30 Le“armi” del prete
Dopo le promesse di mons. Qualizza di trasparenza sui
“peccati” dei preti, sono rimasto meravigliato di non trovare sul settimanale
diocesano una riga riguardo un fatto clamoroso noto a tutto il Friuli e che la
gente ricorda più dalle prediche.
Sto parlando della sorpresa dei muratori che, ristrutturando
un appartamento lasciato da don Ascanio De Luca, fra i fondatori e i
protagonisti della resistenza osovana, hanno trovato un arsenale funzionante di
armi e munizioni. Si tratta dunque di roba di mezzo secolo addietro, tenuta da
conto e messa via. Perché? Per difendersi o difenderci da chi?
Oramai solo le anime più candide possono aspettarsi
che, nei segreti dalle case dei preti, saltino fuori solo breviari o libri di
devozione. Che per altro non bisognerebbe nasconderli. Dobbiamo rassegnarci al
fatto che i preti hanno intero il peso dell' umanità. E dunque ci si può imbattersi
in libretti bancari, traffici o magari
riviste pornografiche.
Ma le armi sono la roba che proprio non si dovrebbe
trovare. In nessuna casa e in quella di un prete meno ancora. Perché fucile e
calice non si accordano per niente e il prete possiede tutte le altre armi a
sua disposizione, come il vangelo, i sacramenti e la grazia, per combattere il
nemico. Che non è lo stesso dello stato o dei partiti o della realtà di questo
mondo. Non è nemmeno una persona o una categoria concreta, ma il male e il
principe delle tenebre.
Non parlo di questa brutta storia per giudicare o
condannare la memoria del prete partigiano. Non condanno nessuno, che ho a
sufficienza dei miei peccati. Parlo perché si tratta di un prete e dal male
nessuno guadagna e la puzza infetta tutti. Anche se la questione mi ha
interessato per altre ragioni.
Il problema del rapporto fra Chiesa e guerra, fra
preti ed esercito, fra teologia e politica era scoppiato nel 1990, con la
“Gladio” e la “O”. In quell' occasione avevo invitato a un chiarimento fra la
fedeltà alla Chiesa e la fedeltà alla patria, fra Chiesa e partito, fra Chiesa
e minoranze friulana e slovene, penalizzate in maniera intollerabile con la
scusa dell' anticomunismo, un'ombra che occultava tutto.
Certi preti hanno voluto pensare a una voglia di
processo pubblico e anche il vescovo, con buona intenzione ma con una scelta
sbagliata, ha sbrigato la questione con una difesa aprioristica dell'
onorabilità dei suoi preti. Ma la questione è rimasta intatta. Da chiarire una
volta per sempre.
Torno a chiedere con umiltà e con forza che i
protagonisti di quella stagione tremenda facciano la loro testimonianza di
crediti e di eventuali debiti. Che la Chiesa friulana faccia un buon esame di
coscienza sui suoi rapporti con i partiti e sui danni di un anticomunismo
esasperato e stupido, che ci ha allontanato la povera gente e ci ha invischiato
in pasticci e compromessi che saranno lunghi da purgare.
Con i risultati che abbiamo sotto gli occhi, viene da
domandarsi, come don Milani, se forse non ci avrebbe giovato di più la
persecuzione e la povertà invece delle armi del potere che non possono essere
le armi della Chiesa. E che si volti pagina nel rapporto fra Chiesa e
minoranze. Ciò che non è stato fatto si può sempre fare. L’occasione è pronta:
il ventennale dell' assemblea dei preti. Il posto anche: il duomo di Venzone,
dove è stato ucciso il mio prete e santolo di battesimo mons. Faustino Lucardi.
Lui e tanti altri preti hanno combattuto la guerra morendo disarmati come
agnelli sacrificali. E il loro nome è segnato nel libro della Vita e nel
cuore della gente.