mercoledì 29 febbraio 2012

09 Dall'alba al tramontare del sole


09 Dall'alba al tramontare del sole

Una delle cose più belle che mi sono portato dietro, dai miei anni di Carnia, è sicuramente il canto di chiesa. E, di quelle melodie che ti perforano l’anima facendola penare di commozione, metterei in cima il “Laudate, pueri, Dominum”. Infatti ho lasciato scritto che vorrei essere accompagnato nel mio ultimo viaggio con quell'aria e con quelle parole. Dunque è stata per me una bella sorpresa quando ho trovato, sul libro Hosanna, il salmo 112 coll'aria di San Martino e con le parole friulane. Ci siamo affrettati a impararlo e anche qua giù cantiamo, più col cuore che con la bocca, “ Dall'alba al tramontare del sole, sia lodato il nome del Signore”.
Che profondità e che ricchezza di significati in quelle parole!
Prima di tutto un significato letterale, che richiama il sacrificio del tempio di Gerusalemme, con i suoi due sacrifici di laude mattutini e serali. Essendo ogni giorno un regalo e una novità, dobbiamo lodare Dio dall' alba al tramonto, dall' aprire gli occhi per lavorare fino al chiuderli per il riposo.
C'è però anche un significato geografico. Il nome del Signore merita e va lodato per tutta l’estensione della terra, da dove si alza il sole, a oriente o terra dei vivi, fino dove va a dormire, a Occidente o terra dei morti. Per verità si dovrebbe dire da Gerusalemme a San Giacomo di Galizia; oggi si dovrebbe includere India, Cina, America, il mondo intero con le sue culture, i suoi problemi, i suoi valori e i suoi patimenti.
Proseguo con la mia fantasia e dico che tutta la storia, da quando si è alzato il sole per la prima volta sulla terra e sul primo uomo fino all'ultima dell' ultimo uomo, deve essere una laude, qualche volta spontanea, più spesso sofferta, al nome del Signore, che lo mantiene con la sua provvidenza. Questo vale per i momenti esaltanti e anche per le immense tragedie, anche loro una sorta di lode al Dio della giustizia.
Ma io preferisco intendere questo“alzarsi” e questo“andare a monte” in senso antropologico. Tanto a dire di quando ci tocca la sorpresa o la condanna del primo respiro fino all' ultimo sospiro. In ogni stagione della nostra vita, e non solo nelle stagioni del sole, come la gioventù e la maturità. Ogni stagione ha i suoi segreti e le sue bellezze, per quelli che sanno viverle con speranza e ironia. I miei canarini, come per altro tutti gli uccelli, salutano col canto la prime luce e riservano le loro fantasie canore più straordinarie agli ultimi raggi di sole, come una sinfonia di commiato. Bach ha dedicato le sue composizioni più ispirate al momento malinconico e dolce della sera, il più illuminato dalla luce misteriosa della giornata eterna. E' un canto che può intonarlo questo nostro Friuli vecchio, carico di vecchi!
Ho, in merito, due ricordi cari. A Rivalpo, la processione del cuore di Maria che era una giornata particolare, dove la gente sfogava la sua anima. Quando siamo arrivati in cima alla salita, la Bibe,seduta fuori dalla porta di casa,ha voluto intonare per l' ultime volta il suo canto: “A voi dono....”. Ma non le usciva la voce, per il brutto male che la divorava. E noi non arrivavamo ad aiutarla perché avevamo il cuore gonfio. Sono sicuro che mai canto è arrivato così diretto al cuore di Dio e che gli angeli, con le loro arpe d’oro, hanno accompagnato e sostenuto il lamento stentato della povera Luigia.
Anche un’altra creatura di Dio, un canarino arrivato in casa mia dopo grandi traversie, ha cantato fino all'ultima sera della sua vita corta e tormentata. Stentava ma cantava lo stesso. L' ho trovato morto un giorno di maggio, con la zampetta vicino al cuore. Può il Dio della gloria negargli un posto nel giardino dell' eternità?


