giovedì 24 novembre 2011

31 Seduti a piangere “super flumina Natisonis”


31 Seduti a piangere “super flumina Natisonis”


Avete presente il salmo 137 (138). Quello delle scodelle appese sui salici del fiume di Babilonia e dei deportati che rispondono piangendo alle pretese prepotenti degli ignoranti: “Ma come cantare le cantiche di Jahvè in una terra forestiera?”. Perché canto terra e memoria sono un unico e non si può compiere il sacrilegio di staccarli.
È ciò che mi è venuto in mente leggendo la locandina del Centro diocesano della Pastorale Giovanile, che invita i giovani a salire su “l’arca di Hassan” (che non ho compreso cosa sia) “dalla conflittualità alla convivialità”. Qui c’è miseria di tutto fuorchè di slogans e di enigmistica.
La scheda parla dei pericoli di un estremismo raziale ed etnico. Nessuna paura. A San Giovanni al Natisone, per tre giorni, si parlerà di tutto fuorchè del Friuli, con le sue componenti etniche e culturali friulane e slovene. Dunque stiamo volando verso la luna. Inoltre si dice che stiamo perdendo il senso della memoria e si propone una terapia sbagliata. Se dovessi estrapolare, dal programma, le mie impressioni, direi che gli organizzatori,e dunque i nostri luminari pastorali, i “top”, sono provinciali e privi di cultura, intesa nel senso più profondo delle radici che ti permettono di vivere e di crescere.
Che siano provinciali lo dimostra il fatto che non hanno trovato una sola persona, cristiana o no, che portasse l’esperienza della nostra terra e della nostra storia. Proprio come la serva che indossa molti abiti forestieri per cui tutti si accorgono che è serva.
Che manchino di cultura lo dimostra il fatto, scandaloso, che non abbiano scovato una liturgia, una salmodia, una tradizione musicale e di preghiera in un patrimonio unico come quello aquileiese. In barba a un libro diocesano appena stampato e già relegato in un angolo e di una Bibbia costata anni di difficoltà e snobbata dalle centrali diocesane. Difatti la preghiera è nello stile di Taizè, con tanto di prove, e la serata musicale non la tengono su Gilberto Pressacco o Zanetti o le centinaia di cantori friulani e sloveni della nostra terra ma Eddie Hawkins e la sua band.
Ritorna, a rovescio, il salmo dell’umiliazione di Babilonia: ”Come cantare i nostri canti in casa nostra?” Scherziamo?
Stando agli organizzatori oramai il meeting si è allargato. Provengono dunque dall’Italia, dalla Lituania, dall’Ungheria e dalla Polonia. Una sensibilità intelligente avrebbe suggerito di offrire all’ospite la cosa più cara e rara che abbiamo, le nostre perle. Per il valore culturale straordinario e per il fatto che Aquileia è stata europea prima di Udine e di San Giovanni. Termino queste note con grande amarezza. A quelli di Udine direi che non si deve confondere la diversità di idee con la mancanza di idee e che non si salvano i giovani col sottosviluppo culturale. È anche un’esempio negativo per la nostra gioventù, che tutti sappiamo sradicata e disancorata. Ma se i big hanno questa sensibilità, posso lamentarmi dei miei giovani? E posso invogliarli a vivere la liturgia nell’essenzialità della nostra tradizione, nelle nostre povere chiese, se quelli che sono a capo sono i primi a sbefeggiarla?
Spero dunque che la mia gioventù preferisca andare a sagra in qualche paese, con salsiccia e batteria. Almeno sanno di non aver compiuto una grande impresa e non si illudono di prendere l’indulgenza, come a San Giuovanni.
Per quanto mi riguarda, non mi sento di onorare una Chiesa che non onora la mia terra e la mia storia.

