giovedì 27 ottobre 2011

27 Il miracolo dell’ordinario


27 Il miracolo dell’ordinario

La Chiesa ha una sua scansione delle gionate e una sua divisione dell’anno, che non corrispondono a quelle del calendario civile. Questo per il fatto che il suo principio costitutivo e le sue fondamenta sono differenti. Altrimenti cosa portrebbe dare in più all’uomo?
Nella sua sapienza pedagogica, ha voluto sottolineare le diversità di “stagioni” con una diversità di colori, di canti e di letture. E per il periodo che inizia al termine delle solenni feste, che corrisponde al nostro feriale, ha scelto un nome e un colore: il tempo “ordinario” e il colore verde.
Il colore verde mi piace perché mi richiama il colore del frumento e dell’erba che crescono e delle colline che si avviano verso la pienezza della stagione. Tempo di speranza e di crescita, come ogni tempo in cui si semina.
Mi piace meno quell’”ordinario”, che solitamente immaginiamo come comune, volgare, scadente. E difatti per salvarci dall’ordinario, andiamo in cerca dello straordinario, il clamoroso. Preferisco però cercare un'altra etimologia, più seria. “Ordinario” lo faccio derivare da “ordine”. Non quell’ordine che ti impongono con la prepotenza e che solitamente nasconde un disordine, ma quell’ordine che è un’esigenza fondamentale, intrinseca della vita.
Non penso alle leggi degli uomini ma alla legge della natura, che richiede continuità, precisione, regolarità. Come il battito del cuore, come il sorgere del sole, come lo schiudersi dei fiori, il battere ribattere delle onde del mare contro la riva.
Visto così, questo tempo è il più importante della vita: è quello che ci permette di vivere e di crescere, per cui lo straordinario non ci porterebbe al futuro. Se dunque l’ordinario è la regola, lo straordinario è l’eccezione. E l’eccezione vale meno della regola. Perché non giungiamo anche noi a questa sapienza e fortuna di meravigliarci di fronte all’ordinario, al consueto, che ci permette di vivere, invece di sbeffeggiarlo per andare a cercare un’evasione inutile e pericolosa? Allora ogni terra diventa santa, ogni chiesa diviene un santuario, ogni messa è grande, il viaggio più importante è quello del cuore e ogni piccolo accadimento diventa un “miracolo”, una meraviglia, una novità. Ma una novità nella continuità.
È più “straordinario” preparare da mangiare quotidianamente che non una volta l’anno, recarsi a messa ogni domenica che non nelle grandi occasioni, guardare il sole dalla finestra che non andare a guardarlo in Africa, andare in fabbrica o in ufficio che non in crociera, far crescere un mazzo di fiori nel tuo orto o sul tuo terrazzo che non acquistare cose esotiche.
Questo lo sa e lo vive ogni genitore, ogni lavoratore, ogni curato di paese, ogni sacrestano, perciò sono straordinari e meriterebbero un monumento o almeno maggior attenzione da parte dei mezzi di comunicazione, divenuti mezzi d’invasione e dunque né intelligenti né vitali.
Il tempo ordinario mi fa pensare alle fiamme del fuoco, ai fiocchi di neve e alle gocce di pioggia. Tutte realtà che sembrano ripetitive e invece sono eterne novità.
Anche i momenti della vita sembrano uguali, come gli anelli di una catena. Eppure ognuno di loro è unico e irripetibile. Prolungare la novità fino all’ultimo giorno sarebbe il segreto stesso della vita. Una strada c’è ed è sicura: quella dell’amore. Una madre e un’amante ripetono le stesse parole e gesti senza stancarsi né stancare. Quando si stancano o stancano, significa che l’amore è andato sbiadendo e senza amore tutto sa di vecchio e di morto.

