mercoledì 31 ottobre 2012

44 Un rosario di case

44 Un rosario di case
Ottobre, rosario. Anche in maggio si recita il rosario, ma che differenza fra il pregare allegro della stagione fiorita che si apre al caldo e il pregare pensieroso della stagione che si chiude. Con i fiori si addobba una sposa ma si compone anche una corona da morto, a conferma della verità profonda della Bibbia, dove dice che ogni cosa ha due facce. quando ne ha poche.
Il rosario, se voglio essere schietto, mi ha sempre detto poco. L' ho sempre considerato una preghiera un po' noiosa, come contare le pecore per propiziare il sonno. In più il pensiero mi va a un prete pazzerello che, in un momento di libertà, mi ha detto: “Se io devo dire a mia madre cinquanta volte la stessa cosa, significa o che non capisce niente o che non ha voglia di darmela”.
Ma essendo una preghiera antichissima, deve avere un suo significato e si fa bene ad andare a cercarelo. Ho cercato anche io di fare così.
Il rosario deriva da un fiore, dalla rosa precisamente. I cristiani devono essere le rose del mondo. naturalmente rose genuine, non di plastica, o plastica a forma di rose come quelle del cimitero, a testimonianza di un amore che non esiste.
Dicono che lo hanno inventato i frati perché anche la gente, illetterata, e accompagnasse la loro salmodia con 150 avemarie. Non è giusto lasciar loro, ai preti e ai frati, l’esclusiva di una cosa fondamentale come la preghiera. Come neanche i frati e i preti non devono lasciare alla gente l’esclusiva del lavoro e dei fastidi del vivere.
Anche la monotonia di questa preghiera la metterei accanto alla monotonia della vita: 150 giorni di scuola, cinquanta giorni di lavoro, trenta giorni di ospedale, la vita sempre uguale di una donna in casa, le ore di un operario in fabbrica. Una noia che solo un grande amore può dargli un senso di bellezza e di novità.
I misteri dal rosario sono come i fatti della vita. La Chiesa chiama i fatti della vita di Cristo misteri, perché sono qualcosa di più di un dato anagrafico. Impariamo a guardare e a leggere i fatti della vita e della storia come misteri, in profondità. La ragione deve trasformare i misteri di questo mondo in fatti, ma la fede deve trasformare i fatti in misteri.
Nella vita ci sono i misteri gaudiosi o della speranza (una nascita, un matrimonio, l' andare a scuola, il costruire la casa, il progettare). Ci sono. Non tanti, ma ci sono. Cerchiamo di non sprecare anche quei pochi con la distrazione, la superficialità o l’egoismo. I misteri dolorosi li conosciamo tutti. Quelli gloriosi nessuno li vede, però servono anche quelli per avere il rosario intero. Senza la speranza, la sicurezza della resurrezione e della gloria, la vita non è completa e non ha neanche senso. così, quando soffriamo, se riusciamo, pensiamo che non siamo alla fine della corona ma solo a metà e manca un altro pezzo.
La corona del rosario mi fa pensare al paese. Tante famiglie come i grani della corona. Ma non basta avere i grani per fare una corona. Bisogna che siano legati uno all'altro. Così non bastano le case per fare un paese. Bisogna che siano legate. E mentre la corone è legata col ferro, le case si possono legare solo con l'amore e la condivisione. Per questo dico che un rosario di case è più grande che un rosario di grani. Ma forse anche il trovarsi assieme a passare i grani della corona è un modo per trasformare un paese in un rosario vivente.
Si sa che gli avi hanno adoperato più la corona che le mandibole e non era giusto. Come non è giusto adoperare solo le mandibole in un egoismo carico di superficialità e disperazione.

