domenica 30 gennaio 2011

01 Avvento: un’ attesa piena di speranza


01 Avvento: un’ attesa piena di speranza



Anch’io, come tutti i preti e i cristiani, ho iniziato quel tempo benedetto di consolazione e di speranza che è l’Avvento, il tempo dell’attesa.
Ci sono tante maniere di attendere. C’è l’attesa della moglie abbandonata, del vecchio solo, del malato che si vede morire, del padre di famiglia o del giovane che va cercando lavoro e trova tutte le porte chiuse, del prete che si vede crescere nell’età e nelle delusioni e calare i fedeli e le soddisfazioni. C’è l’attesa della morte e l’attesa della vita, l’attendere di una cosa di cui si ha timore che avvenga e l’aspettare una cosa che non si vede l’ora che arrivi.
La prima domanda che vorrei pormi, e porre ai miei colleghi preti, ai superiori della Chiesa, ai cristiani che portano sulle spalle il peso della vita: “Che colore e che sapore ha la tua speranza? È una speranza che porta morte o vita? Ti senti più vicino a un moribondo che aspetta di esalare l’ultimo respiro o a una partoriente che è consapevole del fatto che il suo dolore è il prezzo da pagare per una nuova vita?” Mi sentirò rispondere, sicuramente che come cristiani abbiamo una speranza che non fallisce e che un cristiano disperato è uno scandalo e una contraddizione.
Predichiamo la speranza, ma con una faccia da disperati. Diciamo che Dio non può abbandonare la Chiesa e gli uomini, ma ci viene il sospetto che l’abbia già fatto e che tutto stia morendo. Sappiamo che esiste anche una resurrezione, ma siamo tanto poco sicuri che cerchiamo di rimandare la morte il più in là possibile.
O ci è morta la speranza o la nostra non è una speranza teologica, una speranza che proviene da Dio e che ha tutte le qualifiche di Dio.
Cosa dirò, alla mia comunità di Basagliapenta in questo Avvento 1993?, alla mia gente illusa, scannata, tradita, pasciuta e affamata, ricca e povera? Come affronterò questo Avvento sapendo che la mia gente verrà sempre meno in chiesa, che il mio “tempo forte” non è lo stesso loro, che la mia maniera di leggere la realtà non è la loro medesima, che ciò che i preti definiscono peccato per tanta gente rappresenta tutto fuorché il peccato?
Devo mettermi, come fanno in tanti, a ringhiare contro le persone, a stancare quei pochi che hanno tenuto duro, a trasformare ogni messa in un bollettino di disgrazie? Devo iniziare a condannare i giovani perché la domenica godono più il tepore del loro letto che non il caldo dell’amore di Dio? I genitori che stentano a generare figli e appena li mettono al mondo ce la mettono tutta per rovinarli? I bambini che non hanno creanza, non hanno gratitudine, non hanno voglia di far niente? Gli anziani che hanno perso la testa anche loro dietro agli stupidi di una televisione stupida? E via di questo passo? E in questo clima dovrei prepararmi a cantare la rivoluzione della notte di Natale?
“Non me la sento e non è giusto. Forse è arrivato il tempo di cercare Dio anche al di fuori della Chiesa, nella quotidianità, nella fatica del vivere, nella forza che hanno a tirare avanti, magari bestemmiando, in mezzo a mille delusioni. È giunto il momento di ribaltare tante concezioni che ci sembrano sacrosante, di trovare virtù laddove fino a ora non ne abbiamo mai trovate, oppure abbiamo guardato con un occhio critico e di condanna e di trovare pecche dove finora abbiamo guardato con un occhio di troppa simpatia e assoluzione. Di chiederci se sono le persone fuori strada o se siamo fuori anche noi o almeno sia noi che loro.
È giunto il momento, che avrebbe dovuto essere da sempre, di allargare la nostra visuale, cercando di vedere le cose con l’occhio di Dio, lui che ha dimostrato la sua gloria nel creare, nel salvare, nel santificare il mondo e che non ha ribrezzo di ciò che ha fatto, come una donna non è disgustata da suo figlio o da suo marito per sporchi o malati che siano.
Solo che bisogna avere il cuore libero e l’occhio luminoso. Bisogna percorrere sentieri che solitamente non si battono. Soprattutto si deve avere l’umiltà di non pretendere di trovare Dio, ma solo un indizio del suo passaggio. E la Chiesa, ogni cristiano, più che annusare la puzza di zolfo che c’è nel mondo per condannare il mondo, deve andare alla ricerca delle orme di Dio, accontentandosi delle impronte, dell’indicazione. La speranza cristiana non è che il mondo diventi un paradiso. Ne avevamo uno e lo abbiamo perso appena creato.
La speranza del cristiano è che non scompaia dalla storia di ogni anima e dalla storia del mondo l’orma di un Dio che non ci vuole bene perché siamo simpatici, ma che ci sopporta proprio perché siamo antipatici.
Vediamo se, in umiltà e libertà, arriveremo a trovare anche in questo nostro mondaccio un segnale che Dio è passato e continua a passare.

