mercoledì 29 agosto 2012

35 Perduto nel tempio

35 Perduto nel tempio
Mi confidava, un vecchio anarchico, che tutte le religioni forti mettono nelle mani della gente debole una corona. Così, intanto che portano avanti i grani, non pensano. “E non potendo contare soldi, i nostri avi hanno potuto almeno contare Ave marie”, diceva a conclusione dei suoi ragionamenti psico-religiosi.
Non voglio pensare che il rosario, preghiera tradizionale e tipica del mese di maggio, sia nato come un imbriglio. Tanto più che anche le terapie moderne cercano di guarire la gente stressata proprio con la ripetizione continua di parole sempre identiche. Una sorta di rosario laico che costa tanto di più di quello cattolico.
Mi piace invece soffermarmi su questo rosario di preghiere come a un specchio della vita, uguale e differente, e soprattutto dove i fatti sono qualcosa di più profondo della facciata. Misteri appunto, di Cristo e di Maria, che danno vita ai grani della corona. E perché non rimanga tutto una cosa astratta, cerco di collegare la nostra vita alla loro, perché i loro misteri illuminino i nostri.
Questa volta voglio soffermarmi su di un mistero gaudioso, il quinto, quello di Gesù perduto e ritrovato nel tempio di Gerusalemme, nel suo prima pelegrinaggio ufficiale a dodici anni. Il fatto è narrato da Luca, l'evangelista dell' infanzia (2,41-50). Si tratta di uno dei sette “dolori” e delle sette “gioie” di Maria.
Bambini che si perdono ce ne sono sempre stati. Ma sembra che adesso il numero cresca, almeno stando alla trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”, dove si vedono queste madri, con lacrime grandi quanto noci, che si chiedono disperate dove può essere andato il loro bambino o la loro bambina, il perché sono scappati di casa e soprattutto dove i genitori possono avere sbagliato. Si può discutere sullo stile della trasmissione ma non sulla sincerità dalle lacrime, sulla gravità dal fatto e la legittimità dalle domande. Perché scappano di casa? Cosa gli manca? Cosa cercano? Dove si ha sbagliato? Mollato troppo o troppo poco? Data troppo fiducie e libertà o troppo poca? E dov'è la misura giusta, dal momento che ogni persona è un caso unico?
Maria e Giuseppe si sono accorti della scomparsa dopo una giornata. Se perdersi è una disgrazia, diventa una tragedia se i genitori non se ne accorgono. E non parlo tanto dello smarrimento fisico, perchè ci si accorge anche se manca il gatto, ma dello smarrimento spirituale. Il figlio o la figlia stanno perdendo la strada della chiesa e del paese, il rapporto vitale della comunione familiare, il momento della preghiera, il senso della presenza di Dio, il senso del bene e del male, la visione positiva della vita, il dono della sensibilità e della generosità e magari i genitori non si accorgono perché non hanno tempo di guardare in faccia i loro figli o hanno paura di affrontare certe questioni preferendo parlare del tempo.
Il vangelo dice che il bambino poneva domande. Anche i nostri bambini fanno domande. Magari solo con gli occhi o nel segreto della loro anima. Sul senso della vita, di Dio, sulla scala dei valori, sull'affetto e la comprensione, sull' esempio. E non sempre trovano risposte adeguate, da nessuna parte.
Maria e Giuseppe vanno nel tempio sicuri di trovarlo. Dove andremmo oggi per istinto? In una discoteca? Un bar? Al campo di calcio? Perché il bambino si perda nel tempio, deve esserci già stato, possibilmente accompagnato. A proposito dal tempio, sarebbe troppo comodo fare ironia sui genitori che non vanno a cercare i figli in chiesa perché neanche loro sanno dov'è. Perché l'hanano abbandonata? I nostri giovani trovano qui da noi risposte forti e vere ai loro problemi forti e veri?
Preferisco chiudere queste riflessioni come si chiude il vangelo. con tutta la buona volontà, il figlio resterà sempre un mistero. Anche e soprattutto per i genitori.

