lunedì 26 dicembre 2011

40 Preghiera alla Madonna


40 Preghiera alla Madonna


In casa, ho appeso una bella Madonna con il volto nero e col Bambin Gesù, simile alla Madonna di Castelmonte, ricamata a mano, e non posso guardarla senza sentirmi guardato. E il mio pensiero va ai tanti pellegrinaggi della nostra gente, ai tanti rosari delle nostre madri, alla grande devozione mariana del nostro popolo, sempre ricca di fastidi e di madonne.
I friulani non hanno visto la madonna come una specie di divinità ma come una sorella e una madre che soffriva come loro. E non le hanno chiesto di togliergli la croce e la fatica del vivere, cosa impossibile, ma di tenergli compagnia nel loro calvario di singoli e di popolo.
Con questo spirito, ho voluto aggiungere la mia preghiera alla loro preghiera, la mia litania alla loro litania. L’ho dedicata alla Madonna del rosario, pensando non tanto alle rose ma al mistero della vita. Soprattutto ai misteri dolorosi, che sono i più difficili da comprendere e da accettare, ma anche quelli che più si avvicinano alla gloria.

Madonna del Rosario,
madre di grazia e di misericordia,
madre di Cristo e degli uomini,
regina del cielo e della terra,
madre di perdono e di pace.
Tu che sei madre del Creatore,
vedi anche delle crature e della creazione intera.
Tu che sei madre del Salvatore,
vedi anche di quelli che devono essere salvati.
Tu chge sei la Vergine fedele,
non abbandonarci nella nostra infedeltà.
Tu che hai avuto la fortuna di credere,
vedi di noi che stentiamo molto
ad avere fiducia in Dio e in noi.
Tu che hai toccato, visto, sentito il Signore
E goduto della sua presenza,
vedi di noi che non lo sentiamo, non lo vediamo,
e non soffriamo per la sua assenza.
Tu che hai regalato la Luce,
vedi di noi che girovaghiamo nel buio.
Tu che hai partorito il Giorno,
vedi di noi che siamo in piena notte.
Tu che hai partorito il Tutto,
vedi di noi che giriamo intorno al vuoto
e del nostro essere nulla.
Tu che sei stata chiamata,onorata
E cantata dai nostri padri e avi,
non abbandonare noi, che siamo i loro figli e nipoti.
Tu che hai accompagnato il nostro popolo
Nella sua disperazione per il mondo per guadagnarsi il pane,
non abbandonarci nella dispersione culturale e morale d’oggi
e dacci il pane dell’anima e della mente.
Abbiamo implorato verso di te nelle tragedie delle guerre.
Ascoltaci e aiutaci
Nella guerra di ogni giorno che è la vita.
Abbiamo implorato verso di te quando tremava la terra
Sfigurando i nostri paesi,
ascoltaci e aiutaci ora che un terremoto spirituale
tende a toglierci ogni punto di riferimento
e a sfigurare la nostra anima.
Tu che hai aiutato il nostro popolo
Negli anni tormentati della povertà e della miseria,
non abbandonarci negli anni non meno pericolosi
dell’abbondanza.
Ascoltaci, anche se non ti ascoltiamo.
Guardaci, anche se non ti guardiamo.
Aiutaci, anche se non te lo chiediamo.
Perdonaci, anche se non lo meritiamo.
E mostrati, oggi più di sempre, madre di misericordia,
di perdono e di pace. Amen.