mercoledì 24 ottobre 2012

43 Un popolo condannato a fare scelte disgraziate

43 Un popolo condannato a fare scelte disgraziate
La liturgia aquileiese ci fa cantare il vangelo di Gesù che entra in Gerusalemme due volte: nella domenica delle Palme e nella prima domenica di Avvento. perché è anche l’anno liturgico è Cristo che, nel nome dal Padre, entra nella storia a salvare la storia.
Per una volta non voglio soffermare la mia attenzioni sulla parte centrale, su Cristo, pazienza di Dio, che viene avanti cavalcando un asinello, re dei pazienti. Voglio guardare le comparse, la gente e soprattutto i bambini che gridano contenti e spezzano rami dagli alberi, dopo avere disteso i mantelli lungo le strade.
Una scena commovente, da straziare il cuore. E il cuore si strazia veramente pensando che la gente non è cattiva e che riuscirebbe a capire con sufficientemente chiarezza se uno viene nel nome del Signore o no. Per quella verginità non rovinata o compromessa dai traffici e della cattiveria della vita. Ma quella gente li, in prima piano, non è quella che conta di più. Quella li può gridare o tacere
Quelli che contano, i veri registi, quelli con il megafono in mano, non si vedono, perché tessono nell'ombra del tempio o nei palazzi della politica e della economia, e si preparano ad adoperare le stesse comparse per suonare un’altra musica. Difatti pochi giorni dopo, sempre quel popolo grida tre cose infami: di liberare Barabba, di mettere in croce Gesù e, peggio di tutte, che il suo sangue ricada sopra di loro e dei loro figli. Matteo dice chiaramente che i superiori dei sacerdoti e degli anziani riescono a convincere la folla.
Non servono tante cose per convincere la folla. Basta togliere ciò che serve e dare ciò che non serve. Togliere dignità, libertà, istruzione, scuola, possibilità di ragionare con la sua testa e di fare quattro conti. Dare paura, ricatto, mitologia, promesse golose e false. Una cosa che sanno benissimo tutte le dittature, tutti i regimi, tutti gli stati nazionalistici, tutti gli imbonitori e i piazzisti.
La folla di Gerusalemme che si auto condanna mi richiama i tedeschi e gli italiani che gridavano contenti di andare a morire stupidamente e camminando sui corpi dei nemici inventati. O la mania pericolosa di volere onorare i monumenti e i morti in guerra più degli altri morti. O le adesioni plateali alle nuove formazioni teledipendenti. O la (a)morale delle telenovella che deride la vera morale e i veri valori. O anche la disistima, quando addirittura non diventa odio, per la propria cultura, lingua, tradizione religiosa.
Quando la mia gente protesta contro la lingua friulana nelle funzioni religiose, invece di protestare contro la lingua italiana, o rinnega la sua storia millenaria per vantarsi di una storia più recente, meno onorevole e soprattutto straniera, non devo pensare ai registi, nascosti, ma non tanto, che manovrano il popolo contro i suoi interessi vitali e lo spingono a fare scelte disgraziate, come esaltare i delinquenti e condannare i buoni, sbeffeggiare la verità e incoronare la bugia?
Nella passione del Signore le vittime sono due: il Signore che muore per salvare il popolo e il popolo che condanna l’unico che può salvarlo e dargli risposte di vita alla sua domande di vita.
Per questo Venerdì Santo, nel cantare gli “Improperis”, ribalterò il testo e dirò: “popolo mio, cosa ti hanno fatto? Quando ti hanno maltrattato? Rispondimi!”. Se fa pietà il Signore spogliato e deriso, non deve fare scoppiare il cuore anche il popolo, spogliato, vestito di abiti esteri e condannato a condannarsi? “Ecce homo!”, ma anche “Ecce populus!”.