mercoledì 22 agosto 2012

34 Ogni terra è santa

34 Ogni terra è santa
Giunti alla fine della traduzione della Bibbia, il nostro gruppo di “Glesie Furlane”, che ha sempre privilegiato un confronto sistematico fra Bibbia e vita e popolo, ha proposto un viaggio in Palestina, nei luoghi che Dio ha scelto come culla e contesto dell' incarnazione del figlio. Nell'occasione ricorderò, insieme agli amici, i miei trent’anni da prete: tanti, tormentati ma anche esaltanti.
Andando in terra santa, non mi aspetto di trovare niente di particolare e non vado neanche con curiosità archeologiche per poter dire di avere appoggiato il piede dove Lui ha camminato. Non è questo l’importante e poi i tempi sono troppo distanti e i cambiamenti troppo radicali per una illusione infantile del genere
Dal momento che la religione cristiana non è una filosofia o una ideologia o un trattato di morale ma l’incontro dell' umanità con Dio mediante la persona di Cristo Gesù, Figlio di Dio presentando una terra e un popolo e un tempo determinati, mi piace andare a guardare il cielo e le montagne e le colline e il lato che lui ha guardato, come a respirare il clima che lui ha respirato nei giorni della sua vita mortale.
La resurrezione ha cambiato tutto, nel senso che e ha tolte le limitazioni di spazio e di tempo e il Gesù di Nazareth morto a Gerusalemme è diventato Signore della storia e salvatore di tutti i popoli. Per cui, se prima si doveva andare dove c'era lui per trovarlo, dopo di questo fatto storico e di fede Cristo è diventato contemporaneo di tutti i tempi e compaesano di tutti gli uomini. E posto che la sua opera giunge ovunque, si deve concludere che ogni terra è santa. Difatti la terra di Canaan è divenuta terra santa a causa sua e non viceversa.
Questo mi permette di guardare con più rispetto e affetto e venerazione la mia terra e la mia storia, dove non manca la presenza di Cristo risorto, e di guardare anche la nostra vita nella cornice della vita di Cristo. Pertanto ogni bambino che ci nasce attualizza il Natale, ogni persona che soffre nel corpo e nell’anima e muore attualizza la Passione del Signore, ogni ingiustizia ricalca l'ingiustizia contro di Lui e ogni perdono è un riflesso del suo perdono. E come lui, per spiegare il mistero del regno, partiva dai campi e dai prati e dall’acqua e dai bambini e dagli uccelli e dagli alberi che aveva sotto gli occhi, così noi dobbiamo vedere nel nostro ambiente fisico e umano una parabola continua dell' intervento salvifico di Dio nella storia.
In questa maniera ognuno di noi ripeterà, rivivrà l' esperienza di Cristo, che andava in giro per le borgate della Galilea e della Giudea guarendo, liberando, consolando, insegnando. Così non solo leggeremo la Bibbia, ma scriveremo la nostra Bibbia, con i nostri profeti, i nostri proverbi, i nostri fatti belli e brutti, le nostre virtù e le nostre infedeltà o idolatrie.
Non so come si presenterà Betlemme o Nazareth o Gerusalemme o Betania o Emmaus. So però che mi sentirò più attaccato al paese in cui sono nato e cresciuto, dove ho fatto e faccio da prete, alle mie chiese e alle case della mia gente, agli amici che ristorano la mia anima. E davanti alle tombe dei miei morti o sentirò più forte la commozione e la parola di Cristo: “Io sono la resurrezione e la vita”. Non mancherà una lacrima sulle tante croci del mio popolo, come Cristo su Gerusalemme, e mi sentirò più invogliato a pregare nella mia lingua. Sul suo esempio , che, nel momento di morire per tutti, non ha voluto rinunciare alla consolazione della lingua di sua madre.

