sabato 30 aprile 2011

19 Poca voglia di Esodo in Friuli


19 Poca voglia di Esodo in Friuli

Anche il mio gatto sa che la prima Pasqua è accaduta in Egitto e che la Bibbia narra questo “passaggio” di Jahvè e del suo popolo nel libro dell’Esodo. Nessuna meraviglia quindi che nella “lectio continua” della Bibbia il mio gruppo mattutino, scelga questo libro fondamentale, con una parola di commento.
Quando racconto loro dei bimbi ebrei condannati a morte dal faraone, mi accorgo che le mie fedeli si risentono che la schiavitù è un’opera diabolica, come le barbarità a cui si può assistere in questi giorni nel bel film di Schlinder e della sua lista di ebrei salvati dall’Olocausto di Auschwitz.
I conti non tornano quando cerco di attualizzare l’Esodo , perché non diventi una cosa morta e sepolta. Terminato di leggerlo, finisce anche la commozione e l’interesse si sposta dalle sabbie del deserto alle aiuole dell’orto ancora indietro. E mi chiedo:”Come mai il popolo ebreo aveva tanta voglia di liberazione al punto d’affrontare il cielo e i rischi per spezzare le catene che lo tenevano legato e i friulani non si scompongono per la loro sottomissione?”
Domanda interessante e inquietante, che merita una risposta.
Prima di tutto non si deve tirare troppo in ballo la Bibbia, per non cadere in un fondamentalismo stupido. L’esperienza degli ebrei, storicamente conclusasi, posso solo prenderla come una parabola dell’operare di Dio. E qui ha inizio un bel lavoro per analogia. Non so se ci riuscirò; chiedo di non essere condannato per averci tentato.
Le differenze di fondo tra il libro dell’Esodo e i friulani per me sono queste.
Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è un Dio che spinge gli oppressi ad abbandonare il faraone e a migrare. Il nostro Dio, o almeno colui che così ci è stato presentato, ha sempre insegnato ai poveri a sopportare e a inghiottire in attesa del premio nell’aldilà. Un Dio a difesa dello status quo, più che il Dio rivoluzionario della Bibbia.
Gli ebrei avevano contro di loro il faraone, con un volto ben definito, da cui proteggersi e a cui ribellarsi, i nostri faraoni sono sempre più di uno e non ci mostrano mai la loro ghigna, perciò non si sa mai da che parte sparare, anche perché sono galeotti. Invece di uccidere il popolo, preferiscono legarci con catene spirituali e culturali, che non ci procurano dolore fisico, ma ci scannano dal di dentro.
Ma trovo una differenza ancora più grande. Gli ebrei avevano dalla loro parte Mosè e Aronne, il potere civile e quello religioso e, se vengono a mancare, non si può fare nulla. Quando abbiamo avuto un politico o un vescovo che sia andato dal faraone a chiedere di lasciarci liberi di pregare e di vivere nella nostra identità, minacciando di fargli pagare le sue angherie? I nostri superiori politici e religiosi non sono mai andati in rotte col potere, che li pagava e legittimava, e hanno sempre fatto la predica, a noi che non ne avevamo bisogno.
Pertanto non mi sento di condannare la mia gente, se non ha tanta voglia d’Esodo, come gli ebrei. Loro hanno compiuto il grande passo perché avevano fame e pativano. Se avessero avuto la televisione, la moto e il frigorifero pieno, avrebbero mandato a quel paese anche Mosè. I friulani, in questo momento di abbondanza, pensano più mangiare e a ballare che non alle cose spirituali. Ma erano meglio gli ebrei, che appena Mosè si è distratto un attimo, hanno realizzato, in pieno deserto, la discoteca del “Vitello d’oro”? E a dirigere la musica con la bacchetta, era il prete Aronne. I nostri preti, ringraziando Iddio, non sono ancora arrivati a tanto.