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39 Ipocrisia


39 Ipocrisia

Non credo di aver nessun merito di sorta, se non ho fatto della sessualità uno i miei cavalli di battaglia pastorali. Non ne parlo forse mai, tanto meno in chiesa. Per rispetto del luogo santo, delle persone e della sessualità. E vedendo la deformazione educativa che ci hanno dato in seminario con la “bella virtù” (come se esistesse una virtù brutta), l’insistenza puntigliosa e maniaca di certo magistero, che batte sempre sull’argomento, come un martello sull’incudine, la tanta ipocrisia che questa insistenza settoriale ed esagerata ha creato sulla gente, sempre più mi convince a perseverare su questa mia scelta.
Cristo ha detto: “fortunati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt. 5,8) e la realtà con l’occhio chiaro e chiarificante di Dio. Noi cristiani, soprattutto noi cattolici, non abbiamo l’occhio limpido perché non abbiamo incentrato tutto su un cuore puro e abbiamo preferito la morale alla profondità del cuore, o moralismo del comportamento, delle misure, dai casi, con tutte le precisazioni anche quelle più inutili. Così abbiamo trasformato la pienezza della vita in un caos di pericoli e di scrupoli e Dio ci ha castigato facendoci perdere la libertà di giudizio, per colpa dei pregiudizi, sempre parziali e pericolosi.
Fino a che la Chiesa non giunge a una visione serena, armonica e liberante della sessualità dovrà rassegnarsi a collezionare brutte figure o a non essere compresa dalla gente più libera e sana.
Ma forse è meglio spiegarsi con qualche esempio concreto.
L’altra sera si stava guardando la televisione e a un certo punto si sono visti due che si lavavano completamente nudi. L’anziana signora mi ha detto . “Signor pievano, guardi lì! Deve venire la fine del mondo inevitabilmente!” Subito dopo si è visto un bandito uccidere tre uomini per rapinare una banca. Nessun commento, eppure lì ci si era avviati lungo la strada che porta alla fine del mondo.
Quando la domenica la gioventù del paese parte con la corriera alla volta della spiaggia di Lignano, tante fedeli cattoliche li guardano di traverso. E magari hanno guardato con una punta di orgoglio i propri figli che salivano cantando sul treno che li portava in guerra a uccidere o a morire. E infatti, quando in chiesa ho detto che la frase: “Facciamo l’amore, non la guerra” non era sporca e nemmeno contraria all’insegnamento del vangelo, hanno mugugnato: “Certo che il mondo va male, se anche i preti assecondano gli sporcaccioni e i vizi” e minacciavano di ricattarmi sul quartese.
Se scoprissero un prete intento a baciare una ragazza, urlerebbero tanto da demolire la chiesa. Quando ne hanno visto qualcuno dare pizzicotti ai bimbi al punto da farli sanguinare, hanno detto . “Povero prete , è carico di nervosismo!”.
La stessa cosa vale anche nei giudizi sul mondo civile. Se esce il pettegolezzo che uno è pazzerello o strambo nella sua vita sessuale, ti prende come una specie di ribrezzo e non gli dai la mano, sebbene siano fatti suoi. Cosa che non succede con uno che ti imbroglia rubandoti il portafoglio, che è tuo. Perché siamo sballati e non siamo liberi. Come se guardassimo la realtà con gli occhi strabici. Tutto ciò crea un senso di ribellione soprattutto fra i giovani, che hanno una visione più libera e giusta rispetto a noi, anche se non sempre completa.
Un pittore aveva dipinto per le monache un Cristo in croce. Essendo uno spirito bizzarro, lo dipinse a modo suo, quando lo consegnò, le suore scapparono come pazze gridando al sacrilegio. Il sacrilegio era che lo aveva dipinto nudo, senza uno straccio, non che appesa a quella croce infamante ci fosse inchiodato un uomo giusto e buono.