sabato 29 gennaio 2011

Introduzione


Introduzione


Esiste il caso?
Se esiste, questo libro dovrebbe essere suo figlio. Difatti è nato da una combinazione che adesso vedo provvidenziale.
Avevo il collo gonfio per le scelte ecclesiatiche e culturali de “La Vita Cattolica”. La colpa, o buona parte della colpa, l’aveva a mio avviso, il direttore don Duilio Corgnali. Per non scoppiare, gli ho scritto una lettera, delle più crude. E lui, con un atto veramente intelligente e indovinato, invece di sgridarmi mi ha detto: “ Perché non potremmo trovarci a ragionare assieme?” gli ho risposto con un proverbio che avevo sentito in Carnia: “Si può andare a pranzo anche con il diavolo, basta avere una forchetta abbastanza lunga.”
E il pranzo è diventato uno scambio interessante e franco di idee sul Friuli e sulla Chiesa. Soprattutto sulla Chiesa che non doveva essere la depositaria di una verità astratta e ideologica, ma che doveva sedersi accantoi all’uomo, con i suoi dubbi e le sue ricerche affannose, anche se non sempre teologiche, di un perché. In più la Chiesa strutturale non doveva avere troppe sicurezze su ciò di cui non si è mai sicuri, essendo che la fede è un lumicino e non un sole e Dio non l’ha visto nessuno. È già tanto se riusciamo a trovare la sua orma, anche nella nostra terra e anche in questa nostra epoca. Con libertà e umiltà, con la possibilità di andare a cercarlo fuori dalle istituzioni e dal tempio.
“Perché non potresti buttare giù queste idee su “La Vita Cattolica”? mi chiese galeotto, don Duilio. Potevorifiutare? Era giusto dire no dopo che mi aveva offerto l’occasione? Un’occasione buona per il giornale, di avere una voce alternativa, ma buona anche per me, per far giungere le mie idee a tanta gente. E una scommessa, dal momento che è più facile protestare che fare..
Abbiamo stipulato una sorte di accordo: lui non doveva venire a correggermi i miei compiti e io non dovevo attaccare le persone e le ortodossie. E così, dal 11 dicembre 1993, ogni settimana, è nato un pezzo riguardo gli svariati temi della vita dal punto di vista religioso. Che sono riportati in questo libricino. Se il testo qui riportato è leggermente più ampio, significa che qualche anima timorata ha messo il suo santo zampino. Ma non me la prendo. Comprendo che un giiornale diocesano ha esigenze diverse da un altro. Anch’io non parlo in canonica come faccio in chiesa ma non per questo mi ritengo bugiardo.
Non sono così stupida do non comprendere che nella vita è neccessaria anche una regola, un’istituzione, una struttura. Spero di morire prima di accettare che la regola, l’istituzione, la struttura sia l’unica o la più greande “ragione”. Soprattutto nella Chiesa.
Questa la “genesi” del libro. Il contenuto ognuno lo penserà per proprio conto. Ho cercato di non dare una risposta al grande problema del vivere ma una chiave di lettura, un’indicazione per un sentiero che ognuno dovrà percorrere con umiltà, libertà e fatica per trovare le impronte di Dio e del suo passaggio misterioso. Se mi è permesso un consiglio, va letto lentamente, riga dopo riga, parola dopo parola. E riletto. Un libro che dice tutto alla prima lettura, magari velocemente, è un libro abbastanza povero e supoerficiale.
Dedico queste povere pagine a quel bambino cieco che andava cercando il capezzolo di sua madre. Non lo cercava perché lo vedeva, ma perché non poteva vivere senza latte. E a tutti quelli che non vedono Dio e non sentono alcuna sua presenza consolatoria. Ma vanno avanti lo stesso, spinandosi e sanguinando tra i rovi della vita, dal momento che non si può vivere senza fede. Fede intesa come forza, come ricerca, come istinto di vita.

