venerdì 14 ottobre 2011

25 Un pane grande come il mondo


25 Un pane grande come il mondo

QUESTO DOVEVA COMPARIRE LA SCORSA FESTA DEL CORPUS DOMINE

Il calendario, con le sue feste, mi riporta agli anni della mia infanzia, a quelle grandi processioni del Corpus Domine che trasformavano per un giorno Venzone in una chiesa, meno artistica ma sicuramente più viva del Duomo. E il Signore passando, guardava le nostre povere case fatte di sassi tenuti vicino dalla miseria, dove non avevano chissà che croci appese ai muri ma tante che camminavano o a gatto o con il bastone. Poi guardava i fiori che mia madre aveva portato giù da Plauris, di una bellezza unica come unica era stata la fatica per andarle a prendere prima di giorno. Il pievano si fermava nel Cjanton e appoggiava il Santissimo su una lunga tavola con il copriletto nunziale, carico di anni e di storie. L’adoperavamo da generazioni per ribaltare la polenta, per ammazzare il maiale e per preparare i nostri morti al viaggio da cui non si torna. Lì sopra non stonava il pane della Vita, perché era legato con il pane del lavoro e del dolore e della vita di quaggiù.
Una religione legata alla vita non stonerà mai, come non stonerà una vita illuminata dalla religione e meglio ancora, dalla fede.
In quegli anni, in cui non si metteva in dubbio il diritto espotic della religione di sacralizzare tutto, non si faceva attenzione se la Chiesa allargava la sua padronanza sul paese senza però portare il paese in chiesa. Oggi le cose sono cambiate. Se in meglio, o in peggio, dipende anche da quale parte si guardano. Ma è cambiato l’impianto di base. Il sacrale è andato in crisi quando non ha saputo trovare risposte nuove alle nuove situazioni e quando il mondo ha acquisito dignità pretendendo di andare avanti con regole sue e con una sua autonomia.
In quel momento le strade si sono separate e, come succede dopo le lunghe convivenze, si è esagerato in disistima ciò che prima si esagerava in stima. Così abbiamo una chiesa senza persone e una gente senza chiesa; una messa senza storia e una storia senza messa. Come avere il corpo da una parte e l’anima dall’altra. Chiese vuote e cuori vuoti. Una tragedia.
Eppure durante la messa, quando il prete prende in mano quella particola a forma circolare che dovrebbe essere pane, dice: “prodotto dalla terra e dalla nostra fatica”. Se le parole hanno un senso, quel “pane” che diventerà il Corpo del Signore, è prodotto da tutte le fatiche, lacrime, speranze e tragedie degli uomini. Più che formato da chicchi di frumento io lo vedo formato da granelli vivi, da persone di ogni età e condizione che con il loro sudore preparano la materia del grande sacrificio.
Allora l’altare si amplia per quanto è grande il mondo e per quanto è lunga la storia e tutto diventa un grande offertorio e la nostra umanità, la nostra storia, vengono innalzate perché lo Spirito le trasformi in un tutt’unico con il sacrificio di Cristo. In questo senso nessuno è tagliato fuori dai benefici di quel Corpo e di quel Sangue offerti “per tutti”.
Ma io andrei a raccogliere prima di tutto i granelli macinati nel mulino della prepotenza, le vittime dell’ingiustizia degli stati, delle Chiese, delle guerre, delle economie, delle ideologie, delle falsità, tutti i profeti e i martiri morti senza onori e magari senza speranza, granelli che marciscono sotto terra per far germogliare la nuova pianta di una nuova umanità.
L’angelo del Signore, che porta sull’altare del cielo la nostra offerta, vada ad ammucchiare questi granelli ovunque siano sotterrati e dimenticati. Sono loro, assieme a Cristo, il vero pane della vita, che ci permette di guardare al futuro ancora con speranza.


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