38 Una comunione più grande della particola


38 Una comunione più grande della particola


Nel tempio di Gerusalemme i momenti più importanti della giornata erano quella dell’alba e del tramonto. E i sacerdoti li santificavano con i sacrifici, più mistico, della lode, o con quello, più crudo o cruento, dell’agnello. Povera bestiolina, condannata a pagare con la sua vita la gloria di Dio e la cattiveria degli uomini! Era forse giusto?
I cristiani si ritengono più fortunati perché invece del simbolo della mitezza sacrificano l’Agnello senza macchia. Ragionando attentamente, sarebbe da quel giorno che siamo passati di male in peggio. Preferisco non pensare alla crudezza di questo Sangue offerto al Padre per i peccati del mondo. Meglio prendere la messa come una grande preghiera di lode e una canzone d’amore di Cristo primizia della creazione e della redenzione. Come una madre che inizia la giornata cantando sulla culla del bambino che si sveglia e la sera canta sul suo addormentarsi.
Vista così, la messa è il momento fondamentale della giornata e la gente dovrebbe fare le corse per assicurarsi il primo posto, almeno come alla partita di calcio o al concerto di un cantante. Invece, gli uomini, e non solo quelli di Basagliapenta, sono tanto convinti del valore universale della lode di Cristo, che lo lasciano pigolare solitario, presi come sono da mille cose indispensabili, utili, inutili e dannose. Così la grande preghiera della mattina e della sera diventa sempre più disperante, con un prete adirato, con qualche bambino irrequieto, dove si ha la fortuna di averli, e un gruppetto di donne che dovrebbero essere la rappresentanza ufficiale della comunità e il suo parafulmine.
Con tutto ciò però ogni messa è messa grande perché il mistero non diviene grande per il numero dei partecipanti ma per il valore in sé, che è infinito.
Ma ritorniamo al gruppetto mattutino delle anime eucaristiche. Non penso che siano, insieme col pievano, le depositarie della lode fra un mare di gente dannata, come qualche volta forse sospetta il loro cuore.
Un giorno le mie fedelissime stavano facendo la lista di quelli che non vengono mai a messa. La lista era lunga e i commenti taglienti. Ce l’avevano soprattutto con i giovani che vanno a ballare e con le ragazze che non mettono piede in chiesa durante tutto l’anno. Una cosa sicuramente non delle migliori, ma nemmeno un delitto.
Ho spiegato loro, con delicatezza e schiettezza, che la lode a Dio è più amplia dell’altare, e allo stesso modo la comunione è più grande della particola, non può iniziare e terminare in chiesa, altrimenti sarebbe veramente un fallimento. Come Cristo prega per tutti, così tutti prendono parte alla sua lode ovunque li conduca la vita.
“I giovani, a quest’ora, non sono a ballare, ma al lavoro. Quella ragazza di cui parlavate ora, che non viene mai a messa, sono quindici anni che parte alle sette la mattina e versa i contributi perché io e voi possiamo ritirare la pensione. Saremmo obbligati ogni giorno a pregare per lei e per tutti quelli che in questo momento lavorano per noi. Come dovremmo pregare per tutti i comunisti e i bestemmiatori che hanno pagato per erigere chiese e canoniche dove, non solo non hanno mai messo piede, ma sono stati derisi oltre misura”.
Sono convinto di aver parlato giusto, allo stesso tempo sono certo di non averle convinte. “Io proseguo con la mia certezza e lui dica ciò che vuole. Mia madre diceva che laddove non entra il Signore, entra il diavolo. E una ragazza che non va a messa, se io fossi un ragazzo, non la toccherei nemmeno con la forca del letame “.
È grande il mistero della fede!

