sabato 14 giugno 2014

24 La libertà dello spirito

24 La libertà dello spirito
Dovendo celebrare i doni che lo Spirito Santo spande con abbondanza sulla sua Chiesa e sul popolo di Dio , non si poteva trovare momento e cornice più adatti delle Pentecoste, la festa dello Spirito Santo. E così si è ripetuto l'appuntamento di tutti i movimenti cattolici (si parla di 123 aggregazioni carismatiche) in piazza San Pietro, attorno a papa Benedetto. Il ricordo e il confronto inevitabile era con il prima incontro col papa Giovanni Paolo II, il papa che per primo e in maniera ostentata faceva capire di appoggiarsi sulla disponibilità e generosità entusiastiche di questi "fans" dello Spirito Santo, autentiche novità e "primavera" della Chiesa.
Papa Benedetto non nasconde la continuità del suo ministero col predecessore, ma non occorre essere vaticanisti per vedere la differenza nel modo, più che nella sostanza. Ma un modo tanto marcato che diventa sostanza. Di fatto, la moltitudine di gente giunta a Roma da ogni parte d'Italia e del mondo, passa 300.000, questa volta non si è scatenata una effervescenza intonata allo spirito che le legittima ma un po' stonata e troppo invadente e autoreferenziale. Si è avuta l'impressione che papa Ratzinger non li avesse chiamati a mostrare visibilmente la forza e la fantasia che lo Spirito opera nei suoi discepoli, ma piuttosto a mettersi in ascolto umile e silenziose di ciò che vuole comunicare ai suoi fedeli. Un convegno solenne, imponente, ma misurato, dove l'aspetto più importante non era la gente, i destinatari, ma lo Spirito, l'autore. E dunque tanta preghiera e tanta riflessione.
Invece della sfilata dei fondatori, accompagnata dall'ovazione festante che dai rispettivi discepoli e gregari, si è preferito scegliere tre dei più rappresentativi a commentare i salmi del vespro che venivano cantati. Si è potuto così ascoltare l'intervento del prof. Andree Ricardi della comunità di San Egidio, a commento dal salmo 112, il "Laudate pueri Dominum", di Kiko Arguello dei Neocatecumeni a commento del salmo 147, e di don Julian Carròn di comunione e liberazione a commento della Apocalisse. Dei tre interventi, il più profondo e "biblico" mi è parso quello dal prof. Riccardi, un'omelia da padre della chiesa. Ha insistito sul fatto che, solo con la dimensione interiore e la grazia di Dio il cristiano, anche il più impegnato, può salvarsi dalla povertà e dalla sterilità. Il più polemico e forse stonato è stato quello di Kiko che, parlando della ricostruzione del tempio di Gerusalemme e dell'umanità di oggi, ha insistito sull'essenzialità dei movimenti carismatici, così poco considerati dalla gerarchia.
Il papa ha tenuto, come sempre, una grande omelia, lunga, profonda, articolata, e ragionata. Pesante anche come contenuto e pesata. Una lezione teologica sulla scuola dello Spirito Santo. Una scuola di libertà, di responsabilità, di unità e complementarietà dei movimenti fra di loro e con tutte le compionenti del corpo della chiesa. Come Gesù a Nicodemo: "Il vento soffia dove vuole e tu senti la sua ventata, ma non sai né da dove proviene né dove va" (Gn 3, 8), lo Spirito, il vento creativo di Dio, è libero di soffiare dove vuole, perché la sua libertà non sopporta confini né esclusive monopolistiche. Se lui è la fontana di vita, dobbiamo andare noi a bere alla sua fontana, con umiltà e in fila con gli altri servi di Dio, e non illuderci di poter mettere l'acqua nelle fiasche e portarla a vendere nelle nostre baracarelle. In più, il soffio dal vento di Dio è fantasioso e creativo, ma non dispersivo. Crea disordine nel nostro ordine, ma per mettere sù il suo ordine. è uno spirito di multiformità, ma non di confusione e di contraddizione. Lui è libero nei nostri confronti, ma noi non siamo liberi nei suoi. Da qui grande umiltà, docilità, contemplazione. E' un correre dell'anima, non un correre in giro. Uno spirito che opera nel santuario del nostro cuore e non nelle piazze e nella confusione e nella competizione col mondo.