giovedì 17 novembre 2011

30 A un pievano squinternato


30 A un pievano squinternato


Come per la maggioranza dei preti, il 29 giugno mi riporta al duomo di Udine, dove 29 anni fa sono stato consacrato. Quanto tempo è trascorso e che rivoluzione da allora!
Non è che mi sia pentito di quella scelta, ma ho avuto molta delusione là dove avevo riposto la mia sperenza e tante soddisfazioni là dove non m’illudevo di trovare nulla. In quel giorno ho offerto al Signore la poesia ingenua della mia gioventù. Accetti ora, con lo stesso cuore, la prosa della maturità, meno esaltante ma più vera anche se con una punta di amaro.
La maggioranza dei preti, tutti entusiasti e intenti a programmare la nuova evangelizzazione in vista del 2000, non se la prenderanno se per una volta dedico queste mie povere note a un prete squinternato, deluso, disorientato, disperato, abbandonato dal vescovo e da gente che dubita che anche il Signore l’abbia cancellato dal suo libro. Ce ne sarà uno, in tutta la diocesi!
So che la gerarchia ha il terrore che si parli di questo argomento. Difatti una velina del consiglio presbiteriale diceva che non si deve usare la parola “disagio” ma “malessere”. Il “disagio” lascia sospettare una crisi seria e profonda, obbiettiva, mentre il “malessere” ti fa pensare a un senso di “vaga sofferenza”che dipende dal prete e da cui se ne può uscire pregando maggioremente e frequentando più spesso la forania.
Ma quell’ amico, di cui parlo, la pensa in maniera diversa ed è convinto che il male è a monte. È andato in crisi perché è in crisi tutta la baracca. Difficile dargli torto.
Se al mercato di Codroipo tutti saltano la tua bancarella, e vanno ad acquistare da altre parti, non puoi ascigartela pensando che siano tutti stupidi e solo tu svelto. Non si può sempre pensare che le persone siano stupide, ignoranti, egoiste, carogne, in torto e che solo noi siamo sempre svelti e in ragione. Per dirla tutta non è il mondo in crisi ma è la Chiesa che ha perso in splendore e in trasparenza e la gente stenta a vedere il volto di Cristo, il riflesso di Dio e il riflesso dell’uomo.
Al prete col cuore gonfio suggerirei di salvarsi abbandonandosi nelle braccia del Dio che perdona ma anche riprendendo, per il tempo che gli rimane, un’umanità perduta o combattuta per troppi anni. Faccia il prete a modo suo, per dare il meglio di sé. Poi gli direi: “Non fare mai guerre di religione, perché sono le più crudeli e stupide. I principi sono buoni ma le persone sono più importanti. Non litigare con la gente della tua parrocchia a causa del vescovo. La gente è carne della tua carne e il tuo sangue. Non aspettarti umanità dalle istituzioni. Il comune non può essere umano; di grazia che sia umano il sindaco. Se non riesci a leggere le circolari ecclesiastiche con serenità o ironia, cestinale.
Accetta le persone e loro ti accetteranno; accettati e accetterai anche la gente. Tu guardi il paese dalla chiesa e la popolazione guarda la chiesa restando nel paese. È tutta un’altra prospettiva. Così la maniera di pesare i fatti e la vita. Non arrabbiarti se la domenica la gente non si alza compatta per recarsi a messa. Loro non si adirano il lunedì, quando vanno al lavoro e tu rimani nel letto. Non parlare col gatto e col Signore più che con i paesani e piuttosto di rimanere solo in chiesa con la tua ragione siediti fuori con la massa dei poveri e dei falliti. Perché la corriera che passa a raccogliere i falliti per condurli nel Regno attraversa la piazza e anche l’Autista nella sua vita ha subito il fallimento.
Il progetto di Dio è più grande e misterioso di quello della Chiesa e dinnanzi a lui le nostre vittorie valgono quanto i nostri fallimenti. Niente. Quando ti senti abbandonato, pensa ai tanti genitori che raccolgono quanto te ma che hanno dato molto di più”.