37 Quanta devozione a Bressa!


37 Quanta devozione a Bressa!



Sembra che le mie campane, in questi giorni suonino inutilmente, più che in altri periodi dell’anno. Come se nessuno avesse né voglia né tempo di ascoltarle: vecchi stanchi, giovani assenti, uomini impegnati, bambini a guardare la televisione.
Dove sono andate a finire le campane del sabato sera? Quelle campane che dovevano riservare la loro più bella armonia per “suonarla al termine della guerra?” ma era il suono che era bello o era la guerra che rendeva il cuore più disponibile e sensibile? Già, la guerra…
Ho fra le mani il libro di Giacomo Viola “Una vera Babilonia” , dove si narra che i preti friulani raccontano della tragedia della prima guerra, la grande guerra. Ovunque grandi preghiere, voti, comuniuoni generali. Bressa è stata la capitale spirituale del Friuli. Nel 1917 28.620 comunioni, 70 al giorno durante la settimana e 630 nella giornata eucaristica ( non hanno celebrato la Pasqua tre uomini e due donne).
Ebbene, in data 18 aprile 1918, il pievano pre Francesco Lucis annotava: “Giovedì. Campane Addio! Giorni loschi, oscuri – i manigoldi, sacrileghi ci hanno portato via le campane. A colpi di mazza ferrata le hanno spezzate tutte tre sul campanile. Per la maggiore si diedero 554 colpi per spezzarla. 554 colpi al cuore di tutti – molti svernnero a quei colpi. Venerdì mattina gettati i pezzi della maggiore (Immacolata). Venerdì sera ore 19 spezzata e gettata la mezzana Elisabetta. Rimane la minore Maria Teresa – come un’orfanella di Dio, quale agonia nel paese! Il parroco fece l’impossibile per ottenere almeno la grande – fu impossibile!”.
Il 24 di aprile anche Maria Teresa abbandona il campanile. Le avevano benedette il 19 marzo del 1907.
Certo che a leggere di questa gente che conta i colpi come fossero delle coltellate e che collassano, devi per forza, rincuorarti. Basta che il rincuoramento non ti impedisca di pensare. E di porti domande come questa: “Quante volte avevano suonato inutilmente, per tanta gente, prima di quel giorno?”. O questa: “Adesso che a Bressa non hanno più la guerra, quanti sentono suonare le campane la domenica e nei feriali e quanti di questi rispondono all’invito?”. Se queste persone nutrivano tutta questa devozione, com’è che non l’hanno trasmessa ai figli e ai nipoti assieme alle case e ai terreni? O non era tutto oro quello che luccicava, come non è tutto scarto quello d’oggi?
Mi rammento di un altro prete di Bressa, il vecchio pievano di Paularo, che ci diceva avvilito (eravamo nella rivoluzione del 68): “Come ci siamo ridotti malamente!” E pensare che in tempo di guerra non ci si parava dal confessare e comunicare!” gli ho suggerito, stupidamente: “Non potremmo fare un triduo per far ritornare la guerra e così la gente tornerebbe in chiesa?”.
Stiamo attenti a non confondere il bisogno psicologico o spirituale con la fede e la chiesa colma con una vita piena di religione. Se frequentano solo perché hanno paura o non sanno dove andare, quando non hanno più timore o hanno un soldo in tasca non vengono più in chiesa.
Un giorno mi sono confidato con don Antonio Graffi, di Rodeano, che ora si trova nel ricovero del seminario di Udine. “Ma era tanto bello una volta?” “Per noi preti no. C’era tanto lavoro e ubbidienza e pochi soldi. Ora si può respirare, dire ciò che si pensa e si ha qualche soldo da parte. Riguardo la Chiesa, anche una volta quelli che avevano la motocicletta non veniuvano al vespero. Solo che ora l’hanno tutti e allora ci si accorge maggiormente del vuoto.”


36 Il corpo regalo di Dio


36 Il corpo regalo di Dio


La mia pievania, come molte in Carnia e in Friuli, è dedicata alla Madonna Assunta in cielo, o madonna d’agosto. Ora, con la secolarizzazione, si è semplificato in “Ferragosto”, senza Madonna.
Come pievano e come prete, mi tocca immedesimarmi nel mistero per poter trasfondere un po’ del suo significato più bello e per poter consolare i miei fedeli lontani, con la visione della vita eterna, ancora più distante. Difatti mi sento sempre più imbarazzato a spiegare loro la belezza della Madonna Assunta in cielo in anima e corpo a gente che non si preoccupa troppo per l’anima e che il proprio corpo lo stenderebbe più volentieri sulle sabbie di Lignano, in mezzo a tanta grazia di Dio.
Posso, in coscienza, proseguire con la nenia, che i pagani, i materialisti, gli sporcaccioni si accontentano della banalità del ferragosto, a ricordo dei bagni dell’imperatore Augusto, mentre i cristiani avranno le loro ferie nell’aldilà? Ha senso, se mai ne ha avuto, questa campagna di rinnegare, denigrare, svalutare, contrapporre il mondo dell’aldiqua al mondo dell’aldilà?
Ho ancora in mente certi santi che facevano le gare a chi pativa di più e maltrattava il suo corpo col richiamo del cielo, l’unico luogo dove un cristiano ha diritto di riposare. E questo l’hanno fatto molte volte adoperando il mistero dell’Assunta, collegato al mistero più grande dell’Ascensione è una verità più vere della fede cristiana, anche se proclamata solo in questo secolo. Ma il fatto che la Madonna sia stata portata in cielo “in anima e corpo” è contro o a favore del corpo? Il fatto che Cristo abbia scelto di salvarci incarnandosi in un corpo come il nostro è pro o contro delle realtà corporali? La fede nei nuovi cieli e nella terra nuova è a favore o a scapito del nostro cielo e della nostra terra?
Il groviglio sta tutto qui. Io vedo il mistero dell’Assunzione della Madonna della Ascensione di Cristo e dell’ eternità non come la svalutazione del nostro mondo e del nostro corpo, ma come la più grande esaltazione e rivalutazione. Il mistero ci insegna che la realtà corporale che viviamo, la nostra “tenda” del tempio, non solo è bella e santa e godibile ma è la via che Dio ha preferito per portarci alla pienezza. Che non sarà l’eliminazione del corpo, ma la sua glorificazione e il suo completamento.
Perciò non vedo nessuna contrapposizione fra la sabbia di Lignano e il paradiso, fra la nostra gioventù mezza nuda e arrostita con la radio che schiamazza e i santi del cielo, vestiti solo di luce, scottati dall’amore di Dio e intenti a cantare “Santo, santo, santo” a oltranza. Si tratta di far divenire eterno e per tutti ciò che è solo per pochi e dura un solo attimo.
La Chiesa, riuscirà finalmente a guadare il corpo dell’uomo e della donna, con tutte le potenzialità e funzioni e bellezze, compresa la sessualità, con occhi illuminati da questo mistero? Riusciremo a vivere e a godere tutto ciò di cui si può godere senza dover attenderci tutto nell’aldilà?
La Bibbia dice che il corpo dell’uomo e della donna li ha creati il Signore che, a opera conclusa, era contentissimo della sua fatica, di questo specchio della sua bellezza. Una tradizione della Chiesa, troppo lunga e ampliata, fa sospettare invece che il corpo non sia un dono di Dio, da adoperare in letizia, ma un dispetto del diavolo, di cui disfarsi il prima possibile. Esattamente il contrario del mistero del corpo glorificato di Maria e di Cristo.


