domenica 12 maggio 2013

03 Dal luogo al tempo



03 Dal luogo al tempo
Gli storici delle religioni restano meravigliati e non sempre arrivano a darsi una spiegazione razionale della peculiarità del popolo ebraico rispetto a tutti gli altri popoli del mondo di quei tempi. Solitamente si trova un popolo grande o una istituzione forte e dominante che riesce a conservare e addirittura a imporre una sua concezione culturale e religiosa. Ma non è mai successo che un popolo piccolo, perseguitato in ogni sistema, soggetto a mille sollecitazioni e tentazioni, abbia potuto conservare la sua unicità, tanto da potere autoproclamarsi "il popolo di Jahvè", una sorta di sua proprietà esclusiva.
Ma, a ben guardare, il monoteismo è solo un degli aspetti di questa anomalia del popolo ebraico e non è il più importante. Guardando la concezione religiosa del popolo ebraico e quella di tutti gli altri popoli, si viene a scoprire un aspetto che io considero veramente unico e rivoluzionario. Tutti gli dei, di tutti i popoli, sono legati a un luogo e a un territorio particolare da proteggere come garanti della loro fortuna. Gli dei dell' Egitto devono difendere l'Egitto, l'autorità del faraone e la sua prosperità. Così gli dei di Babilonia o di Ninive o di qualunque altra comunità. Gli dei sono messi a guardia del tempio, ad assicurare uno status quo. Oggi li chiameremmo conservatori, per non dire reazionari.
Il Dio di Israele, invece, è un Dio che non è legato a nessun luogo fisico o geografico ma è legato a un popolo, alla sua storia, ai suoi momenti più o meno fortunati. Non è il Dio di Atene o di Corinto o di Roma, ma il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Un Dio legato alle persone e al loro divenire. Non un Dio seduto sulla punta del tempio a garantire che tutto rimanga come prima, ma un Dio che cammina per le strade degli uomini, con le loro gambe, a cercare fortuna e a patire ogni sorta di tribolazione come loro. Non un Dio del passato, ma dell' avvenire. Non un Dio di potere, ma di ricerca. Non un Dio di sicurezza, ma di rischio. Non un Dio potente, anche se impotente come tutti gli idoli, ma un Dio debole e "sofferente", anche se onnipotente. Non è un caso che gli ebrei privilegino il sabato, il tempo, rispetto al tempio, il luogo.
Questa concezione di Dio, questa idea straordinaria e rivoluzionaria, è stata la loro salvezza nella loro disgrazia, come la concezione contraria è stata la rovina dei popoli che avevano legato la divinità ai sassi, ai palazzi, al potere. Caduto il tempio, perduto il territorio, è caduto tutto. E ciò che è rimasto è solo un segno patetico di una grandezza perduta, buono solo per i turisti e per i curiosi. Invece il popolo ebraico ha saputo resistere alla perdita del tempio, della patria, della libertà e ha saputo affrontare ogni sorta di peripezie e di sfortune confidando in quel Dio che camminava con lui, incatenato come lui, disperso come lui, perseguitato come lui. E anche nel momento più alto e tragico della sua storia, nell’Olocausto, dove non aveva niente, neanche la speranza dell’avvenire, aveva sentito che Dio spartiva col suo popolo la prova più grande e dunque non era da solo.
Tutto questo deve giovare anche a noi, così portati a privilegiare i luoghi materiali della religione, come i santuari o i grandi monumenti della nostra fede. senza disprezzare la chiesa di sasso, dobbiamo privilegiare la vita in ogni sua dimensione e situazione. E l'uomo concreto vale più di qualunque statua o immagine della divinità. Così, più che custodire le memorie venerande ma morte del passato, cercheremo le strade che Dio prepara per noi nel avvenire e il nostro cuore sarà proiettato avanti, e non indietro, alla Gerusalemme del cielo, senza tempio, al sabato eterno.