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Zelinda
La
bella stagione che sta giungendo mi porta il ricordo di Zelinda,
sepolta qualche mese addietro in una giornata di sole, lei che era
stata luminosa in tutta la sua vita. Avevamo appena celebrato la
prima comunione e ho voluto lasciare la chiesa come in quel giorno.
Per due ragioni.
Prima
di tutto perché Zelinda, con la sua umiltà, serenità, innocenza,
aveva conservata l’anima bambina fino a 89 anni. E dunque, come ci
dice il vangelo, aveva diritto a entrare nel regno di Dio con questo
titolo di precedenza Inoltre la prima comunione è solo un’ombra,
pallida e sbiadita, della grande comunione della morta. Difatti nella
comunione il Signore si
presenta nel mistero, velato nel pane e, mentre la morte strappa il
velo e toglie il mistero. Per questo è la vera comunione.
Rimasta
vedova e con i figli emigrati per il mondo, come tutti, trascorreva
le sue giornate lavorando come una formichina o un'ape. Sempre
intenta a fare qualcosa: pulire la casa, vedere dalle sue bestioline,
un salto nel cimitero, la messe e soprattutto i fiori e l’orto, la
sua grande passione.
Non
aveva specie rare ma i suoi vasi fiorivano un attimo prima di quelli
degli altri, perché lei sapeva trovare per ogni fiore la sua
porzione di luce e il riparo giusto. E nell' orto nessuno riusciva a
batterla riguardo a viole e iris. Dio, quante qualità e che colori!
Io
mi sento un poco suo parente, perché ha rifornito anche me. Quando
mi ha dato i mazzetti delle sue viole, l'ha fatto con una grazia e
una contentezza che non mi esce dagli occhi e dal cuore. Si sentiva
come in dovere per il fatto che io avevo preferito la sua povertà e
avevo onorato le sue creature, a cui lei perfino parlava. Così ogni
volta che vedo fra le aiuole due occhi di viola, devo pensare agli
occhi sereni e liberi di Zelinda.
I
suoi occhi erano chiari e sereni anche perché li aveva lucidati col
dolore, per la perdita di persone care anche giovani e per la perdita
della salute.
Ma
finché ha potuto ha lavorato. Quando l'incontravo sull'aiuola le
chiedevo: “Ma per chi lavorate adesso, Zelinda?”. “Per dire la
verità, non avrei bisogno, essendo sola. Ma mi sembra che la terra e
i fiori mi chiedano la carità e io non sono buona di dire loro di
no. Intanto si semina e poi, se si sarà vivi, si raccoglierà e
altrimenti pazienza. Noi dobbiamo fare la nostra parte”.
Lei
ha seminato e il Signore l'ha
premiata. Ha fatto fiorire tanto la famiglia che l’orto, anche
quando lei non poteva più, come farà con noi quando non ci saremo.
Se avremo avuto il cervello e la fortuna di seminare.
Il
vangelo (Lc 21,1-4) narra di quella povera vedova che, tutta
riguardosa, si è trascinata lungo i muri nel tempio fino alla
cassetta delle offerte, dove i ricchi potevano sfogarsi, per offrire
anche lei le sue due palanche. E il Signore
ha detto che lei ha offerto più di tutti, perché ha offerto
tutto.
Anche
Zelinda, piegata e minuta, ha donato nel mondo le sue due palanche, e
dunque ha dato tutto. Perciò io la vedo come quelle persone che Dio
ci manda per consolarci
con la bontà, dopo averci provati con la cattiveria. I santi sono
come le legna nello “spolert”. Non si vedono, ma si sente il
tepore. E quando si spengono, si sente il freddo. Per questo Dio non
può castigare il mondo lasciandolo senza santità.
Adesso
che l'abbiamo messa a riposare come semenza di eternità per il
grande orto del cielo, abbiamo tutto il diritto di pretendere che il
Signore ci mandi altri
piccoli fiori nel nostro piccolo paese per illuminare la nostra
piccola storia.