giovedì 10 novembre 2011

29 Il regalo della gatta


29 Il regalo della gatta

Da molti anni ho il vizio di utilizzare le ore silenziose della prima notte per leggere, buttare giù qualche idea, fare un po’ di bilancio sulla mia misera vita e su quella non sempre esaltante del mondo e di pensiero in pensiero il tempo vola via. Nessuna meraviglia che all’alba tenda a rimanere nella cuccia. Ma ho rimediato bene con una sveglia che mi entra nel cervello fino a che non do segno di vita. Per svegliarmi più velocemente, balzo giù dal letto. Cosa che ho fatto anche l’altro ieri. E si è sentita per tutta la casa un grande urlo, perché, mettendo il piede sul tappeto, ho trovato la sorpresa, fresca di giornata.
La Grigia che aveva navigato tutta la madre notte in giro per i segreti della mia canonica secolare, aveva trovato fortuna e aveva voluto spartire con me il suo tesoro. Anzi, aveva voluto donarmelo, a me che non mi risparmio in niente per far felice, lei e le altre bestioline del mio harem.
Così per la fretta e per il sonno, ho messo il piede proprio sul topolino, mentre la Grigia mi guardava con gli occhi lucenti.
La mia prima reazione è stata quella di adirarmi, come se mi avesse fatto un dispetto. Perché se la gatta non può ricambiare il mio affetto con una cosa di mio gradimento, come un libro, o un fiore, almeno non mi porti vicino cose che mi fanno ribrezzo.
Ma la gatta mi guardava con tanto orgoglio che non potevo sospettare una sua cattiveria nei miei confronti. Anzi lei, poverina, ha voluto privarsi di una cosa per cui le piangeva il cuore, pur di rendermi contento. Non sempre si può regalare ciò che vorrebbe l’altro e, nell’accettare un regalo, si deve pensare anche al valore e al peso che rappresentano per chi lo fa.
A proposito, cosa porta vicino un figlio a una madre? Forse vorrebbe colmarla di mille attenzioni e regali, ma spesso la realtà è più scalognata. Difatti solitamente il figlio ritorna vicino con i panni sporchi, da rammendare, con qualche nota da scuola o fuori, con qualche sbucciatura sulle ginocchia se è piccolo e con qualche ferita nel cuore se è grande. La madre avrebbe tutto il diritto d’attendersi un regalo più bello, ma per il grande affetto che la natura le ha fornito, sente già come un dono il fratto che sia ritornato da lei a piangere sul suo grembo o appoggiato alla sua spalla. Peraltro, può un figlio regalare qualcosa a colei che le ha donato il più grande fra i regali, la virta e l’affetto?
Stesso discorso, ma più elevato, vale per il Signore, dato che siamo nel mese del Cuore di Gesù.
Cosa può donare un povero verme della terra a colui che possiede la ricchezza, la profondità, l’altezza, la pienezza?
Per un periodo di tempo nella Chiesa è stata di moda l’usanza di confortare il Cuore di Cristo. Mi è sempre sembrata una stupidaggine o una bestemmia. Posso io confortare il Conforto? Rendere contenta la Contentezza? Glorificare la Gloria? Sarebbe come pretendere di scaldare il sole. Se mai è lui che scalda noi.
“Regalami il tuo topolino, che ho sufficiente pazienza”, dice il pievano di Basagliapenta alla sua gatta pazzerella.
Regalami i tuoi fastidi e le tue lacrime, che ho sufficiente amore e cuore” dice la madre al figlio mortificato.
“Regalami i tuoi peccati e i tuoi fallimenti, che il mio non è perdono e pace” dice il Signore all’uomo disperato.
Tre gradi di affetto, tre scalini, uno più alto dell’altro, e l’ultimo è così alto che è avvolto di tenebre e di mistero.