mercoledì 15 agosto 2012

33 Martino, un Santo intelligente

33 Martino, un Santo intelligente
Fra tutti i santi del calendario, i friulani hanno segnato nella loro memoria San Martino, ricordato l' 11 di novembre Anche se non è un ricordo tutto positivo. Difatti, in occasione della sua festa, si dovevano preparare i soldi dell' affitto, che non c'erano, per portarli al padrone, che non ne aveva bisogno ma che non intendeva imitare il Santo spartendo la sua abbondanza col povero mendicante. I padroni ti cacciavano fuori e dovevi trovarti un tetto, “fare San Martino”. Una tragedia che andava ad aggravare altre tragedie.
Martino, vescovo e cavaliere (si tratta di due tradizioni legate fra loro), è collegato anche all' “estate di San Martino”, l’ultimo raggio di tepore prima del grande freddo. Il Santo avrebbe fatto il miracolo per sè, per dare un braccio di fieno al suo cavallo. altri dicono che lo ha fatto per le donne povere e sole, per aiutarle ad affrontare con meno disperazione l’inverno. Difatti si parla anche di “estate delle vedove” e, guardando l’anagrafe, credo che pochi santi abbiano un esercito di devote come lui.
Martino mi piace perché è il titolare della pieve del mio prima amore, Rivalpo e Valle, dove proprio in quel giorno, nel fatidico e fatale ’68, ho fatto l’ingresso ufficiale. Ma il nome mi richiama anche un personaggio unico, Martin Lutero, quello che è andato in rotte con la Chiesa romana perché la voleva più povera, bella, libera, più dipendente dalla parola e dalla grazia di Dio che non dalla parola e dal favore dei grandi.
Ma torniamo all'iconografia ufficiale, quella del mantello e del cavallo e della spada. E' la traduzione plastica del vangelo, che dice di volere bene al prossimo come a se stesso. Difatti Martino ha ragionato (una carità che non ragiona è cieca e non giova a nessuno): “Se mi tengo tutto il mantello per me sono somaro; se lo do tutto a lui sono stupido”. Se non era giusto che rimanesse nudo il povero, non era neanche giusto che rimanesse nudo lui. solo dividendolo a metà si poteva salvare e la carità e la dignità.
Possibile che un principio così savio e santo non può valere anche per i friulani, come cittadini del mondo e di Dio? Nella nostra storia millenaria non abbiamo mai potuto dividere ma sempre regalare e lasciare. Abbiamo dovuto solo dividere i debiti e i danni, mai gli utili e i benefici. Per essere cattolici abbiamo dovuto perdere patriarcato e patrimonio liturgico e culturale. Per essere italiani abbiamo perduto faccia, lingua e portafoglio. Per essere patrioti abbiamo dovuto sorbirci ogni sorta di limitazioni e schiavitù. Per salvare Trieste ci hanno schiacciato; una regione imbastita in maniera scandalosa e intollerabile.
E tutti a farci la predica e a insegnarci i nostri doveri e i diritti degli ospiti. Difatti se in chiesa, a scuola, a una riunione interviene uno stupido di italiano, la prima cosa che si deve fare è quella di favorirlo cambiando lingua. Ma un popolo che non ha stima di sè non può e non ha diritto di aiutare quegli altri. Un popolo nudo o spogliato può spartire solo i pidocchi, che nessuno vuole avere.
San Martino, dacci una santità intelligente o una intelligenza santa. Non ti chiediamo una spanna di mantello. Ci accontentiamo di una po' di cervello e di dignità. Perché un Paradiso di stupidi fa venire i brividi solo a pensare di andarci.
Per intanto San Martino un primo raggio di sole ce l' ha regalato. In Carnia la gente ha iniziato a urlare che è stanca e nauseata di uno stato brigante.

mercoledì 8 agosto 2012

32 Mani sante e venerabili

32 Mani sante e venerabili

Un anno, padre Pellegrino Ernetti, cantore di Aquileia, esperto di musica e di liturgia e uomo di alta spiritualità, ci ha organizzato un ritiro a Zuglio sul primo canone della Messa, quello “romano” che lui chiamava “aquileiese”. Ho ancora nel cuore la voce e l'ispirazione che ha ripetuto più volte: “In sanctas ac venerabiles mani suas”.
Da quella volta, giunti alla consacrazione, ricordo sempre con commozione le mani “sante e venerabili” del Signore nel suo atto di raccogliere il pezzo del pane il calice del vino.
Ho un'idea delle mani del Signore. mani sempre spalancate sui dolori della povera gente; mani che accarezzavano il bambino ignaro e innocente; mani che si alzavano verso il cielo ogni volta che parlava del padre; mani che mostravano il latte, gli uccelli del cielo, i fiori del prato ogni volta che cercavano, con la parabola, di darci un'idea del mistero del regno; mani che si alzavano nella preghiera silenziosa e intenta durante la notte; mani che contraccambiavano con amore vero, anche se ferito, l'abbraccio traditore di Giuda; mani inchiodate e insanganate sul legno infamante della croce; mani abbandonate e immobili nel grembo della madre addolorata; mani luminose che si aprono per augurare la pace della resurrezione e per aiutare la fede incerta e curiosa di Tommaso.
Le mani di Cristo sono sante e venerabili perché le ha adoperate bene, come sono santi i piedi di quelli che annunciano la pace.
Dunque chi adopera bene le mani, possiede mani sante e venerabili. Anche se non sono candidide o consacrate.
Mani sante e venerabili di ogni madre, che hanno lavato, stretto, accarezzato, consolato, schiaffeggiato i figli quando se lo meritavano. Mani sante e venerabili dei padri, indurite dagli anni e dalla fatica, che tanto danno e poco prendono. Mani sante dei vecchi, con quelle screpolature profonde come solchi, aperte come un libro in cui si può leggere la storia gloriosa e amara di una vita di stenti. Mani tremanti e deformate che hanno contato più grani di corona del rosario che soldi e per questo più venerabili.
Mani sante dei bambini che aprono il libro e il quaderno, per scrivere la storia delle nuove generazioni. Mani venerabili dei giovani che si stringono con affetto, per affrontare insieme l’avventura della vita.
Mani sante e venerabili dai contadini e degli operai, dei medici e delle infermiere, delle donne di casa e di quelli che lavorano per aiutare il mondo. Mani sante che aprono la porta al povero, al forestiero, al pellegrino e al disperato. Mani sante che non hanno tempo di asciugarsi il sudore e le lacrime perché devono asciugare altri sudori e lacrime.
Queste sono le mani che io vedo attorno a me e che non stonano per niente vicino alle mani sante e venerabili di Cristo, come il loro sacrificio non stona ma anzi completa il grande sacrificio e la grande preghiera di laude del Signore celato nel sacramento.
E come l’angelo del Signore porta sull' altare del cielo l’offerta di Cristo, così porta sù quella messe lunga e grande che il nostro popolo sta celebrando nella sua storia.
Con questo spirito io vado a dire messa e con questa luce guardo la vita della mia gente, del popolo sacerdotale che nelle case e nelle situazioni di ogni giorno loda il Signore.
Lo so che ci sono anche mani nè sante nè venerabili. Ma sono convinto che la forza del sacrificio di Cristo e con Cristo è più forte. Come che l’amore è più forte della cattiveria. Altrimenti non saremmo qui a raccontarla.