venerdì 28 gennaio 2011

Presentazione


Presentazione


Queste parabole, storielle sapienziali e riflessioni che leggerete, sono fiorite nel terreno della precarietà, dell’insicurezza che proviene dalla malattia, nell’orto di uno che non sa se domani sarà ancora in vita.
L’acqua di una pazienza senza fine, ogni giorno, le ha bagnate e il letame di un’umiltà, non cercata ma accettata, ha dato loro profumo e colore.
Se voi vi sentite efficienti, sicuri e programmati, lontani dalle miserie della gente, se per il momento tutto vi funziona, non leggete questo libro. Nella vostra distrazione e alienazione non vi dirà un granché; anzi vi darà fastidio.
Lungo la strada che l’autore indica può camminare solo chi cerca. Non l’ideologia o la programmazione della vita, non la vita di questa società, dell’istruzione o della televisione, ma quell’unica vita che possiedi: il te stesso più profondo, che, trovato quello, si è trovato tutto e, perduto quello, lussi, divertimenti, carriera diventano grandi illusioni.
Fa pensare, in questo libro, la scelta di pre Antoni.
Se un tempo difendeva gli ultimi, qui è più piccolo: se era la voce degli impotenti, qui è debole lui stesso. Piccolo di fronte alla grande storia del mondo, lui che ci invita a guardare a Sant’Alessio sconosciuto sotto la scala della sua stessa casa.
Qui pre Antoni è uno di quelli che lavorano “in perdita”.
Questa rappresenta la sconfitta della sua vita? È un’involuzione?
No, è rivelazione, condivisione. È la sapienza di Dio.sui grandi del mondo.
Pre Antoni dice: “… nel villaggio globale, dove la carta d’identità è la banalità”, dobbiamo sempre tenere duro assieme a quelli che “rimangono schietti, genuini, profondi, essenziali, misurati. Gente che lavora in perdita, per pura gratitudine e fede. Gente che muore in credito e non in debito. Benedetti!”.
Questa è la spiritualità, e camminare in compagnia dei santi, non sta a me esortare e consigliare: dico ciò che sento il mio cuore.
Non si può leggere questo libro come fosse un giornale d’informazione, come si legge un qualsiasi bollettino.
La strage della poesia è il silenzio.
Non si può contemplare una stella parlando, non si può ascoltare musica rapidamente; e non si può trovare sapienza dove c’è confusione. Forse questo libro è stato scritto passeggiando in un bosco; o vicino al fuoco dello spolert mentre fuori nevicava; o in una chiesetta fuori mano e abbandonata; o dentro il cuore di un uomo che ha molto tempo… tempo per pensare. Sopra la storia, la parola di Dio, e il senso della vita.
Sarebbero ancora parecchie le cose da dire. Per esempio, pre Antoni ha un amore limpido e unico per il Friuli: il suo sogno di una Chiesa più bella, differente, nuova e alternativa; e la scelta continua di quella libertà che abbiamo in Gesù Cristo.
Ma ognuno cerchi, in questo libretto, il suo tesoro. Il cuore lo guidi e troverà una perla e una luce.
Ricordandosi però di lasciarsi istruire dalle erbe dell’orto, dal canto di un canarino, da una viola, da un gatto, da una formica. Di non essere come la nonna di Davai che cercava gli occhiali perduti mentre li aveva sul naso.
La strada di pre Antoni non è la mia e non è la strada del lettore. Se l’ironia, l’immagine, il pensiero, la fantasia di questo libro mi aiuteranno a trovare il mio profondo, l’anima di me stesso e le orme di Dio nella mia vita, sarò fortunato!
Sarò pronto a continuare da solo.
Dopo aver detto a pre Antoni “Benedetto!”.

Pre Tonin Cappellari


Cercando le Orme di Dio Indice




Cercando le Orme di Dio di Pietrantonio Bellina dei primi anni 1994

Indice

Presentazione

Introduzione

01 Avvento: un’ attesa piena di speranza.

02 Troppe voci rischiano di soffocare laVoce.

03 Non rattoppi, ma cose nuove e alternative.

04 L’importante sono gli angeli, non le ali.

05 Nell’agenda di Dio.

06 Benedetta!

07 Ogni età è buona per partorire.

08 Natale: poteva non venire a trovarci?

09 Madonna Candelora: festa diu tutte le età della vita.

10 Troppi aggettivi vanificano la sostanza.

11 Il fiore della Quaresima.

12 A scuola di Dio nell’orto.

13 Il regalo più grande.

14 I miei giovani, così lontani e così vicini.

15 La differenza fra Dio e l’uomo.

16 Mandi, passerotti, e buona fortuna!

17 Onorare: una legge di vita.

18 Il canarino pasquale.

19 Poca voglia di Esodo in Friuli.

20 Signore, mandaci tante vocazioni, ma con i pantaloni.

21 La terra: culla e madre.

22 Il mistero della madre.

23 Croce di Carnia.

24 Uno Spirito fantasioso e rispettoso.

25 Un pane grande come il mondo.

26 Il “mondo” del vangelo non è il paese.

27 Il miracolo dell’ordinario.

28 Il santo degli strambi.

29 Il regalo della gatta.

30 A un pievano squinternato.

31 Seduti a piangere “super flumina Natisonis”.

32 Radici aquileiesi.

33 Sant’Alessio sotto la scala.

34 A Bepi, di Ursula, schiacciato dal peso della vita.

35 Una formica sull’altare.

36 Il corpo regale di Dio.

37 Quanta devozione a Bressa!

38 Una comunione più grande della particola.

39 Ipocrisia.

40 Preghiera alla Madonna.