venerdì 23 dicembre 2011

35 Una formica sull’altare


35 Una formica sull’altare


Negli anni lontani della nostra ingenua innocenza, ci insegnavano che più si era vicini all’altare e più si era partecipi del mistero e si aveva diritto a spartire i benefici. Per una sorta di radiazione sacramentale, che colpiva a causa della vicinanza, come fanno tutte le radiazioni. Difatti quelli che si trovavano in fondo alla chiesa ricevevano solo un po’ di benedizione e quelli che stavano fuori la chiesa, sul muretto, meritavano schiaffoni in volto. Ci portavano anche il paragone. Il pastore vuole bene a tutte le pecore e vede di loro con la stessa cura ma, se ha in tasca una manciata di sale, la spartisce fra le pecore che gli sono più vicine. Queste sarebbero le anime eucaristiche.
Naturalmente questo ragionamento non ha modificato il vizio dei friulani che, fra tutti i posti in chiesa, preferiscono infallibilmente quello più lontano all’altare e più vicino alla porta.
Tutto questo lo rimuginavo a messa, fra una distrazione e l’altra, guardando le mie pecore sparse fra i banchi e così poco golose delle radiazioni eucaristiche. Fino a che l’occhio non mi è caduto sull’altare, dove una formichina stava passeggiando fra la patena e il calice.
“Dio che fortunata questa bestiolina, più vicina di tutti noi al grande mistero e dunque la più esposta alle radiazioni amorose del Signore!”. Solo che la formica non dava alcun segno della fortuna che l’era capitata. Non stava ferma un attimo e nemmeno durante la consacrazione ha avuto il buon senso e il pudore di fermarsi ad adorare.
Già! Basta essere sull’altare o in chiesa per prendere la grazia del sacramento? Basta una presenza fisica per essere fra le anime privilegiate? Basta andare a messa ogni giorno o dire messa per essere contaminati dalla grazia? Basta avere una chiesa nel paese, magari fornita a puntino e con cose lussuose, per assicurarsi la presenza del Signore e la sua benedizione? Quelli che si recano sempre in chiesa sono più colmi di grazia di quelli che ci mettono piede solo per sbaglio o per un dovere?
Domande per nulla banali e risposte per nulla scontate.
Noi siamo un paese, un popolo a struttura cristiana, anche cattolica. La scansione del tempo e dell’anno, i proverbi, e la parlata, perfino il nostro bestemmiare ha, magari a rovescio, un riferimento specifico al mondo religioso. Che ha spadroneggiato fino all’altro giorno, con grande consolazione della classe clericale convinta che i numeri in crescita indicassero una crescita automatica della fede. E la massa di gente ci ha tanto entusiasmato che non abbiamo sospettato che questa stessa gente sarebbe scappata in un battito di ciglia con i primi soldi in tasca e con il primo assaggio di libertà.
Ovunque sembra che si abbia come un senso di nostalgia per le chiese stracolme, per le falangi degli iscritti all’Azione Cattolica, per l’identificazione del mondo con il mondo religioso sotto il comando del prete.
Solo che, guardando alla realtà di oggi, devo chiedermi se questo mondo è mai esistito,se veramente siamo stati colpiti dalle radiazioni della fede o se invece ci siamo trovati per caso in un contesto sacrale come la mia povera bestiolina nera sull’altare.
Il salmista guarda con invidia il nido della rondine sotto le tegole del tempio (Sal 84,4). Per la rondine avere il nido in chiesa può essere sufficiente. Per noi sarebbe troppo poco. Siamo a posto solo se meritiamo che il Signore faccia il nido nel nostro cuore.