domenica 24 aprile 2011

18 Il canarino pasquale


18 Il canarino pasquale

18 Il canarino pasquale.

“Siamo risorti alla vita, abbiamo celebrato la Pasqua…” anche noi, comunità peccatrice e distratta di Basagliapenta. Con i tempi che corrono, non sicuramente tutto a causa della gente, non mi attendevo chissà quale ressa, invece la sorpresa è stata grande: una strage di persone, più di ogni altro anno, a vivere la giornata dell’amore di Giovedì santo e quella del dolore di Venerdì e quello della gioia pasquale nella Veglia “madre di tutte le veglie” e “nella prima giornata della settimana”.
Sicuramente il fatto di avere tanta gente non deve illudermi. Se la rivoluzione della Pasqua inizia e si conclude in chiesa, siamo veramente mal messi. Detto ciò, preferisco avere la chiesa gremita, con tutti i rischi della distrazione, che ne conseguono, piuttosto che quattro gatti elitari. Perché metto già in preventivo che, presenti o non presenti, santi o peccatori, il mistero rimane mistero, ovvero al disopra della nostra portata e la gente comprende ciò che può capire e partecipa fino dove può partecipare. E questo è sempre accaduto, anche in tempi più adatti per la fede.
Mi ricordo che a Venzone, durante la solennità delle Quaranta Ore, il pievano chiamava oratori famosi per convertire i miei paesani recalcitranti. E il duomo era stracolmo di persone, intente ad adorare “il mistero della presenza”. Ma di quei momenti straordinari mi è rimasta nella memoria solo pre Raffaele Zanini, che è scivolato sul tappeto e ha saltato con il sedere tutti i sette gradini dell’altare maggiore. E della Settimana Santa mi ricordo solo le scraculades subito dopo aver spento l’ultima candela, con il sacrestano che ci picchiava con il manico della borsa e noi che mettevamo i sassi nelle scarpe per fare più chiasso. E nel mese di maggio potevano bene anche togliere la Madonna. Bastava che ci avessero lasciato i maggiolini da liberare in chiesa e i campanelli da suonare dopo la funzione del rosario. Un anno a Basagliapenta è morta una persona di danno e il dolore era grande. Ma il becchino, nell’abbassarsi, strappò i pantaloni. Non mi ricordo di aver fatto un funerale più consolante e allegro.
La gente è così. Siamo tutti così. E dobbiamo accettarci. Per questo, della Pasqua di quest’anno, mi basterebbe che si ricordassero del canarino che abbiamo portato in chiesa nei tre giorni santi. Ha tanto cantato, ma tanto, che la gente era come istupidita ad ascoltarlo. E ogni volta che cantava, i bambini e i grandi si davano di gomito ridendo. E quando si zittiva, non attendevano che il prete riprendesse a predicare ma che il canarino riprendesse a cantare.
Quanta contentezza nella Pasqua di quest’anno! E se ci ha aiutato il canarino con il canto, che Dio lo benedica. Certo che lui non capiva nulla del mistero, come non avrà capito nulla il gallo che cantava per contare i rinnegamenti di Pietro. Come non avranno compreso nulla i diretti testimoni di questi grandi avvenimenti. Il capire è relativo e anche la folla dei partecipanti. L’importante è che accadano. Sono sicuro che il prete più sfortunato abbia avuto più gente in chiesa il giovedì santo alla sera che non Cristo all’ultima Cena e anche venerdì santo rispetto agli spettatori della morte di Cristo, pochi e distratti. Per non parlare della Pasqua, in cui è risorto senza che nessuno gli battesse le mani o gli facesse da testimone. Eppure le nostre chiese zeppe di persone sono una pallida ombra di quei fatti accaduti nel silenzio e nel mistero.
Non è la processione di persone verso il sepolcro che fa risorgere Cristo ma è la resurrezione di Cristo che attira la gente verso il sepolcro vuoto. E dinnanzi a un mistero così grande ogni segnale è valido e inadeguato allo stesso tempo. Così il mio canarino può far ricordare la Pasqua più di tutte le liturgie e le omelie di questo mondo.