mercoledì 22 febbraio 2012

08 Confidenze di un’anima semplice


08 Confidenze di un’anima semplice

... Ho avuta la grazia di vivere tutte le stagioni della vita, senza saltarne nessuna e senza volere cambiare d'ordine. Ogni pianta deve fiorire nella sua stagione, altrimenti stona. Così, avendo goduta la gioventù, non mi pesa per nulla la vecchiaia, anche se è carica di dolenzie e di croci. E' il colore dei suoi fiori.
Ho avuto amici e pseudo-amici. I primi li ho cercati e mi hanno consolato e i secondi sono arrivati senza cercarli e li ho sopportati.
Attraverso la mia porta, e per la porta della vita, ho visto partire tanta gente, e mi ha pianto il cuore tanto che mi sembrava di morire. Ma Dio mi ha sempre mandato qualcuno, e il cuore si è ricreato al punto che mi è sembrato di tornare a vivere.
Portato per istinto a vivere appartato, ho cercato sempre di vivere in pace con me stesso prima che col mondo e questo mi ha permesso di trovare giovamento anche nella compagnia.
Tutte non le ho indovinate, e allo stresso modo tutte non le ho sbagliate. Ho avuta la fortuna di trarre profitto anche dalle esperienze negative. E' la più grande scuola, che ti riempie di umiltà e cervello.
Mi sono trovato tante volte senza soldi e salute, ma Dio mi ha ricompensato col regalo della speranza. Un regalo per i poveri che è negato ai ricchi. Adesso che il peso degli anni e dalle magagne mi fa sentire più povero di sempre, anche la speranza che Dio mi dà è più grande: di andare in una casa di pace. Ma senza fretta.
C'è stato un tempo della mia vita in cui avevo il terrore della morte. E mi è capitato che ero piuttosto giovane. Difatti avevo più gente di qua che non di là. Adesso il pensiero della morte mi fa meno paura. quando si è giovani, non si ha voglia di riposare perché si vorrebbe prendere il mondo intero. adesso invece riesco a godere di più i momenti di riposo. E credo di capire meglio ciò che significhi il riposo eterno.
Nella mia vita non ho mai fatto progetti. Difatti mi è toccato di percorrere sentieri che non avrei creduto e sono arrivato dove non avrei mai pensato. Dovrei mettermi a fare progetti adesso? Chi mi ha accompagnato fin qui e dato forza non mi abbandonerà nel momento in cui sono più vicino alla meta.
Sento tanti di loro tormentarsi se la vita è un bene e il nascere una fortuna o una disgrazia. Se farsi qualche domanda è giusto, non si può vivere ponendosi solo domande. Tanto più che, quando ti va bene, non ti viene voglia di perdere tempo a farti domande. E, quando ti va male, non sei libero nell'accettare le risposte.
La vita sarà sempre un mistero, fortuna e condanna assieme. quando uno dei miei cagnolini apriva gli occhi, la prima cosa che gli dicevo era questa: “chissà se oggi tu hai guadagnato o perduto?”. Ma lui era troppo impegnato a guardare i colori del cielo e dell' erba e soprattutto il muso di sua madre. Sì, aveva più cervello di me.
Come sono giunto fin qui senza conoscere nè la strada nè il tempo nè niente, così arriverò anche lì. perché non siamo noi a guidare ma è un’altra mano che ci guida. Non siamo noi che scegliamo, anche se così ci sembra. Difatti più di una volta mi è parso che qualcuno avesse scelto per me. Cosa devo fare? Fidarmi di lui e vivere in pace, sapendo che ogni giornata, anche se dovesse essere l' ultima, è sempre un miracolo.
Ho avuta anche religione, ma non troppa. Mi è piaciuto essere curioso sulle robe del mondo. Ma sulle robe di Dio ho preferito il mistero e il riguardo...”.