giovedì 20 ottobre 2011

26 Il “mondo” del vangelo non è il paese


26 Il “mondo” del vangelo non è il paese


“Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me”. “ Non ti chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che tu li guardi dal maligno”. (Gv 15,18 17,15).
Non è colpa mia se leggndo durante il periodo pasquale questo pezzo, il pensiero mi corre agli anni della “formazione”, con le prediche “sullo spirito del mondo che fa a pugni con lo spirito di Cristo”, e con i deliri sul “secolo” e sui “secolari” o “mondani”. Non hanno mai parlato di “mondana” perché lo ritenevano troppo pericoloso per noi, ma per loro il mondo era proprio questo: una grande casa di prostituzione. Naturalmente erano mondane anche mia madre e mia nonna, che nella loro esistenza, hanno solo lavorato e patito.
Da una parte dunque il mondo sacrale, l’”hortus conclusus” o giardino chiuso che non poteva permettersi di lasciare aperta nemmeno una fessura altrimenti entrava “lo spirito pestifero del secolo”, e dall’altra parte il mondo di Satana, in cui le persone avevano una sola preoccupazione: peccare dalla mattina presto fino a notte fonda, soprattutto di notte, per andare carica e pasciuta a ca’del diavolo. E questo partendo dal vangelo col suo discorso sul “mondo”.
Nessuna meraviglia che questo modo di interpretare il vangelo, a maiale via, i preti l’abbiano portato anche nella vita pastorale, con tutte le conseguenze tragiche di una pastorale stupida e prevenuta; in ogni caso sballata, perché nasceva da un’esagerata concezione di sé come anime elette e da una disistima immeritata della gente che non poteva che finire condannata.
“Discorsi di cinquanta anni fa” si dirà. Invece sono discorsi che regnano anche oggi. Per il fatto che i preti, dato che si sentono in ragione, difficilmente accettano di cambiare idea. E anche per questioni anagrafiche, perché la maggioranza dei preti ha la mia età o è più anziana. Se si potesse fare il ragionamento partendo dalla cima del mondo clericale e gerarchico ne vedremmo delle belle. Eppoi basta ascoltare i loro proclami ufficiali e non.
E le nuove leve? A parte che sono un’infinitesima minoranza, anche loro, forse più dei vecchi, si sentono investiti dalla missione di salvare il mondo dall’incredulità, dalla sporcizia, dal consumismo, dal materialismo, dall’edonismo e via di seguito. E si sentono veramente “alternativi” al mondo.
Un atteggiamento che sarebbe evangelico se l’idea di “mondo” del vangelo fosse la stessa dell’apparato clericale. Il mondo del vangelo invece non è il nostro mondo, quello della nostra gente. Il “mondo” del vangelo è il mondo della prepotenza, della violenza, della rapina istituzionalizzata, dell’oppressione, della bugia, della religione usata per tamponare le porcherie, dell’ordine usato per nascondere il disordine. In una parola è il vero “regno di Satana”, che non risparmia nemmeno le istituzioni ecclesiastiche se diventa prepotente o mistificante.
La nostra gente non rientra in queste categorie, non è “mondo” ma vittima. Per questo va guardata con simpatia, con umanità e comprensione, compresi i giovani che frequentano le discoteche, prime vittime di un “mondo” che li acceca, l’instupidisce, li adopera e li tradisce. Cristo, che ha coordinato il “mondo”, ha pena delle folle, delle persone dei borghi e dei paesi, perché erano “ stanche e abbandonate come pecore senza pastore” (Mt. 9,36).
In questa prospoettiva va letto anche l’”odio” del mondo verso i discepoli di Cristo. Se un prete è odiato dal “mondo” del vangelo, come Romero e altri martiri, può anche lodare Dio. Ma se lo odiano le persone del paese, è meglio che si faccia un buon esame di coscienza.

venerdì 14 ottobre 2011

25 Un pane grande come il mondo


25 Un pane grande come il mondo

QUESTO DOVEVA COMPARIRE LA SCORSA FESTA DEL CORPUS DOMINE

Il calendario, con le sue feste, mi riporta agli anni della mia infanzia, a quelle grandi processioni del Corpus Domine che trasformavano per un giorno Venzone in una chiesa, meno artistica ma sicuramente più viva del Duomo. E il Signore passando, guardava le nostre povere case fatte di sassi tenuti vicino dalla miseria, dove non avevano chissà che croci appese ai muri ma tante che camminavano o a gatto o con il bastone. Poi guardava i fiori che mia madre aveva portato giù da Plauris, di una bellezza unica come unica era stata la fatica per andarle a prendere prima di giorno. Il pievano si fermava nel Cjanton e appoggiava il Santissimo su una lunga tavola con il copriletto nunziale, carico di anni e di storie. L’adoperavamo da generazioni per ribaltare la polenta, per ammazzare il maiale e per preparare i nostri morti al viaggio da cui non si torna. Lì sopra non stonava il pane della Vita, perché era legato con il pane del lavoro e del dolore e della vita di quaggiù.
Una religione legata alla vita non stonerà mai, come non stonerà una vita illuminata dalla religione e meglio ancora, dalla fede.
In quegli anni, in cui non si metteva in dubbio il diritto espotic della religione di sacralizzare tutto, non si faceva attenzione se la Chiesa allargava la sua padronanza sul paese senza però portare il paese in chiesa. Oggi le cose sono cambiate. Se in meglio, o in peggio, dipende anche da quale parte si guardano. Ma è cambiato l’impianto di base. Il sacrale è andato in crisi quando non ha saputo trovare risposte nuove alle nuove situazioni e quando il mondo ha acquisito dignità pretendendo di andare avanti con regole sue e con una sua autonomia.
In quel momento le strade si sono separate e, come succede dopo le lunghe convivenze, si è esagerato in disistima ciò che prima si esagerava in stima. Così abbiamo una chiesa senza persone e una gente senza chiesa; una messa senza storia e una storia senza messa. Come avere il corpo da una parte e l’anima dall’altra. Chiese vuote e cuori vuoti. Una tragedia.
Eppure durante la messa, quando il prete prende in mano quella particola a forma circolare che dovrebbe essere pane, dice: “prodotto dalla terra e dalla nostra fatica”. Se le parole hanno un senso, quel “pane” che diventerà il Corpo del Signore, è prodotto da tutte le fatiche, lacrime, speranze e tragedie degli uomini. Più che formato da chicchi di frumento io lo vedo formato da granelli vivi, da persone di ogni età e condizione che con il loro sudore preparano la materia del grande sacrificio.
Allora l’altare si amplia per quanto è grande il mondo e per quanto è lunga la storia e tutto diventa un grande offertorio e la nostra umanità, la nostra storia, vengono innalzate perché lo Spirito le trasformi in un tutt’unico con il sacrificio di Cristo. In questo senso nessuno è tagliato fuori dai benefici di quel Corpo e di quel Sangue offerti “per tutti”.
Ma io andrei a raccogliere prima di tutto i granelli macinati nel mulino della prepotenza, le vittime dell’ingiustizia degli stati, delle Chiese, delle guerre, delle economie, delle ideologie, delle falsità, tutti i profeti e i martiri morti senza onori e magari senza speranza, granelli che marciscono sotto terra per far germogliare la nuova pianta di una nuova umanità.
L’angelo del Signore, che porta sull’altare del cielo la nostra offerta, vada ad ammucchiare questi granelli ovunque siano sotterrati e dimenticati. Sono loro, assieme a Cristo, il vero pane della vita, che ci permette di guardare al futuro ancora con speranza.