sabato 23 aprile 2011

17 Onorare: una legge di vita


17 Onorare: una legge di vita.

In quel puntino sperduto nel mondo, che si chiama Basagliapenta la primavera è entrata anche quest’anno alla grande. Difatti il 21 marzo abbiamo presentato la Bibbia tradotta in friulano, nello stesso ambiente in cui è maturata. Una grande festa: per la gente, per le belle parole dette, per il clima religioso e affettuoso della celebrazione. Insomma bene e basta.
Vorrei scrivere qualche impressione a caldo.
Qualcuno si aspettava il pienone in paese. A parte che non è più la stagione dei pienoni, bisogna anche dire che la gente si è assuefatta, l’abbiamo abituata, a venire in chiesa solo per la messa o per le funzioni religiose. Se gli avessimo detto che la Bibbia non vale meno della messa e soprattutto del rosario e delle coroncine, forse ora staremmo meglio. Mea culpa. Peraltro possiamo prendercela con le persone, se per le gerarchie la Bibbia viene dopo tutto il resto?
Un gruppetto di ragazzini mi ha detto: “Pre Toni, lunedì non possiamo esserci perché a Udine c’è Jovanotti e abbiamo già comprato il biglietto.” Cosa dovevo dire loro? Che paragonare la Bibbia a un disco o a un cantante è un’eresia e preferire il cantante è una tragedia? Se l’hanno fatto, lo avranno sentito da altri. Nel caso è meglio chiedersi come siamo giunti a questo? Ho risposto loro: “Ragazzi, può essere che per voi questo sia il tempo di Jovanotti. Quando verranno altri tempi, spero che possiate leggere il libro della vita.”
Però la maggioranza è stata più che contenta. Infatti il giorno dopo dicevano ”Cosa vi siete persi!”.
Che è il più bel complimento, dal momento che in chiesa si deve guadagnare, non perdere.
Molti hanno detto: “ Noi, non c’intendiamo riguardo la Bibbia, ma abbiamo piacere a sentire parlare bene del nostro prete.” Che bello! Il prete, il medico, il maestro non devono onorare la loro professione e il loro ambiente? Se un prete fa odiare la chiesa e un professore la scuola e un dottore l’ospedale e un genitore la casa e la famiglia, non è un delitto?
Una volta Gesù stava parlando e una donna ha urlato: “Benedetta tua madre che ti ha partorito e il suo seno che ti ha allattato!” Difatti, quando uno si fa onore, si dice: “Benedetta sua madre!” Se invece lo conducono in prigione. “Povera madre!”.
Quando è terminata la celebrazione, le donne di Basagliapenta, e non solo loro, sono venute a complimentarsi con me e dicevano: “Che onore ad averlo come nostro parroco” se invece ne avessi combinata una di quelle grosse avrebbero finto di non conoscermi e avrebbero detto: “ Ne ha combinata un’altra delle sue, quell’ostinato?”
Una persona che ti onora, l’ascolti, la preghi, la tieni da conto, perché ti aiuta a vivere. E si è orgogliosi di mostrarla come un tesoro. Che piacere, se i friulani, quando si incontrano con un forestiero, dicessero: “Vieni, che ti mostro i miei tesori: la mia chiesa, la mia lingua, il mio canto, il mio modo di vivere, di ragionare, di mangiare!” sarebbe un popolo onesto e bravo e di avvenire sicuro. Si mostrerebbe intelligente e fine. Esibirebbe allo straniero i suoi tesori senza perdere la sua dignità e guadagnerebbero entrambi.
Il quarto comandamento recita: “ Onora tuo padre e tua madre, se vuoi vivere a lungo sulla terra.” Peccato che l’abbiamo usato nell’accezione più banale ovvero ubbidire ai genitori, ai superiori e ai padroni. C’è qualcosa di più. Il frutto dell’albero onora il fiore e il ramo e il tronco e la radice. Solo così c’è continuità. Perché onorare non è una regola di buona educazione o di convenienza ma è una legge di vita. Il contrario di onorare è il vergognarsi, non voler più sentire parlare, tagliare ogni rapporto. La morte.