mercoledì 15 febbraio 2012

07 Quella locanda eternamente chiusa


 07 Quella locanda eternamente chiusa

“Signor prete- mi ha detto un uomo - sarebbe questo il Natale? Un vecchio vestito da pagliaccio, un panettone a forma di campana, pupazzi di cioccolata, capanne con dentro un regalo, robe matte per gente matta. Il papa dovrebbe scomunicare tutti quelli che fanno Natale”. “Non sarebbe una brutta idea - gli ho risposto -. Ma forse non si sentirà libero di farlo neanche lui, dato che ha chiamato a cantare in Vaticano i Pooh. E pensare che ogni sedia costava un milione nelle fila davanti e duecentomila in quelle dietro”. Si sa che i soldi raccolti servono per costruire chiese nuove, e dunque a fin di bene. La tragedia di tutti i cristiani, dal papa in giù, è che ci siamo ridotti a fare anche il male a fin di bene e questo ci impedisce di convertirci. Se facessimo il male con serietà, a fin di male, prima o dopo ci vergogneremmo e cambieremmo vita.
Ci vergogneremmo, per esempio, di avere fatto diventare una festa banale e sdolcinata quella che è in realtà una tragedia. Difatti il bambino che nasce a Betlemme è  lo stesso che da adulto dovrà salire il Calvari con la croce. E come è  stato rifiutato nel nascere, così sarà cacciato fuori città nel morire. Natale non è una festa per conto suo, per farci piagnucolare, ma è collegata alla Pasqua, per farci morire alla cattiveria e risorgere a vita nuova.
Il mistero dal Natale sta in questa contrapposizione fra luce e buio, così ben descritta nel vangelo di Giovanni (1,1-18). E lo specchio è  quel bambino che non trova aperta nessuna porta, perché , come narra Luca, “Nella locanda non c'era posto per loro” (2,7). Fino a che la locanda è chiusa, Cristo non nasce e non inizia la redenzione.
Fino a che non si apre la locanda del mondo e della Chiesa, Cristo non nasce; e lasciando fuori il Signore stanno peggio quelli dentro. E questa è la vera scomunica: restare senza Signore, senza luce e senza perdono.
Ci sono locande chiuse in Friuli, tanto per rimanere nella nostra realtà?
Basterebbe pensare alle persone escluse, dimenticate, tradite, bandite. Basterebbe pensare al nostro popolo friulano, che non ha mai una porta aperta quando deve avere e deve sempre spalancarla quando deve dare. Proviamo ad andare col cuore ai paesi e ai borghi abbandonati, che da secoli hanno dato cultura, economia e sangue e adesso stanno morendo perché  “costa troppo mantenerli”, loro che hanno sempre mantenuto la loro gente e gli stranieri.
L’anima del nostro popolo, che si esprime nella lingua e nella cultura, e trova chiusa la porta delle scuole, delle televisioni, dei giornali, degli uffici, della chiesa. Anche il duomo è  chiuso in questa giornata e sempre, nonostante si chieda al vescovo di aprirla. E già che siamo in discorso, non è un scandalo che a Udine dicano 130 messe ogni domenica e che tante chiesette non abbiano un po' di liturgia nemmeno a Natale?
Per non parlare del resto, che ci stanno rapinando e ricattando da ogni parte, perché siamo diventati un peso. I poveri pesano sempre, anche quando  sono come sardine.
“Mandate, o cieli, la vostra rugiada e voi, o nubi lasciate piovere la giustizia! Che si apra la terra e fiorisca la salvezza” grida Isaia, il grande cantore (45,8).
Natale è  uno spalancarsi di cuori e di porte, un aprirsi della terra, una esplosione di vita. Mi pare di udire come un sussurro... No, sono quei “mostri” di bambini, che sparano petardi.
Buon Natale anche a loro, che dovranno affrontare i colpi ben più tremendi che la vita sta loro preparando.