mercoledì 17 ottobre 2012

42 Un pane per ogni fame

42 Un pane per ogni fame
Nell' iniziare il tempo santo e salutare della Quaresima, che ci prepara e ci instrada al mistero della passione, della morte e della resurrezione di Cristo, specchio e causa della trasformazione in gloria del nostro destino, il pensiero mi va agli anni lontani del seminario, quando si festeggiava il carnevale con le Quarant’ore e si iniziava la Quaresima con una giornata di ritiro spirituale con le meditazioni sulla morte. Tanto per tirarci sù di morale.
Un anno uno sciocco di predicatore ha iniziato la predica gridando: “Son finiti i bagordi! Son finite le cenette!”. Ma sapeva dove parlava e a di chi si rivolgeva?
Errori che non capitano solo agli oratori dei consacrati se qua e dove si insiste con una monotonia stupida sull' edonismo, sulla troppa abbondanza, sulla civiltà dei consumi. Come se la gente di Basagliapenta e dei paesi e quelli che vivono nei deserti dalle montagne fossero tutti ubriaconi e barbari, rabbiosi perché la giornata ha solo ventiquattro ore e non arrivano a sfogarsi fino in fondo.
Non dico che qualcuno non oltrepassi la misura, con grande danno per la sua salute e scandalo per le condizioni di miseria che ci sono nel mondo. Ma se quell'oratore entrasse in una dalle nostre case, sempre più solitarie, dove si trascinano vecchi soli, dove tanta gente si rovina gli anni più belli per assistere malati o per allevare bambini che avranno bisogno dei genitori fino che gli viene la gobba, dove uomini e donne lavorano nei giorni feriali e festivi con l’unica sicurezza di dover pagare sempre e inutilmente, cambierebbe tono. O almeno tacerebbe.
Perché la gente combatte tanto e gode poco e si trova magari con le case ristrutturate e con qualche soldo nella tasca, ma con problemi grandi come montagne. E se stenta a credere, è per il fatto che stenta a vivere.
E qui vado a cercare luce nel vangelo delle tentazioni, dove il diavolo provoca il Signore a saziare la sua fame col pane che lui gli fornisce. “Se sei il figlio di Dio, comanda che queste pietre diventino pane”. E Gesù gli risponde: “è scritto: L’uomo non vivrà solo di pane, ma di ogni parola che esce fuori dalla bocca di Dio” (Mt 4,3-4).
Il peccato dei friulani, della nostra generazione e di quelle prima di noi, è stato di avere combattuto troppo per il pane e. perché non c'era e perché la fame del pane si sente. Il nostro peccato, se è un peccato, è quello di esserci illusi, dopo secoli di miseria, che riempendo lo stomaco e il frigo, si riempiva anche il cuore.
Risolta in buona parte la questione del pane e materiale, ascoltiamo la racomandazione saggia e santa di Cristo, che l’uomo possiede più tipi di fame e dunque gli servono più qualità di pane.
Gli serve il sostentamento della mente con la cultura e il libro; quello del cuore coll'affetto, l’amicizia, la solidarietà, l’armonia in casa e fuori; quello dell’anima con la preghiera, la meditazione, il silenzio, la contemplazione, il perdono, la fede, la consolazione.
Che la grazia di Dio faccia rinverdire la nostra anima riarsa come le piogge della primavera fanno rinverdire campi, prati e colline. Che ognuno di noi abbia, con la sua anima, quell' impegno che mette nell'orto per preparare la nuova stagione. Che non manchino mai, in nessuna casa, un libro, compresa la Bibbia, un fiore di quelli veri, un raggio di sole, un momento di riposo, una parola amica e la presenza consolante di Dio. E lui andrà a controllare se facciamo Quaresima veramente. Non sollevando il coperchio della padella ma curiosando nel profondo del nostro cuore.

mercoledì 10 ottobre 2012

41 Tre regali per crescere

41 Tre regali per crescere
Se la ricchezza di una festa dipende della sua simbologia, è chiaro che l'Epifania, o Pasqua Tafanie, è la madre delle feste. Difatti è difficile trovare un’altra giornata così ricca di significati. Forse per questo il Friuli ha voluto adornarla di tante perle musicali, liturgiche e di costume. Penso alle melodie, alle messe particolari, alle benedizioni, ai pignarûi. Mantenerle per avere un leagame col passato è qualcosa; vivere la loro dimensione di profonda religiosità è tanto di più.
In questo mio cercare orme di Dio nel mondo friulano di oggi, vorrei soffermarmi sul vangelo dei Re Magi, dal momento che la parola di Dio è contemporane a ogni età.
Allora dico che la teologia e l' istituzione ecclesiastica non sono l'unica strada nè la più sicura. I Re Magi sono arrivati, con la loro sapienza umana, dove i preti con i loro messali non sono arrivati. Un popolo vivo deve cercare un Dio vivo. Non tanto o solo nella sua memoria ma nella realtà di ogni giorno. col rischio anche di trovarsi al buio perché non si riesce a vedere la stella. Lui però ci vede, perché Dio ha un occhio più buono del nostro. Possibile che nel Friuli di oggi non si trovi una presenza di Dio, un' incarnazione del suo mistero!
I Re Magi si sono riempiti di gioia appena hanno rivisto la stella. Un popolo non può vivere solo guardando televisioni o palanche o lavoro o roba. Ha bisogno di guardare anche in alto, nel cielo, e di vedere almeno una stella. Per avere orientamento e speranza. Può starci che il cielo sia nella intimità della nostra anima, dove solitamente si trova più buio e freddo. Un popolo non può solo lavorare come il somaro. Deve anche contemplare.
Nel viaggio dei Re Magi per andare dal bambino, vedo come il completamento dell' arco della vita. I sapienti (non suo se erano vecchi; so però che la sapienza viene con l’età e l’esperienza) sanno che la storia non può continuare se non riescono a travasare nelle nuove generazioni la loro ricchezza spirituale e culturale. La storia è figlia di un passato ma anche madre di un avvenire, altrimenti è sterile.
Se vogliamo che il Friuli viva anche domani, e viva con dignità e onore, bisogna che le nuove generazioni abbiano non solo i soldi, la fatica e i sudori degli antenati, ma anche la lingua, la cultura, i valori, la storia, la fede. Altrimenti muoriamo noi ma moriranno anche loro. O vivranno morti nell’anima, che è la peggior morte (Mt 10,28).
Ho ragionato spesso sui regali che i Re Magi avevano messo nelle loro arche. Lo so che gli esperti dicono che hanno voluto, con la luce della fede, professare Cristo re del mondo, prete della nuova alleanza e Redentore della storia per mezzo della sua passione e morte. Sono interpretazioni, e una vale l'altra. Per questo vado a cercare un significato più vicino a noi. L’oro significa la padronanza, l’incenso la preghiera e la mirra il dolore. Se io dovessi fare un regalo a mio figlio, non potrei trovare significato più splendido.
Un bambino diventa grande solo se riesce a padroneggiare se stesso, a trovare uno spazio per la preghiera e per il trascendente e a portare con forza la croce che la vita gli prepara. Fino a che non sa comandarsi, aprirsi al trascendente e pagare di tasca propria il prezzo della vita rimane bambino, egoista, raggrinzito nell’anima, una tragedia per sè e per il mondo.
Naturalmente il discorso vale anche per il popolo, se vuole crescere.

