03 Dal luogo
al tempo
Gli storici delle religioni restano meravigliati e non
sempre arrivano a darsi una spiegazione razionale della peculiarità del popolo
ebraico rispetto a tutti gli altri popoli del mondo di quei tempi. Solitamente
si trova un popolo grande o una istituzione forte e dominante che riesce a
conservare e addirittura a imporre una sua concezione culturale e religiosa. Ma
non è mai successo che un popolo piccolo, perseguitato in ogni sistema,
soggetto a mille sollecitazioni e tentazioni, abbia potuto conservare la sua
unicità, tanto da potere autoproclamarsi "il popolo di Jahvè", una
sorta di sua proprietà esclusiva.
Ma, a ben guardare, il monoteismo è solo un degli
aspetti di questa anomalia del popolo ebraico e non è il più importante.
Guardando la concezione religiosa del popolo ebraico e quella di tutti gli
altri popoli, si viene a scoprire un aspetto che io considero veramente unico e
rivoluzionario. Tutti gli dei, di tutti i popoli, sono legati a un luogo e a un
territorio particolare da proteggere come garanti della loro fortuna. Gli dei
dell' Egitto devono difendere l'Egitto, l'autorità del faraone e la sua
prosperità. Così gli dei di Babilonia o di Ninive o di qualunque altra
comunità. Gli dei sono messi a guardia del tempio, ad assicurare uno status
quo. Oggi li chiameremmo conservatori, per non dire reazionari.
Il Dio di Israele, invece, è un Dio che non è legato a
nessun luogo fisico o geografico ma è legato a un popolo, alla sua storia, ai
suoi momenti più o meno fortunati. Non è il Dio di Atene o di Corinto o di
Roma, ma il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Un Dio legato alle persone
e al loro divenire. Non un Dio seduto sulla punta del tempio a garantire che
tutto rimanga come prima, ma un Dio che cammina per le strade degli uomini, con
le loro gambe, a cercare fortuna e a patire ogni sorta di tribolazione come
loro. Non un Dio del passato, ma dell' avvenire. Non un Dio di potere, ma di
ricerca. Non un Dio di sicurezza, ma di rischio. Non un Dio potente, anche se
impotente come tutti gli idoli, ma un Dio debole e "sofferente",
anche se onnipotente. Non è un caso che gli ebrei privilegino il sabato, il
tempo, rispetto al tempio, il luogo.
Questa concezione di Dio, questa idea straordinaria e
rivoluzionaria, è stata la loro salvezza nella loro disgrazia, come la
concezione contraria è stata la rovina dei popoli che avevano legato la
divinità ai sassi, ai palazzi, al potere. Caduto il tempio, perduto il
territorio, è caduto tutto. E ciò che è rimasto è solo un segno patetico di una
grandezza perduta, buono solo per i turisti e per i curiosi. Invece il popolo
ebraico ha saputo resistere alla perdita del tempio, della patria, della
libertà e ha saputo affrontare ogni sorta di peripezie e di sfortune confidando
in quel Dio che camminava con lui, incatenato come lui, disperso come lui,
perseguitato come lui. E anche nel momento più alto e tragico della sua storia,
nell’Olocausto, dove non aveva niente, neanche la speranza dell’avvenire, aveva
sentito che Dio spartiva col suo popolo la prova più grande e dunque non era da
solo.
Tutto questo deve giovare anche a noi, così portati a
privilegiare i luoghi materiali della religione, come i santuari o i grandi
monumenti della nostra fede. senza disprezzare la chiesa di sasso, dobbiamo
privilegiare la vita in ogni sua dimensione e situazione. E l'uomo concreto
vale più di qualunque statua o immagine della divinità. Così, più che custodire
le memorie venerande ma morte del passato, cercheremo le strade che Dio prepara
per noi nel avvenire e il nostro cuore sarà proiettato avanti, e non indietro,
alla Gerusalemme del cielo, senza tempio, al sabato eterno.