mercoledì 1 agosto 2012

31 Maddalena, la “passionaria”


31 Maddalena, la “passionaria”

La tradizione ha confuso e identificato in una sola persona la donna che aveva lavato i piedi a Gesù, Maria di Magdala che era stata liberata da sette demoni e Maria la sorella di Lazzaro e di Marta. Su di una cosa è stata sempre precisa: riguardo l' amore appassionato della Maddalena.
La conversione le ha fatta cambiare vita, ma il vulcano del' amore totale che la bruciava non si è spento. Difatti, giunta davanti a Cristo, ha adoperato le stesse armi di seduzione che facevano perdere l’anima ai suoi tanti amanti: il fiume dei capelli, la fontana delle lacrime e i baci più infuocati, divenuti atto di pietà. Perché non avrebbe dovuto voler bene al Signore anche con la parte più bella di se, il suo corpo?
Il Signore, dicendo che “i suoi peccati, che sono tanti, le sono stati perdonati, perché ha ha molto amato” (Lc 7,47), si è complimentato con lei e ha condannato noi. Stentiamo a ottenere il perdono perché , anche se non facciamo grandi peccati, abbiamo il cuore senza amore. E questo è l’unico peccato e il più tremendo.
Guardando a tanta freddezza della cristianità, a tanta virtù laida, a tante esistenze insignificanti e spente, devi avere simpatia per Maddalena o Nena, con la sua passione che non riusciva a sfogarsi.
Almeno lei faceva girare la testa a tutti, mentre noi facciamo girare la testa dal' altra parte!
Dopo l' Ascensione, Maddalena ha attraversato il mare su di una barchetta, giungendo fino a Marsiglia, in Francia. E sarà una fantasia, ma un amore forte non fa volare, attraversare montagne e mari e arrivare fino alla porta dell' inferno e del cielo? Neanche la morte lo vince, dal momento che l’eternità sarà puro amore.
In questa storia così bella non mi piacciono le prediche moralistiche e stupide su “la bellezza della virtù e la bruttezza del vizio” o su “la contentezza dei buoni e la disperazione dei cattivi” e neanche l' iconografia. I pittori raffigurano Maddalena brutta, scompigliata, sporca, svestita e con teschio in mano. Ma come si può diventare brutti appena ci si innamora della bellezza stessa? Non doveva diventare ancora più bella?
Non accetto una certa spiritualità di disistima per la realtà creata e di odio per il corpo, il pensare alla sessualità come l’eterno pericolo e alla corporalità come un peso da sopportare. Come tanti santi che trattavano il corpo come un “somaro” e un “cadavere”. O santa Maddalena de’ Pazzi, che urlava: “O patire o morire”. questa gente è pericolosa, diseducativa, sballata e in contrasto con la visione positiva che la Bibbia ha della creazione, da compatire ma non da canonizzare.
E' Dio che l'ha creata bella, la Maddalena, e non il diavolo. E se per andare in Paradiso si deve essere brutti, storpi, antipatici, selvaggi, disgraziati, scapoli, senza soldi e scalognati, allora conviene cambiare destinazione. La vita cristiana non deve essere il desiderio di scappare da lì ma la fortuna di avere qui un acconto della realtà ultima. Una religione che ti spegne, ti raffredda, ti disamora, ti toglie la passione con i suoi rischi per rischiare di non puzzare di niente, non è un dono di Dio. E se la conversione deve togliermi il gusto e la pienezza del vivere, non mi ingolosisce. Un peccatore fantasioso e vivo è preferibile a un fedele insipido e noioso. Davanti alla prospettiva di un'eternità monotona, mi butto con la plebe. Accettando anche l' inevitabile confusione.