lunedì 26 dicembre 2011

37 Quanta devozione a Bressa!


37 Quanta devozione a Bressa!



Sembra che le mie campane, in questi giorni suonino inutilmente, più che in altri periodi dell’anno. Come se nessuno avesse né voglia né tempo di ascoltarle: vecchi stanchi, giovani assenti, uomini impegnati, bambini a guardare la televisione.
Dove sono andate a finire le campane del sabato sera? Quelle campane che dovevano riservare la loro più bella armonia per “suonarla al termine della guerra?” ma era il suono che era bello o era la guerra che rendeva il cuore più disponibile e sensibile? Già, la guerra…
Ho fra le mani il libro di Giacomo Viola “Una vera Babilonia” , dove si narra che i preti friulani raccontano della tragedia della prima guerra, la grande guerra. Ovunque grandi preghiere, voti, comuniuoni generali. Bressa è stata la capitale spirituale del Friuli. Nel 1917 28.620 comunioni, 70 al giorno durante la settimana e 630 nella giornata eucaristica ( non hanno celebrato la Pasqua tre uomini e due donne).
Ebbene, in data 18 aprile 1918, il pievano pre Francesco Lucis annotava: “Giovedì. Campane Addio! Giorni loschi, oscuri – i manigoldi, sacrileghi ci hanno portato via le campane. A colpi di mazza ferrata le hanno spezzate tutte tre sul campanile. Per la maggiore si diedero 554 colpi per spezzarla. 554 colpi al cuore di tutti – molti svernnero a quei colpi. Venerdì mattina gettati i pezzi della maggiore (Immacolata). Venerdì sera ore 19 spezzata e gettata la mezzana Elisabetta. Rimane la minore Maria Teresa – come un’orfanella di Dio, quale agonia nel paese! Il parroco fece l’impossibile per ottenere almeno la grande – fu impossibile!”.
Il 24 di aprile anche Maria Teresa abbandona il campanile. Le avevano benedette il 19 marzo del 1907.
Certo che a leggere di questa gente che conta i colpi come fossero delle coltellate e che collassano, devi per forza, rincuorarti. Basta che il rincuoramento non ti impedisca di pensare. E di porti domande come questa: “Quante volte avevano suonato inutilmente, per tanta gente, prima di quel giorno?”. O questa: “Adesso che a Bressa non hanno più la guerra, quanti sentono suonare le campane la domenica e nei feriali e quanti di questi rispondono all’invito?”. Se queste persone nutrivano tutta questa devozione, com’è che non l’hanno trasmessa ai figli e ai nipoti assieme alle case e ai terreni? O non era tutto oro quello che luccicava, come non è tutto scarto quello d’oggi?
Mi rammento di un altro prete di Bressa, il vecchio pievano di Paularo, che ci diceva avvilito (eravamo nella rivoluzione del 68): “Come ci siamo ridotti malamente!” E pensare che in tempo di guerra non ci si parava dal confessare e comunicare!” gli ho suggerito, stupidamente: “Non potremmo fare un triduo per far ritornare la guerra e così la gente tornerebbe in chiesa?”.
Stiamo attenti a non confondere il bisogno psicologico o spirituale con la fede e la chiesa colma con una vita piena di religione. Se frequentano solo perché hanno paura o non sanno dove andare, quando non hanno più timore o hanno un soldo in tasca non vengono più in chiesa.
Un giorno mi sono confidato con don Antonio Graffi, di Rodeano, che ora si trova nel ricovero del seminario di Udine. “Ma era tanto bello una volta?” “Per noi preti no. C’era tanto lavoro e ubbidienza e pochi soldi. Ora si può respirare, dire ciò che si pensa e si ha qualche soldo da parte. Riguardo la Chiesa, anche una volta quelli che avevano la motocicletta non veniuvano al vespero. Solo che ora l’hanno tutti e allora ci si accorge maggiormente del vuoto.”


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