venerdì 22 aprile 2011

16 Mandi, passerotti, e buona fortuna!


16 Mandi, passerotti, e buona fortuna!

Il Signore, nella sua liberalità, mi ha fatto giungere in una casa con un grande cortile, un bell'ippocastano nel mezzo, e prato da vendere e le mie giornate iniziano e terminano con le lodi e i vespri cinguettati dagli uccellini.
In questo grande spazio, che tutti i bambini invidierebbero, ho appeso sui rami dell'ippocastano due casette. E lì regolarmente, per tutto l’inverno, passo a buttare scodelle e scodelle di miglio, frumento, mais macinato e girasoli. Perché le bestioline possano affrontare i rigori della stagione senza grandi fastidi, loro che “non seminano, non mietono, non ammucchiano nel granaio”. (Mt 6, 28). Nonostante ciò, non hanno mai perso né il piacere di cinguettare né di mangiare. Perché, anche se loro non lo sanno, il Padre celeste li mantiene. A dir la verità sono io che li mantengo, ma perché ho trovato altre persone che vedono di me e Dio che vede e provvede a questa gente. È la catena della Provvidenza, più seria di quella di Sant’Antonio.
Sicché dunque ogni giorno, con la pioggia, la nebbia e il ghiaccio, una trentina di passerotti, assieme a qualche sirant, si sono trasferite nel mio albergo, spesate di tutto. E io trascorrevo le giornate a guardarle saltellare sui rami, a litigare fra loro per entrare per primi nella casetta, o anche per becchettare sotto l’albero, come tante galline . Ogni tanto arrivavano anche le tortorelle e il quadro sarebbe stato paradisiaco, se non fossero arrivati i gatti, anche loro cittadini affettuosi della canonica.
Da un po’ di tempo a questa parte il mio lavoro è calato di colpo: la casetta non veniva svuotata con la velocità di sempre e anche i passerotti, man mano che aumentava il tepore e l’erba, hanno preso il largo. Qualche ciuffo di tarassaco o filo d’erba o seme riescono a procurarselo dappertutto e non hanno più bisogno del pievano.
Non sarei sincero se non dicessi che all’inizio ho provato un po’ di delusione e una punta di avvilimento. “Guarda – mi sono detto – fino a quando avevano bisogno non hanno saltato un giorno e ora non sanno nemmeno dov’è la canonica”. Un ragionamento umano, ma tanto limitato e poco intelligente. Non posso pensare che Dio abbia creato i passeri per far compagnia a un povero prete e dare vita a una vecchia canonica. Se mai il contrario. Si può provvedere per loro quando non ci arrivano, ma solo per aiutarli a giungere al momento in cui si arrangiano da soli, Difatti, ora sono cresciuti, e hanno avuto tanta intelligenza da disimpegnarmi. La dipendenza deve restare un gradino nella vita, non può diventare una regola.
Mandi, passerotti benedetti, e buona fortuna! Ora che mi sono liberato di loro, posso utilizzare il tempo per altre cose, per esempio per il giardino e per l’orto, infatti è giunto il momento di trapiantare, irrigare. Ritorneranno, se saranno vivi, e io ritornerò a nutrirli, se sarò vivo. Per ora mi rimane l’orgoglio di averli aiutati e di sapere che si arrangiano.
Di ragionamento in ragionamento, ho pensato alla Chiesa, che per tanto tempo ha nutrito e sostentato e ora si lamenta che la gente non la frequenta. E anche a tanti genitori , che non vedono più aprirsi la porta di casa ed entrare i figli. Nel lamento di tanti preti però ho notato più rabbia che dolore; in quello dei genitori più dolore che rabbia. La differenza sta nell’amore, porta alla strada della libertà.