sabato 7 giugno 2014

23 In coda per il Codice

23 In coda per il Codice
E' inutile mettere la testa nella sabbia per non vedere la realtà: 50 milioni di copie in tutto il mondo e la gente in coda per vedere un film ancora più sballato del libro sono una buona sberla. alla serietà della gente, alla coerenza dei cristiani e di quelli che, in generale, cercano la verità, alla forza di persuasione degli intellettuali e dei maestri in fatto di religione e di fede. Il segretario della Congregazione per la dottrina della fede ha mandato fuori un documento dove spiega e contesta una per una le teorie sballate di Dan Brown e le falsità evidenti con la tradizione culturale cristiana, le incongruenze e le assurdità storiche; vescovi e cardinali e preti e perfino una organizzazione potente e influente come l'Opus Dei, chiamata in causa senza nessuna logica, hanno avvisato e straavvertito che si trattava non solo di un falso ma di una offesa alla ragione e alla religione. Ebbene tanto clamore e tante prediche, sacrosante, non hanno fermato nessun curioso dal comprarsi il libro o di buttare via i soldi per il cinema. Che anzi la proibizione e le raccomandazioni della gerarchia hanno fatto da cassa di risonanza, trasformando una banalità in un evento mondiale.
Davanti a questo flop generale, dobbiamo porci qualche domanda e tirare qualche conclusione. La prima, scontata ma non troppo. Che nessuna proibizione ha mai fermato nessuno. Non lo faceva per verità, quando valeva il principio di autorità e lo farà tanto meno adesso, che vale il principio "proibito proibire". Allora la Chiesa deve tacere? No. Deve parlare, ma sapendo che non fermerà nessun curioso e ingenuo. Deve dire la sua ma senza insistere troppo, senza fare campagne tipo "Esercito della salvezza", senza nessuna crociata moralistica. Deve spendere sulla promozione, non sulla proibizione. Deve investire sugli svelti, che saranno sempre minoranza, e non sugli stupidi, che saranno sempre maggioranza. Più che mettere recinti o reticolati o staccionate, perché le pecore non scappino, deve creare un clima positivo, bello, sereno, di modo che non abbiano nessun prurito di scappare, sapendo che mollerebbero il più per il meno.
Che la gente preferisca le fiabe, più golose, alla verità, più faticosa, non è di questa nostra società postmoderna e postcristiana. Lo scriveva già San Paolo al suo discepolo Timoteo: "per i loro pruriti, si tireranno vicino una folla di maestri che gli lisceranno le orecchie e così non vorranno più saperne di ascoltare la verità per andare dietro alle fandonie" (2 Tm 4, 3-4). Pinocchio, che vende il sillabario per andare a vedere i burattini, è un modello imperante e sempre attuale. Se uno vuole andare a fondo nella storia di Cristo e del suo mistero, non va da Dan Brown, ma da Matteo, Marco, Luca e Giovanni e dai padri della chiesa e dai santi.
Il caso ci fa capire quanto poca è la preparazione e il fondamento culturale dei nostri popoli "cristiani", e quanto poco siano in sotto sono le nostre "radici cristiane". per dire che il lavoro di coscientizzazione e di acculturizzazione è sempre da fare. perciò si deve investire in formazione e cultura più che in manifestazioni megagalattiche. Bisogna resistere alla tentazione di allungare l'acqua della verità o di gasarla per vedere le bollicine.
Ma una domanda devo farmela e farla. Se un autore furbo e poco serio riesce a farsi leggere e guardare da milioni di persone raccontando un sacco di balle, perché i nostri teologi e intellettuali cattolici non sono capaci di raccontare la grande e bella verità di Cristo con la stessa grazia e con lo stesso incanto? Perché noi dobbiamo riuscire, o almeno tentare una comunicazione golosa, splendente, del mistero di Cristo? Perché la verità deve essere meno bella della bugia? Perché noi cattolici dobbiamo avere solo documenti bavosi e non troviamo un Dan Brown?