martedì 8 novembre 2011

28 Il santo degli strambi


28 Il santo degli strambi

Potevo mai dimenticare san Giovanni Battista, per gli amici “san Tite”? La sua festa,ricorre giusto sei mesi prima del Natale. È legata da sempre al solestizio d’estate, con i fuochi, col mac e le cidulis. Per non parlare delle “luci di San Giovanni”. A Venzone abbiamo una chiesa, spettacolare anche se diroccata a causa del terremoto, in cui ha predicato anche Martin Lutero. È il titolare della comunità di Trelli, dove ho esercitato da prete e maestro, e mi hanno regalato la sua statua per ricordo. E soprattutto è il più grande fra tutti i nati da donna (Mt. 11,11).
Un dirigente catechista diocesano, predicando su san Giovanni, lo ha definito “un santo equilibrato”. È evidente che è squilibrato l’oratore, perché se esiste un santo strampallato, è proprio lui. Nato da genitori già anziani, ha fatto penare tutti già prima di nascere e appena nato, col padre trasformato in cantautore del “Benedictus”. È cresciuto in maniera selvatica, al di fuori del consorzio umano, con una fascia di peli di cammello a fasciragli le reni e un mangiare intonato allo stile del soggetto: miele selvatico e cavallette. Quando ha iniziato a predicare, invece di scegliere un luogo frequentato, come una città o un tempio, ha preferito un luogo solitario, come sarebbe un bosco su in Carnia, a uso un menaàu. E difatti a quei pochi che lo avvicinavano, parlava di mannaie e di ceppi.
Col trascorre degli anni, non è cambiato. Ha taciuto solo quando una giovane ballerina, con le sue grazie, si è fatta promettere da Erode la sua testa su un piatto. Eppure era un profeta, anche più grande di un profeta: il messo e precursore del Figlio di Dio.
Anche Cristo era strambo. Difatti attaccava il tempio, difendeva l’uomo a scapito della legge, affrontava i grandi, i preti, definiva fortunati i poveri, gli afflitti, i puri di cuore, i misericordiosi, quelli che operavano per la pace e le vittime di ogni prepotenza. Inoltre sosteneva che non si può servire Dio e il denaro e che gli ultimi erano i primi e che i primi erano ultimi.
Cristo, il suo precursore e i suoi discepoli non possono fare cordata. Perché sono strambi, sballati, radicali e pericolosi. Un pericolo costante perché portano l’”ordine” di Dio, che rappresenta il disordine per gli uomini, a scapito dell’”ordine” degli uomini, che coincide col disordine per Dio.
Perché la religione cristiana, da secoli (diciamo dal 313, con l’editto di Costantino che l’ha proclamata religione di stato), non è più considerata un pericolo mortale per l’”ordine” dei potenti? Perché la Chiesa ha trovato nel mondo più ordine di quanto ne avrebbe avuto. Addirittura l’ha aiutata a sistemare la mano al braccio secolare per difendere un ordine che non poteva essere quello di Giovanni e di Cristo. È riuscita a trovare (Dio li perdoni!) lo stesso criterio di ordine e di disordine, cacciando o confinando gli strambi, secondo il mondo ( Hus, Lutero, Bonaiuti, don Milani, pre Checco, Boff), invece di onorarli e cacciare quelli che erano in fila con i potenti. La Chiesa è disordine e dinamite o non vale nulla. Vi immaginate San Giovanni in cravatta nel più lussuoso ristorante di Udine a profetare fra un bicchiere di vino e l’altro?
Un giorno mi sono ritrovato in curia, per non fare il viaggio inutilmente ho litigato con il cancelliere Pecile. Mi ha detto:”Tu hai l’equilibrio instabile”. “Può darsi – ho risposto – Però è sempre preferibile a “uno squilibrio stabile”. La Chiesa, per essere sempre equilibrata con gli uomini, rischia d’essere sempre squilibrata con Dio. Per me, mi accontenterei di non assomigliare a San Giovanni solo nella stramberia ma anche nella santità. Soprattutto d’essere come lui, “testimone della luce” (Gv 1,8)