giovedì 21 aprile 2011

15 la differenza fra Dio e l’uomo


15 la differenza fra Dio e l’uomo

Sono andato agli esercizi spirituali assieme ai miei amici. Una cosa simile si legge anche nel vangelo, dove dice che “Gesù prese a parte Pietro, Giovanni e Giacomo e li condusse soli sopra un alto monte” (Mc 9,2).
Forse il nostro confronto con il vangelo si ferma solo al monte (siamo stati a Zuglio), ma abbiamo cercato lo stesso di ispirarci a quel passo e a quel fatto. Cioè al piccolo numero di partecipanti. In centomila si può assistere a una partita, ma non meditare. Ci siamo recati in un posto fuori mano, non per fuggire dalla realtà, ma per guardarla con più obbiettività e caricarci per poter ritornare alla vita quotidiana con uno spirito diverso. Se non si dà anche spirito si dà poco e non si può donare spirito, se non ci si mette in contatto con lo Spirito.
Ci siamo recati sulla montagna perché più si va in alto e più si vede la realtà nella sua globalità. La si vede relativizzata e soprattutto a rovescio, perché la si guarda dall’alto in basso, come le guarda Dio. E guardando dall’alto, le cose sono una più piccola dell’altra, e tutte piccole.
Ma ci siamo andati anche per un altro morivo. Non basta parlare di Dio se non si parla a Dio. Non basta nominare trenta volte al giorno il nome di Dio se non si ha l’esperienza di Dio. Noi preti raccomandiamo sempre di pregare. Non so se preghiamo troppo. Dispiacerebbe che succedesse con noi, come col calzolaio, che ha le scarpe più rotte del paese.
Inoltre abbiamo voluto lasciare i nostri lavori anche per un senso di gratuità e delicatezza. Per capire e fare capire che il vero prete e pastore del paese è il Signore. Se manca il prete non cade il mondo. Se manca il Signore il mondo non si regge.
Prima di partire ho fatto ciò che fa ogni persona senziente: ho cercato di sistemare ciò che avevo fra le mani e di provvedere a quelle creature che dipendevano da me. Intendo quelle della canonica, non le anime, che non mi appartengono.
Ho dato il becchime agli uccellini nella gabbietta e a quelli che vengono a becchettare sotto l’albero. Ho provveduto ai cani, e ai gatti, anche a “quello della Bosnia”. Che sarebbe un povero gatto che viene ogni giorno a miagolare sulla porta. Inoltre ho annaffiato tutti i fiori, in casa e fuori.
E mentre compievo quest’officiazione ragionavo e ho scoperto che l’uomo è grande e piccolo, partecipa a Dio ma solo in una maniera molto limitata. Qui sta la differenza fra me e lui. Ho detto loro: “Io posso provvedere a voi per un giorno o due, ma non oltre. Se volete che vi aiuti, pregate che ritorni, altrimenti dovrete rassegnarvi all’assistenza pubblica, come tutti.”
La provvidenza di Dio è lunga come il tempo, che è infinito. La mia è corta come il mio tempo, che dura un attimo. Però in questo breve tempo io faccio da Signore per le mie creature.
Facendo la mia parte, mi sento apparentato con lui e gli do una mano nel mio fazzoletto di terra e nella mia briciola di tempo. E mi illudo di alleggerire il carico a lui, che deve provvedere a tutta l’estensione del mondo e per tutta la lunghezza del tempo.
Forse intendeva questo il Signore, quando ha detto di non tormentarci per il domani (Mt 6,34). Il nostro amore, anche quello di una madre che è il più grande, deve accettare il limite. Finché si può e fino dove si arriva.