mercoledì 8 febbraio 2012

06 Centocinquantatre pesci




06 Centocinquantatre pesci

Il vangelo ci narra che Cristo si è palesato per la terza volta ai suoi discepoli sul mare di Tiberiade e ha fatto il regalo di una pesca straordinaria, addirittura da strappare le reti. Questo dopo una notte intera di inutile fatica. I pesci erano talmente tanti che i discepoli, nonostante tutta la loro stanchezza, non hanno resistito alla tentazione di contarli.  Ce n'erano cento e cinquantatre (Gn 21,11).
Io non ero presente. devo pertanto accettare la parola di Dio e partire da li per cercare il significato profondo. Gli esperti della fauna locale dicono che il mare di Tiberiade possiede parecchi pesci e di tante qualità. Sapete quante? Cento e cinquantatre. Questo per dire che i discepoli sono riusciti a prendere tutte le qualità di pesci. Come dire tutti i pesci.
Nella Svizzera romanza, a Zillis, c'è una bella chiesa romanica dell' XI secolo che tutti vanno a visitare per via del soffitto, diviso in ... cento e cinquantatre tasselli, con le storie della salvezza. E' diviso in nove righe di diciassette tasselli. Il nove e il diciassette sono numeri “perfetti”, cioè a dire che danno l'idea della totalità. Difatti il diciassette è  numero primo e il nove è formato da tre per tre.
Non sto dando i numeri. Sto cercando il significato. Che è  straordinario: Cristo ci salva tutti e nessuno è tanto cattivo da non potere esser preso dalla sua rete
Questa idea così “pasquale” l' avevamo ben presente anche in Aquileia, anche per via della radice alessandrina della nostra chiesa madre. Tanto chiara che, sul pavimento, hanno raffigurato i pescatori che pescano pesci differenti per forme e per profondità.
Come mai abbiamo perduto questa verità di fondo della Bibbia e della chiesa? Come mai ci permettiamo, noi poveri vermi, di dettare le condizioni per entrare nella rete di Cristo?
Anche io, a mio modo pescatore di uomini, provo a guardare nella rete del mio paese e del mondo. Dei pesci che mi capitano sotto mano dovrei scartare tutti quelli che non sono cattolici. Poi tutti quelli che non sono in regola con la dottrina sociale e politica della Chiesa, come i non democristiani e i democristiani contrari a Buttiglione. Poi dovrei scartare quelli che non vengono a messa ogni domenica, che non si confessano, che non sono a posto con la morale cattolica, i mal sposati, i bestemmiatori, gli imbroglioni, i bugiardi, gli egoisti, i fannulloni. Insomma resteremmo, a occhio, io e il sacrestano. E chi ha detto che io e il sacrestano siamo i migliori dal paese? Solo perché andiamo di più di tutti a messa?
A questo punto rimane solo da buttare via anche la rete e cambiare mestiere. Oppure tornare alla teologia consolante della nostra Aquileia, della rete che prende tutti i pesci.
Con questo non voglio dire che non esiste il male e che fare il male o il ben è  uguale. Dico che la rete della misericordia di Dio è tanto grande che prende dentro tutti gli uomini e tutta la storia. E che la Chiesa Cattolica, che deve essere salvata anche lei a ogni livello, non ha nessun titolo e diritto per scegliere i pesci da tenere e quelli da scartare. Questo lo faranno gli angeli di Dio, alla fine della storia (Mt 13,49).
Accettiamo la convivenza del mysterium iniquitatis e del mysterium salutis. E Lasciamo che Dio faccia ciò che è di  sua competenza ed esclusivamente  sua: creare, salvare, perdonare, ricreare. Lasciamo prendere i topolini ai gatti. A Valle c'era un vecchio che, quando un giovane gli faceva obbiezioni, rispondeva: “Non insegnare a babbo come baciare mamma!”. Accontentiamoci di fare bene la nostra parte di creature e che lui continui a fare quel mestiere di creatore e di Redentore che fa da sempre e per sempre.

