26 La precarietà, prima beatitudine
Hanno detto, persone più esperte di me, che basterebbe
salvare il discorso della montagna (Mt 5-7) per avere tutto il vangelo in
riassunto. E di questo discorso dolce e radicale, consolante e rivoluzionario,
basterebbe salvare le Beatitudini, che sono il cuore del cuore.
E' una lista di gente che, nella mentalità corrente di
oggi, ma anche in quella dell' epoca di Cristo, non fa nessuna invidia. Solitamente
la gente li guarda con indifferenza; qualcuno si spinge fino alla pietà, ma
credo che nessuno abbia voglia di
imitarli. Eppure i poveri, gli afflitti, i buoni e i puri di cuore, quelli che
perdonano e combattono per la pace,
contenti anche di ricevere mortificazioni e sberleffi, sono “fortunati”.
Fortunati o furbi? Forse anche furbi, ma di una
furbizia rovescia, come è rovescia e alternativa la visione della vita che
possiede Cristo rispetto alla nostra. Una furbizia che rischia il tutto per tutto,
ma tutto in base a una promessa, lasciando l’uovo sicuro per la gallina in
forse. Cristo li definisce “beati”; noi saremmo più sui “poveri” o disgraziati,
gli ultimi di questo mondo che saranno i primi in quell' altro, ma per adesso
ultimi.
E fra gli ultimi che hanno diritto di essere primi,
fra i beati che dovrebbero essere beati, faccio il sacrilegio di completare la
lista di Cristo con un’altra beatitudine: la precarietà.
I precari esistono anche nell'amministrazione dello
stato ma solitamente arrivano alla pensione. Quei precari a cui mi riferisco io
sono quelli che non possono programmare niente e vivono giorno per giorno non
per vocazione di perdigiorno ma perché la vita stessa non gli dà nessuna
sicurezza. Una volta, nella loro povertà, i nostri vecchi potevano anche fare
quattro conti, covare una qualche speranza, mirare qualche progetto o affare.
Se non avevano soldi, avevano salute, in più avevano il capitale dei figli e
soprattutto vivevano in un sistema di sicurezze, che permetteva loro di guardare avanti o almeno
di poggiare i piedi sul sicuro.
Oggi tutto questo è cambiato. non esiste, né a livello
personale né collettivo né locale né internazionale, un punto di riferimento
culturale, economico, psicologico. Se ci sono, sono contradittori e non valgono
né per tutte le persone né per tutti i momenti. Si è come su di una barca, dove
si può sperare di non affondare ma non si può fare a meno di ondeggiare e di
avere la testa che gira. Gli avi hanno avuto i loro problemi, ma noi non
dobbiamo sentire nessun senso di inferiorità nei loro confronti, perché oggi i fastidi sono maggiori e le
soddisfazioni minori.
Il vangelo, nell' invitarci a vivere giorno per giorno
senza diventare matti per il domani, ci porta come esempio gli uccelli del
cielo che non mietono e i fiori del prato che non tessono. Non ho nessuna paura
a portare, come esempio, tanta gente, di ogni età, che ogni giorno deve
affrontare una nuova avventura Un vecchio da solo, un padre e una madre con un
figlio disabile, una donna col peso della casa tutto sulle sue spalle, un
invalido, uno che possiede l’abbonamento per l' ospedale e per il medico, un
ragazzo già destinato a rimanere scapolo, un paese di anziani senza osterie e
botteghe e comodità e bambini, che illusioni possono farsi? Se arrivano a non
disperarsi, a non perdere la voglia di fare, a trovare nella grama monotonia
una qualche serenità, non sono di diritto nella lista dei “fortunati”? Una
lista che si allunga sempre di più, con la complessità di oggi. Lo spalancare
ogni giorno la finestra su di un mondo che non ti offrirà niente non è meno
grande e significativo del salmodiare che perfora le tegole centenarie di un
convento.