mercoledì 13 aprile 2011

14 I miei giovani, così lontani e così vicini


14 I miei giovani, così lontani e così vicini

In questo momento, e sempre, il mio affetto pensieroso va ai miei giovani di Basagliapenta e di Rivalpo e Valle e Trelli e agli altri che che ho conosciuto nella mia vita.
Siamo giunti velocemente a metà Quaresima e ci stiamo avvicinando al mistero rivoluzionario della Pasqua ma non vedo nei miei giovani tutto quell’interesse e partecipazione che si avrebbe diritto d’attendersi. Ho l’impressione che il fatto non li sconcerti per nulla.
Per non rimanere da solo con la mia pena, vado a dare un’occhiata al mondo della scuola. Anche qui c’è disinteresse generale. Passo attraverso la baracca della politica e le cose, se fosse possibile, sono ancora più desolanti. Per farla breve, sembra che i giovani non abbiano più passione per nulla, un generazione di persone che inghiottisce mode e soldi e idoli senza dare un contributo alla società.
La strada più comoda, e più banale, sarebbe quella di unirmi al coro generale che soffoca la gioventù con gli epiteti più brutti e con i giudizi più impietosi.. ma non è giusto e soprattutto non abbiamo nessun diritto di giudicare questa generazione ”cattiva e traditrice” (Mt 16,4) perché la cattiveria più grande e il tradimento più sporco lo abbiamo fatto noi prima di loro. Dinnanzi all’adulterio che i giovani stanno facendo nei confronti del nostro mondo così corretto, cattolico e benpensante, devo ripetere le parole del Signore: “chi fra voialtri è senza peccato, scagli la prima pietra” (Gv 8,8). E allora vedremo allontanarsi, uno dopo l’altro, il genitore, il prete, il maestro, il politico etc, etc…
Quando urliamo che non hanno valori, non facciamo altro che dare loro la responsabilità del nostro peccato. Perché i giovani, con il loro comportamento, sono lo specchio del nostro peccato.
Loro non hanno valori, ma noi li avevamo e li abbiamo persi o venduti o sepolti. Noi avevamo un’esperienza di povertà, essenzialità, paese, cultura, lingua, musica, religione, concezione della vita. Erano il nostro tesoro, da tramandare alle nuove generazioni, e la “roba” e i “soldi” ci hanno preso tanto al punto che abbiamo lasciato cadere le perle spirituali.
Non voglio con questo condannare senza appello la nostra generazione. Probabilmente abbiamo creduto di fare bene. In pratica però abbiamo fatto una scelta parziale, sacrificando l’”essere” al’ “avere”. E questo non ci permette di fare prediche.
Ma se i genitori non hanno troppo diritto a fare prediche, ne hanno ancora meno diritto i preti, i maestri e i politici, che avevano a loro disposizione più tempo e mezzi ed erano pagati per questo. Quelli hanno addirittura perso l’autorevolezza, che darebbe il primo diritto a fare la ramanzina.
Si può benissimo rifarsi al caso di Pinocchio e pensare che la gioventù è l’età della pazzia, che si aggiusta col tempo. Qui però c’è qualcosa di più profondo. C’è una generazione intera che passa diritta davanti alla chiesa, non si sogna di sfogliare un libro ed è nauseata dalla politica. Si può tirare in ballo l’edonismo e il consumismo e tutti gli ismi di questo mondo, ma si tratta di uno schiaffo maiuscolo alla Chiesa, alla scuola, alla politica, a tutti i livelli.
Cosa possiamo fare? Vergognarci, pentirci, recuperare in amore ciò che non abbiamo saputo fare in intelligenza. Un amore umile e paziente, di peccatori e non da maestri. Facciamo luce sul mondo religioso, culturale e sociale e anche i giovani, così lontani, ma così vicini al nostro cuore, ritorneranno. Come le falene attratte dalla luce. E il Dio del perdono abbia pietà dei padri e dei figli e aggiusti gli errori della nostra e di ogni generazione.

