mamma, madre come la Madonna, ma che differenza di trattamento tra l’una e l’altra! Per dover esaltare la madre del Signore anche dove non era necessario, non hanno avuto economia nell’infierire sulle madri degli umani, rimaste sempre e solo figlie di Eva la peccatrici. Difatti Maria ha solo virtù; le donne hanno solo difetti. Una cosa sballata.
So che il discorso sulla madre è stato condizionato da una retorica sentimentalistica e banale oltre che strumentale. Dire che la reazione specularmente esagerata ed esasperata dei movimenti femministi, che hanno gettato via anche ciò che non andava buttato via: la grandezza della madre e il suo mistero.
Naturalmente il discorso vale anche per il padre, troppe volte tenuto di complemento come san Giuseppe, ma la nostra cultura, tradizione e la necessità hanno riversato sulle spalle delle nostre donne, il peso intero della famiglia e dei figli, con tanto peso e poca gloria. Peso che se una volta, era economico, oggi è tanto più complicato e difficile.
A detta di quelli che vanno urlando stupidamente sulle madri “moderne”, prive di principi, senza religione, tutte consumismo e materialismo, preoccupate solo di rovinare il “pargolo”, direi che allevare un bambino oggi è più difficile che una volta. Perché un tempo si aveva una specie sola di problemi, crudi ma limitati. Oggi invece sono infiniti, come le soluzioni della vita, e in più manca un punto di riferimento preciso d’ordine morale, religioso, pedagogico, culturale e l’illusione di un contraccambio. I bambini devono essere aperti e riservati, esperti e sospettosi, devono avere soldi e libertà ma nella giusta misura ….
E giù tutti a consigliare, a fare prediche e conferenze, a insegnare un mestiere che non si può mai insegnare perché ogni bambino è una novità e dunque richiede ai genitori, nuovi anche loro, di percorrere con coraggio e fantasia strade nuove.
Ho cercato di ricordare questa massima: che neanche la madre più cattiva non ha piacere di avere figli maleducati.
Anche perché il peso maggiore lo avrebbe lei, non il prete e il maestro, inoltre non si deve mai insegnare dove ne sanno più di noi e soprattutto non devono parlare quelli che non hanno competenza. Questo vale soprattutto per i preti, che dovrebbero tacere. Io non ho mai tenuto conferenza alle madri. Anzi, dico loro: “insegnatemi voi, in maniera che vi possa aiutare”.
Pensando a una madre, a ogni madre, il pensiero mi vola a Cristo buon Pastore e a Dio. Ce ne sono tante sulla terra, sono le sue tracce. Una orma straordinaria è il cuore della madre, condannato a dare senza pretendere e senza presentare il conto, a non essere mai stanco, stufo, gonfio, prosciugato. Noi, che esaltiamo la grandezza di Dio, perché non esaltiamo la grandezza di una madre e non abbiamo pena del suo cuore martoriato e riguardo nei confronti del suo mistero?
Per ogni madre, che conosco, e per tutte, chiedo il dono della pazienza, della fortezza, della speranza e dell’ottimismo. E chiedo loro una cosa che si può domandare solo a Dio: il dono del capire e del perdonare. E nessuno si arrabbierà se, insieme con le madri, anche se a un gradino più basso, metto la mia cagnolina, requie, le mie gatte e le mie canarine, tutte impegnate a prolungare il miracolo della vita.
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venerdì 16 settembre 2011

21 La terra: culla e madre


21 La terra: culla e madre

N.B. QUESTI POST E I SUCCESSIVI (DAL 21 AL 35 PER LA PRECISIONE)
DOVEVANO COMPARIRE TEMPO ADDIETRO
MA A CAUSA DI PROBLEMI TECNICI CIò NON è STATO POSSIBILE.
QUESTO DOVEVA COMPARIRE IL 25 APRILE SCORSO


A Spadolini il 25 aprile ricorda la festa della costituzione, al mondo della Resistenza la festa della liberazione. Io sono un po’ più prosaico: mi accontento di ritornare col pensiero alla rogazione di San Marco, quando si partiva dal duomo di Venzone alle sei di mattina e ci si inerpicava sul Piano di santa Caterina accompagnati dalla rugiada, dall’aria frescolina che ti faceva aumentare ancor di più, se fosse stato possibile, la fame, e dalle schiere dei santi invocati intonando le melodie aquileiesi più solenni perché pregassero con noi il Signore di preserevarci dal fulmine e dalla grandine, dalla peste, dalla fame e dalla guerra, dal flagello del terremoto e di darci ancora una volta i prodotti della terra. Anche a Rivalpo e a Trelli ho fatto le rogazioni, anche se i prati erano ancora indietro. Quaggiù non le ho celebrate perché avremmo solo sfidato le automibili nel traffico indiavolato sulla Pontebbana. Le rogazioni sono una cosa sacrosanta, ma devono avere una cornice adeguata.
Rimane il problema, tutto intero, della primarietà della terra, dell’importanza vitale e pedagogica di un rapporto positivo con il mondo naturale.
Non dico che la religione possa fiorire esclusivamente nel mondo contadino o solo nei paesi. Ci mancherebbe! Dico però che la civiltà contadina è la più intonata al mondo religioso. Dirò di più. In un contesto agricolo si è religiosi anche se non si frequenta la messa; in un contesto di industrializzazione forzata, si rischia di non essere religiosi nemmeno in chiesa. Perché la religione, che ha il compito di farci sentire la presenza di un Dio che non si vede, deve ricorrere al sacramento, al segno, e la terra è tutta un segno. Ed essendo che ogni sacramento è inadeguato a mostrare il mistero, io preferisco i sacramenti “naturali” che mi “ricordano” di più.
In questo senso è più facile sentire la pasqua in un prato e in un orto colorati di vita, che non in una chiesa dove si cambia solo il colore della tovaglia. Così il mondo naturale è spesso più “chiesa”, luogo di Dio, che non un povero e freddo edificio materiale.
A contatto con la terra, l’uomo si sente grande nel seminare e piccolo nel dover attendere una nascita che non è solo sua. Da qui un senso di umiltà che non lo umilia, di pazienza che non lo scanna e di sapienza che può fargli solo del bene. Perché la terra è sapienza, storia, filosofia, arte, scuola, chiesa. In un tutto unico armonico, che è ciò di cui più necessittiamo oggi.
La terra è madre e culla. Una madre generosa, che dà tanto di più di ciò che prende. Una culla che non dimentica mai un semino, per piccolo che sia. Inoltre è un’orologio preciso per ogni stagione e per ogni pianta. Io posso dimenticarmi dove l’ho seminato, ma non la terra. La terra è segreta e discreta. Ciò che gli consegni, lo conserva con grande delicatezza, nascondendolo agli occhi curiosi e indiscreti. E nasconde con la stessa attenzione il tesoro più prezioso e il semino più umile, senza distinzioni.
La terra, che nutre la nostra generazione, tiene conto anche del nostro passato. Difatti gli uomini hanno consegnato alla terra non solo la loro vita ma anche i loro morti. Come sementi per l’eternità. Ogni seminare è un atto di fede. Ma nel consegnare alla terra madre, buia e tomba questo seme particolare, la fede raggiunge il suo apice più alto e gratuito.
Il popolo friulano ha sempre avuto un rapporto vitale con la sua terra. Se lo conserverà, avrà la più grande briscola per un avvenire sereno e sicuro.