venerdì 16 dicembre 2011

34 A Bepi, di Ursula, schiacciato dal peso della vita


34 A Bepi, di Ursula, schiacciato dal peso della vita



Bepi, è volato già un mese da quando ti abbiamo trovato disteso con le braccia spalancate come un povero Cristo con la bottiglia dell’acido muriatico accanto.
A dire il vero la Chiesa non concedeva i funerali in simili casi, almeno per i poveri. Per un rispetto teorico della vita, uno che aveva vissuto da cane ed era morto da cane, doveva anche congedarsi da cane, condannato anche nella memoria collettiva. Ora la cosa è più giusta, perché si deve guardare a quanta disperazione ha quello che taglia il filo dei suoi giorni. E per non andare fuori strada, abbiamo letto, durante la messa, due esperienze tremende: il pezzo di Giacobbe 14, sull’uomo che vive pochi giorni, carico di tormenti, appassisce come un fiore e sfugge come l’ombra. E l’altro del Figlio di Dio che verso le tre, l’ora della tua morte, ha gridato a gran voce: ”Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt. 27,46). Tu, sei dunque in buona compagnia e soprattutto in grande compagnia, perché tutti si percorre quel sentiero.
Tutti a questo mondo, si patisce e si hanno momenti di crisi. La tragedia nasce quando non si intravede una via di fuga, come un topolino in trappola. E allora tutto diventa un nemico: Dio, la religione, i familiari, i paesani. E difronte alla disperazione infinita, la strada più corta è quella del suicidio. Magari soffrendo da bestie.
In predica ho spiegato che i romani adoperavano la stessa parola, pietas, per indicare sia Dio che i morti. La pietà è il ricordo, il rispetto, il silenzio, l’adorazione del mistero. Se Dio è il mistero, è mistero anche il cuore dell’uomo. E ci si deve fermare dinnanzi alla porta. Per questo la gente non lo deve nominare invano, ma solo per ricordarlo, pensarlo, adorarlo. Con la testa bassa e la bocca chiusa.
La Bibbia dice, con grande sapienza, che l’uomo deve lasciare i genitori. Nel tuo caso, e non per colpa tua, è successo qualcosa di innaturale. Hai vissuto assieme a tua madre, voi due soli, per troppi anni e soprattutto anni di malattia, quando la convivenza si fa più problematica, in tanto tempo i rapporti s’invertono. Prima si diventa come marito e moglie e poi il figlio fa ciò che sua madre gli aveva fatto quand’era bambino: lavare, nutrire, vestire, vegliare, sopportare. E il figlio diviene madre e la madre diviene figlia. E quando muore la madre, magari a 98 anni, è come morisse un figlio, con tutte le conseguenze del caso. Non si può staccare una vite dal muro, senza strappare un po’ di intonaco.
Tu, sei sempre stato considerato pazzo. Ma nella tua follia non hai commesso danni e le porcate di tanta gente savia. E sei riuscito a essere splendido, anche troppo, con persone che erano considerate per bene e ti sfruttavano. Meglio matti senza colpa che criminali con colpa.
Ho avuto modo di vedere i giovani del paese, portare la bara in spalle. Lo hanno fatto volentieri. Ti abbiamo sepolto accanto a tua madre, come foste stati a casa, letto accanto a letto, fino all’altro giorno. Solo che ora il sonno sarà più lungo, anche se meno doloroso.
Spero che, con tanti fiori che hai regalato nei momenti di euforia, qualche donna si ricordi di portarli, a te e a Ursula, in segno d’affetto.
Il borgo è diventato più silenzioso, con le case che si chiudono. Il gatto viene a mangiare da me e non zoppica come prima. Mi sembra che la ferita alla zampina si è rimarginata. Speriamo che il tempo guarisca anche le ferite delle nostre anime.
Guardo spesso la cartolina di Villacch col tuo “Auf wier-dersehen”. Ti rispondo ogni giorno col nostro: “mandi”: “vivi a lungo”. “vivi in Dio”, “ti raccomando a Dio”.