giovedì 6 ottobre 2011

24 Uno Spirito fantasioso e rispettoso


24 Uno Spirito fantasioso e rispettoso

QUESTO DOVEVA COMPARIRE LA SCORSA FESTA DELLE PENTECOSTE



Pentecoste, o altrimenti detta Pasqua delle rose, grande appuntamento liturgico per fare memoria della rivoluzione operata dallo Spirito Santo sugli apostoli, trasformati da rinnegatori a testimoni e da conigli a leoni.
Lo Spirito Santo è un dono del Padre al mondo per il Figlio ritornato in gloria. Si potrebbe anche chiamarla “forza del Padre”. Però bisogna dire che scaturisce “dal Padre e dal Figlio”, per giustificare la lite sulla “Filioque”, che ha provocato lo scisma fra la Chiesa d’Occidente e quella d’Oriente ancora nel 1054. Chissà se lo Spirito Santo, che è lo Spirito di unità, è stato contento che il papa di Roma e il patriarca di Costantinopoli si sono tolti il saluto per difenderlo? Ma ha bisogno d’essere difeso, lui che fa per professione l’avvocato, il “Paraclit”?
Lo Spirito Santo è il grande Sconosciuto, una sorta di “milite ignoto”. Ovunque, e quindi anche in Friuli, si studia a dottrina per avere la cresima, o l’orologio in occasione della cresima. Credo che però nemmeno la Chiesa in realtà sappia cosa veramente sia lo Spirito. Altrimenti avrebbe intrapreso tutt’altro aspetto e un sentiero diverso.
Leggendo il cap. 2 degli Atti degli apostoli, si rimane colpiti dagli effetti “devastanti” che lo Spirito ha prodotto: sussurri come un vento forte, sussulti come fosse un terremoto, fiamme sparse, gli apostoli che iniziano a delirare in lingue diverse… Insomma non avevano tutti i torti i curiosi che dicevano: “ Che grandi robe!”, e nemmeno quegli altri più materialisti e cinici, che sghignazzavano : “Questi sono ubriachi fradici!”. Perché erano proprio spiritati. Tutto al contrario di come se ne esce dalle nostre cresime: sbadigliando e con un grande languore nello stomaco.
Credo che la Chiesa sia troppo puntigliosa e ripetitiva e un po’ noiosa per rievocarci lo Spirito che l’ha fondata. Se lo spirito è spirito, non si può racchiuderlo in una bottiglia o in una stanza e in un libro o in una struttura. L’idea di Spirito che si ricava dal pezzo di Luca è quello di uno Spirito fantasioso, che si diverte a sovvertire tutti gli schemi e i confini del perbenismo perché ognuno possa in libertà sfogarsi con i doni che Dio gli ha dato.
Uno degli slogan più belli del Sessantotto era: “La fantasia al potere”. Non so quanta ne abbiano avuta quelli che l’hanno proposto. So però che era azzeccato e sarebbe stata la grande novità di quella stagione.
Uno Spirito fantasioso dunque. Ma anche rispettoso. Difatti tutti i popoli che si trovavano in quei giorni a Gerusalemme, la lista che li riporta è lunga, sentivano e comprendevano ognuno nella sua madrelingua. È questo il miracolo caratteristico della Pentecoste: la legittimazione che lo Spirito dà a ogni popolo di lodare Dio nel rispetto del suo clima naturale e culturale. E non ci siamo nemmeno su questo punto. Perché in tutte le chiese della cristianità per secoli e secoli si è letto questo pezzo contradicendolo mentre lo si cantava o leggeva. In comunità come le nostre, dove le persone parlano da secoli in friulano, in sloveno e in tedesco non si può parlare di “madrelingua” in latino (e ora in italiano) senza perdere almeno la faccia. Per rispetto e onore di quello Spirito che ci rispetta e onora.
Non basta leggere il pezzo della Pentecoste o indossare la pianeta rossa per meritare lo Spirito delle Pentecoste. Se poi cerchiamo anche di ingabbiarlo nella gabbietta, allora la frittata è completa.