domenica 1 giugno 2014

22 Nella squadra di Dio

22 Nella squadra di Dio
Dice la Bibbia che tutte le cose hanno due facce. Così uno che ci vede entrare nell'ospedale un giorno sì e un giorno no per travasare il sangue, può pensare: "che fortunati che sono: possono andare a bere a una fontana che salva loro la vita". E un altro può correggerlo: "ma no! Non vedi, poveri, che sono in lista per la corriera che li conduce via!". E, a dire la verità, ci sono ragioni tanto da una parte che dall'altra. La dialisi ci permette di tirare avanti, ma la cronicità dal male ci conduce via. In poco tempo la corriera è passata tre volte. L'ultima sosta è stata la più dolorosa, perché ci ha condotto via un giovane, Giacomo.
Lo avevo salutato come ogni volta nel lunedì, alla fine della dialisi e, dato che un mio amico si lamentava delle sue dolenzie, gli ho detto: "Non fare quella vita! guarda Giacomo che serenità ha e che esempio ci dà". pòi gli ho fatto: "Mandi, Giacomo!". E lui: "Ciao, Bellina!". chi pensava che aveva ancora una giornata di vita?
In effetti i suoi malanni erano tanti, aumentavano a dismisura e venivano da lontano. Questo giovane innamorato della vita, appassionato di sport e tutto ciò che di bello ti puoi trovare sul fior fiore della gioventù, colonna della squadra di calcio del Bearzi, ha iniziato il suo calvario a 16 anni, con un malore al termine di una partita, e la dialisi. Nel 1984 uno sprazzo di salute: un trapianto di reni gli torna a fare splendere il sole. Ma cinque anni dopo si trova come prima e peggio di prima, con le complicazioni. La prima e più brutta quella di dovere adoperare le stampelle. Arrivava per primo con la sua auto sempre in ordine, col giornale sotto il braccio, lungo e secco come un pennello, gli occhi sereni anche se velati di malinconia e con un ridere misurato. Mai un lamento, mai una malegrazia, mai una ribellione. Anche quando la dialisi diventava una tortura. Ci voleva bene e noi gli volevamo bene, cercando di spartire assieme la nostra esperienza e di darci una mano col calore della solidarietà e dell'affetto. La fine è giunta improvvisa mercoledì sera. Lo hanno sepellito sabato scorso. Quelli che lo hanno visto nell'ultimo sonno, sono rimasti impressionati dalla sua serenità. Come uno che toglie dalla schiena una croce portata troppo a lungo e troppo calcata, e tira fiato.
La prima giornata senza Giacomo eravamo sconfortatati e non riuscivamo a darci pace, anche se poche volte la morte è stata una liberazione meritoria come in questo caso. Ognuno covava i suoi pensieri. A un certo punto, uno dice: "Sento che Giacomo è con noi, in giro per la stanza". Dopo un'eternità, un altro dice: "Questo è un caso di cui scrivere: Santo subito!". E di nuovo zitti, a pensare a uno che non è più con noi, che è stato tanto con noi e che non è andato dal tutto.
In questi giorni che ci preparano alla Ascensione, la liturgia ci fa leggere le parole di Gesù: "Il vostro cuore è gonfio di avvilimento. Ma io vi dico la verità: è meglio per voi che io parta" (Gn 16, 6-7). Mi piacerebbe che i genitori e i fratelli e i tanti amici di Giacomo riuscissero a leggere con la luce della fede questo suo allontanarsi da un mondo di dolore per un mondo di libertà e di contentezza, come una vacanza eterna. E chi lo merita più di lui, che ha tribolato 28 anni su 44?
Il Signore, col suo modo misterioso di volerci bene, ha lavorato alla perfezione questo suo figlio e lo ha spurgato a lungo nel forno della passione, per farlo diventare un diamante perfetto e splendente. Una punta di diamante Nella squadra degli angeli e dei santi. Mandi, campione!