martedì 6 dicembre 2011

33 Sant’Alessio sotto la scala


33 Sant’Alessio sotto la scala


Un santo simpatico Alessio: giovane, bello, biondo, sorridente, sempre disponibile, pura preghiera, virtù, umiltà, con una luce di cielo negli occhi celesti, e un’aureola in testa, fornitagli da Dio a testimonianza della sua santità. Era ricco di famiglia, ma solo per poter aiutare i poveri e salvare la categoria. Si era anche sposato, ma senza malizia e solo per ubbidienza e per poter essere presentato come esempio di castità.
Così ho imparato a conoscere questo santo venerato in Ordiente, dove aveva vissuto per diciassette anni a Odessa servendo i malati, e in Occidente dove ha vissuto altri diciassette anni a Roma, sconosciuto nel palazzo di suo padre, a servire i suoi servi fra mille umiliazioni e botte. La Chiesa lo ricorda il 17 luglio.
Lo avevano confinato sotto la scala e lì lo hanno rinvenuto morto con il diario della sua storia fra le mani e tutto circondato di luce. Sua madre lo baciava e gli chiedeva perdono per non averlo trattato bene, che se avesse saputo che era sua figlio, potete immaginare se lo avrebbe lasciato in quel canile. Già, si dice sempre così quando oramai è troppo tardi.
Mia nonna Anna di Davai conosceva giusto il succo di questa storia meravigliosa e non la ricordava mai non a causa della sua santità ma dei suoi occhiali. Perché li cercava ovunque e li aveva sul naso, proprio come Sant’Alessio, che lo cercavano ovunque mentre l’avevano sotto gli occhi.
Che bella storia e che grande insegnamento per tutti! Soprattutto oggi che si cercano tesori esotici per mari e monti e più si cercano più si allontanano e più si è inquieti. Perché il tesoro serve, come dice il vangelo “là dove è il tuo tesoro, ci sarà pure il tuo cuore” (Mt. 6,21)
Si cercano filosofie strambe, sensazioni peregrine. Ricette e medicine per il corpo e per l’anima mai conosciute e intanto cresce l’affanno e la delusione e l’anima si avvicina al buio della morte.
Ma Dio, sapiente e furbo, ha voluto castigare i ricchi e i troppo pasciuti, che spendono e spandono credendo che la felicità sia un luogo lontano, e ha avuto pena dei poveri e dei semplici, nascondendo il tesoro in un luogo in cui non servono né denari né mezzi per raggiungerlo: nella profondità del loro cuore. E quando uno va a fondo nel proprio cuore, sotto la scala della sua anima, trova la serenità e la pace, l’armonia delle cose e il segreto dell’esistenza.
La leggenda di Sant’Alessio ci dice anche che il tesoro è rivestito d’umiltà, di cianfrusaglie e di cose che nessuno stima e che tutti irridono. Solo un occhio attento e libero e un’anima umile e non prevenuta può abassarsi a rovistare in quella miseria esteriore che è simile alla conchiglia che contiene una grande perla.
Riusciremo noi friulani, figli di questo tempo di sensazioni continue e superficiali, ad avere la fortuna di cercare il nostro tesoro esistenziale nella lingua, nella filosofia, nella storia grande e piccola quotidiana, nella memoria personale e collettiva, nella terra, nell’umiltà di un piccolo borgo o di una chiesetta, in un vecchio ritratto, o in un baule, nelle persone che abbiamo sotto il nostro tetto, nell’armonia delle stagioni e dei colori dell’anno e della vita? Ci aiuterà la Chiesa, la scuola, il mondo degli intellettuali, a cercare il nostro bene e la nostra luce sotto la nostra scala? O dovremo giungere sempre gridando dinnanzi alla morte, quando ormai è troppo tardi? Oh, Sant’Alessio!