sabato 2 aprile 2011

13 Il regalo più grande


13 Il regalo più grande

Nella mia vita ho ricevuto pochi regali. Questo lo consideravo un male fino a che non ho visto la generazione d’oggi, tanto colma di regali da non riuscire più a goderli e convinta d’essere sempre in diritto di prendere senza mai ricambiare. Da lì l’assuefazione al bene, che ti impedisce di godere, e l’egoismo, che ti desertica il cuore.
Avendo ricevuto pochi regali, ogni volta che qualcuno si ricordava di me era un festa e me li sono segnati nella memoria del cuore.
Ma un regalo forse unico è quello che ho trovato l’altro giorno sulla porta della canonica. Un foglietto d’agenda con scritto sopra: “un pensiero dall’Africa. Mandi. Miriam” e, appoggiato sulla pietra, un mazzo di fiori africani straordinari. Veri, naturalmente.
Per le linguacce spiegherò che Miriam è una persona cara di Villa e che ci conosciamo a causa dei miei poveri libri. È amica anche del prete di Guart ed è stata in Africa nei giorni scorsi assieme a don Lorenzo. Lei aveva il marito e lui aveva una badante guartana che lavorava laggiù.
Dinnanzi a questo regalo il cuore si è annodato. Sia per la finezza del pensiero sia per la fatica nel portarle. Dall’Africa si possono portare qua o rubare molte cose. Ci sono stati quelli che hanno portato via oro o diamanti, legno e avorio e materie prime. Addirittura hanno portato via la gente, nella tragedia della schiavitù. Ognuno porta via ciò che gli sta a cuore, perché è il cuore che ti destina il tesoro, come dice il vangelo (Mt. 6,21). Il cuore di Miriam e di don Lorenzo era legato a un fiore e hanno affrontato le traversie del viaggio per farmi giungere una cosa viva come segno di un amore vivo. Che Dio gliene renda merito.
Il pensiero mi è andato velocemente a ciò che avevo visto in Carnia. Quando, dinnanzi a un malato giunto all’agonia, si andava a prendere a notte fonda l’acqua di una sorgente lontana, che dicevano avesse virtù miracolose. Naturalmente non giovava per il corpo, ma compiva il miracolo nel cuore di chi la donava e in chi la riceveva. O quando prendevano dalla dispensa o dalla cantina una rarità per offrirla.
I regali devono essere costosi, altrimenti non sono regali. Ma devo costare vita, non soldi, altrimenti non partono dal cuore e non giungono al cuore, in più devono contenere in sé qualcosa della persona che li regala. Per cui varrà sempre più una cosa genuina che una falsa, una cosa viva che una morta, una cosa nostrana che una forestiera. E una parola varrà più di una cosa. E una lacrima più di una parola.
Per questo io chiedo che i friulani regalino qualcosa del loro e di loro, per onorare sé stessi e l’ospite. E i primi regali sono quelli della lingua, della liturgia, della musica, della filosofia, della fantasia, dell’ingegno, dei costumi. Per onorare lo straniero dobbiamo esibire le nostre cose. E nessuna legge di ospitalità può obbligarmi a rinunciare alla mia anima per favorire il forestiero. E se uno straniero viene di prepotenza e senza educazione, ho il diritto di non aprirgli la porta del mio cuore e di non privarmi dei miei tesori. Ha il diritto di venire a sostentarsi da me, ma non di rapinarmi o assassinarmi.
Cristo ha donato al mondo la sua genuinità e ci ha salvati rimanendo ciò che era. Riuscirà la Chiesa ad avere tanta intelligenza e coscienza di rispettarci e invogliarci a pregare, cantare, restare nel nostro clima culturale e religioso? Per poter offrire al mondo il nostro fiore, piccolo o grande ma sicuramente unico.
Solo un popolo vivo può fare doni vivi e solo un regalo vivo si può chiamare regalo.