mercoledì 1 febbraio 2012

05 Capire la morte per capire la vita

05 Capire la morte per capire la vita

Giornate di malinconia, di ricordi e forse di rimorsi quelle che ci aspettano. sono le giornate dei santi e dei morti, dei morti che sono i nostri santi. Una occasione straordinaria per guardare in faccia la realtà, per relativizzare tante cose che ci sembrano importanti e invece sono stupide e banali, per meditare sul valore del tempo che un ladro impietoso ci ruba giorno per giorno, ora per ora, momento per momento.  Questa scuola di vita ha come cattedra la sapienza e come banchi le sepolture della nostra gente passata dalla bugia alla verità, dalla precarietà alla stabilità, dalla tenda provvisoria alla casa eterna, dalla luce contornata di buio della nostra esistenza allo scuro accecante di Dio e illuminato a giorno dal grande dono della fede.
In questi giorni il mio pensiero affettuoso e riconoscente vola nei cimiteri dove, come prete, ho messo a dormire nella culla della terra tanta gente di ogni età e condizione: dal cimitero di Basagliapenta a quello di Valle e Rivalpo e Trelli per finire in quello di Venzone, dove ho le mie radici.
Ma la malinconia aumenta pensando al cambiamento che è  stato operato anche in Friuli perfino nei cimiteri, trasformati in luoghi di sfide a chi possiede più cattivo gusto e meno dignità. Proprio così. Abbiamo perduto il senso della morte e di conseguenza anche quello della vita.
Se il luogo della verità è  diventato una commedia, quanto sarà grande la commedia nella sceneggiata del mondo?
Benedette le povere sepolture che mia madre, ricca solo di fede, forniva di muschio e di sassolini a forma di croce e con un mazzo di crisantemi d' orto e un lumino di pochi centesimi! Ma si sapeva che era una giornata speciale perché il mucchietto di terra era addobbato come a festa. Ma se la luce è accesa per tutto l’anno e il mazzo dei fiori  non conosce né siccità né pioggia perché  sono finte, che senso ha celebrare la giornata dei morti?
I nostri morti ci hanno lasciato cose vere, tangibili : campi, case, cultura, valori, soldi veri. Possiamo portare loro un mazzo di fiori finti e guardarli in faccia?
Iniziamo, per l' amor di Dio, a diventare seri almeno nell' unico posto dove la verità e la serietà dovrebbe regnare da padrone. Iniziamo a capire il valore del tempo, della vita, del cielo, della terra, delle stagioni, degli affetti, del lavoro, dell' amicizia, del paese, della libertà, della profondità. Impariamo la scuola della vita sui banchi della morte.
Un regalo lo chiederei ai nostri morti. Sopra il lumino che gli accendiamo sulla sepoltura, di non lasciarci mai senza il lumicino della fede e della speranza. Sopra i fiori che gli mettiamo, di non lasciarci mai senza i fiori della virtù e il profumo delle buone qualità. Sopra alle visite che gli facciamo, di farci tornare a casa più ricchi di cervello, più attaccati alla vita, più impegnati nella storia piccola e grande.
E chiederei, a loro che vivono in Dio, di non lasciarci cadere morti prima dell’ora. C'è gente che trascorre più tempo con i suoi morti che non con i vivi del paese e che  parla più con la gente nell'al di là che non con quella nell'al di qua. Conosco persone che escono di casa solo per andare li dentro. Non è giusto ne serio riempire di vita il cimitero e trasformare paesi, borghi e cortili in cimiteri.
I morti sono la nostra arca di santità, il nostro capitale di storia e di sapienza, il nostro tesoro di esperienza e di cultura, le nostre radici nascoste sotto terra. Non si onora un tesoro dimenticandolo o svendendolo. Non si onora la radice lasciando seccare l’albero.