venerdì 2 dicembre 2011

32 Radici aquileiesi


32 Radici aquileiesi

La sagra o perdono dei santi Ermacora e Fortunato, che la liturgia stabilisce essere il dodici di luglio, ci riporta a un problema di fondo non solo religioso ma anche culturale, antropologico e spirituale: il rapporto fra cronaca e storia, fra presente e passato, fra contemporaneità e memoria. Un problema che esiste da sempre, ma che nella nostra epoca involgarita, iconoclastica, materialistica, emotiva e superficiale trova sempre più importanza. Un tempo potevano anche non andare a cercare le proprie radici, perché vivevano in armonia con la storia e il territorio, in un’armonia che, se non era ideale (non esiste un equilibrio ideale di tutte le componenti dell’uomo) e a livello di coscienza, era reale a livello di esperienza.
La rivoluzione, l’accelerazione, la massificazione ha sostituito la realtà la finzione o “fiction”, e tutto è divenuto relativo e artificiale: il mangiare, il bere, il dormire, il piangere, il ridere, il partecipare, gli odori e i colori. Perfino con le piante bisogna stare attenti. Difatti ne trovi di fiorite in ogni stagione e più fuori fa freddo e più in casa è sfacciata la fioritura. Solo che non si tratta di alberi, ma di plastica, realizzata a modo d’albero.
Anche la religione è soggetta alle tentazioni e alle mode dei tempi, e rischia di prendere la scorciatoia criminale della falsificazione, con cere di plastica, con fiori finti, con candele elettriche, con suoni artificiali che strepitano per coprire il silenzio della gente.
Contro questo “disordine della desolazione” che ha appestato famiglie e paesi, case e chiese, devo andare a cercare la fontana dell’acqua genuina che gocciola dalla profondità della nostra terra e l’albero antico che ha radici profonde come i secoli e dure come la nostra storia. Tutto questo si trova in un luogo materiale e spirituale che per noi può essere un luogo ben preciso: Aquilkeia. In Aquileia il popolo friulano ha le sue radici cristiane e friulane. Senza forzature e senza dare all’ affermazione una connotazione nazionalistica o integralista, possiamo sostenere che siamo friulani perché siamo cristiani e siamo cristiani perché siamo friulani.
Se vogliamo dunque salvarci come friulani e come cristiani, ovvero se vogliamo salvare la nostra “anima” come dice il vangelo, dobbiamo compiere un pellegrinaggio che diviene uno stile di vita, una ricerca continua del nostro DNA, per donare al mondo il regalo della nostra specificità.
Si parla tanto di nuova evangelizzazione, perché abbiamo perso la tramontana. Se non vogliamo che tutto diventi una nuova colonizzazione magari con la croce, dobbiamo dare a questa parola e a questo progetto il significato di un voto corale e penitenziale, per chiedere perdono ai nostri santi Fondatori e a tutte le anime buone che hanno concimato con la loro testimonianza generosa e sofferta questa nostra terra, per ristorare la nostra anima arsa alla vecchia fontana, per sederci stanchi e delusi sotto l’ombra del grande albero, per appoggiarci a quel campanile che prolunga le sue fondamenta nella profondità della terra e del tempo e va su con la sua punta nella pienezza e nella libertà del cielo.
E con questa visione di terra e cielo, che sono le coordinate vitali per un uomo e per un popolo, torneremo al nostro vivere di ogni giorno, per scrivere un’altra pagina di storia di vita nel vecchio quaderno del Friuli.