giovedì 17 novembre 2011

30 A un pievano squinternato


30 A un pievano squinternato


Come per la maggioranza dei preti, il 29 giugno mi riporta al duomo di Udine, dove 29 anni fa sono stato consacrato. Quanto tempo è trascorso e che rivoluzione da allora!
Non è che mi sia pentito di quella scelta, ma ho avuto molta delusione là dove avevo riposto la mia sperenza e tante soddisfazioni là dove non m’illudevo di trovare nulla. In quel giorno ho offerto al Signore la poesia ingenua della mia gioventù. Accetti ora, con lo stesso cuore, la prosa della maturità, meno esaltante ma più vera anche se con una punta di amaro.
La maggioranza dei preti, tutti entusiasti e intenti a programmare la nuova evangelizzazione in vista del 2000, non se la prenderanno se per una volta dedico queste mie povere note a un prete squinternato, deluso, disorientato, disperato, abbandonato dal vescovo e da gente che dubita che anche il Signore l’abbia cancellato dal suo libro. Ce ne sarà uno, in tutta la diocesi!
So che la gerarchia ha il terrore che si parli di questo argomento. Difatti una velina del consiglio presbiteriale diceva che non si deve usare la parola “disagio” ma “malessere”. Il “disagio” lascia sospettare una crisi seria e profonda, obbiettiva, mentre il “malessere” ti fa pensare a un senso di “vaga sofferenza”che dipende dal prete e da cui se ne può uscire pregando maggioremente e frequentando più spesso la forania.
Ma quell’ amico, di cui parlo, la pensa in maniera diversa ed è convinto che il male è a monte. È andato in crisi perché è in crisi tutta la baracca. Difficile dargli torto.
Se al mercato di Codroipo tutti saltano la tua bancarella, e vanno ad acquistare da altre parti, non puoi ascigartela pensando che siano tutti stupidi e solo tu svelto. Non si può sempre pensare che le persone siano stupide, ignoranti, egoiste, carogne, in torto e che solo noi siamo sempre svelti e in ragione. Per dirla tutta non è il mondo in crisi ma è la Chiesa che ha perso in splendore e in trasparenza e la gente stenta a vedere il volto di Cristo, il riflesso di Dio e il riflesso dell’uomo.
Al prete col cuore gonfio suggerirei di salvarsi abbandonandosi nelle braccia del Dio che perdona ma anche riprendendo, per il tempo che gli rimane, un’umanità perduta o combattuta per troppi anni. Faccia il prete a modo suo, per dare il meglio di sé. Poi gli direi: “Non fare mai guerre di religione, perché sono le più crudeli e stupide. I principi sono buoni ma le persone sono più importanti. Non litigare con la gente della tua parrocchia a causa del vescovo. La gente è carne della tua carne e il tuo sangue. Non aspettarti umanità dalle istituzioni. Il comune non può essere umano; di grazia che sia umano il sindaco. Se non riesci a leggere le circolari ecclesiastiche con serenità o ironia, cestinale.
Accetta le persone e loro ti accetteranno; accettati e accetterai anche la gente. Tu guardi il paese dalla chiesa e la popolazione guarda la chiesa restando nel paese. È tutta un’altra prospettiva. Così la maniera di pesare i fatti e la vita. Non arrabbiarti se la domenica la gente non si alza compatta per recarsi a messa. Loro non si adirano il lunedì, quando vanno al lavoro e tu rimani nel letto. Non parlare col gatto e col Signore più che con i paesani e piuttosto di rimanere solo in chiesa con la tua ragione siediti fuori con la massa dei poveri e dei falliti. Perché la corriera che passa a raccogliere i falliti per condurli nel Regno attraversa la piazza e anche l’Autista nella sua vita ha subito il fallimento.
Il progetto di Dio è più grande e misterioso di quello della Chiesa e dinnanzi a lui le nostre vittorie valgono quanto i nostri fallimenti. Niente. Quando ti senti abbandonato, pensa ai tanti genitori che raccolgono quanto te ma che hanno dato molto di più”.

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