mercoledì 3 ottobre 2012

40 Trasfusioni

40 Trasfusioni
La nostra piccola comunità ha vissuto una grande giornata: il perdono del Rosario e il 35mo dei donatori di sangue. Una festa doppia ma unificata da quella armonia fra corpo e anima, fra vita spirituale e vita materiale che non deve mai mancare, come non manca nei quindici misteri di Cristo e di Maria.
Guardando il coro addobbato da 42 bandiere, le vedevo come un grande rosario, fatto con i grani della solidarietà. E mentre alzavo il calice col vino, non potevo non pensare che il sangue dato dalla nostra gente è un segnale ancora più significativo e luminoso del mistero. Un mistero, quello dal sangue di Cristo e dei donatori, dove scompare ogni aspetto cruento per lasciare spazio all' amore. Non si può dare qualcosa di sè, che è il regalo più vero, senza amore.
I friulani hanno sempre dato il sangue. O in guerra o per il mondo o anche in casa. Più che dato, gli e l'hanno tolto, succhiato come le sanguisughe. Per questo credo che il nostro popolo, con tutti i suoi difetti e la “normalizzazione” di questi anni sul modello italiano, sia in debito nei confronti di uno stato che lo munge senza misura e senza creanza, facendo divierei le spese e i doveri di solidarietà ma non i vantaggi e i diritti di parità.
A questi fratelli, cristiani di fatto, anche se non sempre di nome, gli direi che la più grande speranza per un popolo è il popolo stesso e che, per tanto confusa sia la situazione, quello che ha voglia di fare il bene può farlo anche oggi. Grazie allora per le trasfusioni di sangue, che cercano di riportare salute a un corpo malato.
Ma la salute è qualcosa di più grande e profondo dell'essere a posto coi valori del colesterolo e con i trigliceridi. Anche il maiale, beato, scoppia di salute. Per questo dico che, oltre alle trasfusioni del sangue, servono, per tutti noi, altre trasfusioni.
Per esempio trasfusioni di cultura. Un popolo che non riesce a mettere, nel carrello colmo della spesa, anche un libro o che non ha tempo di conoscere, stimare, tramandare la sua cultura, storia, lingua, esperienza, non è sano. O è sano solo nel corpo e dunque in pericolo di essere adoperato come un somaro, che si preferisce sano. Un popolo che non adopera la sua testa, viene adoperato.
Ma anche trasfusioni di preghiera, di contemplazione, di riflessione, di profondità. Preghiamo troppo poco e in famiglia abbiamo il terrore di fermarci un attimo a pregare, a leggere una riga di vangelo, a scambiarci pensieri spirituali. E neanche in chiesa sentiamo il senso della essenzialità, dell'eternità, del mistero, di quel Supremo che ha sempre radrizzato la nostra storia e la nostra coscienza.
E servono anche trasfusioni di affetto, di solidarietà, di santo interesse gli uni per gli altri, iniziando dai tanti che muoiono di solitudine in mezzo alla folla anonima.
Aggiungerei, se mi è permesso, anche una trasfusione di coraggio, di ottimismo, di speranza. Un popolo come il nostro, che ne ha viste e vissute di ogni colore ed è andato in crisi più con i soldi che con i debiti, più con i lussi esagerati e inutili che con la povertà dignitosa, non può avere paura se le cose si aggiusteranno, se si tornerà ad avere i soldi contati. Rimane, intatta, la libertà dello spirito, della fantasia, dell' ingegno, tutte perle nostrane che sembrano sparite.
Che la Madonna faccia il miracolo di legare tutta la nostra gente col filo della speranza e dell'amore come una immensa corone. Allora il nostro vocchio tornerà limpido e anche il cuore sentirà un bel tepore.