martedì 6 dicembre 2011

33 Sant’Alessio sotto la scala


33 Sant’Alessio sotto la scala


Un santo simpatico Alessio: giovane, bello, biondo, sorridente, sempre disponibile, pura preghiera, virtù, umiltà, con una luce di cielo negli occhi celesti, e un’aureola in testa, fornitagli da Dio a testimonianza della sua santità. Era ricco di famiglia, ma solo per poter aiutare i poveri e salvare la categoria. Si era anche sposato, ma senza malizia e solo per ubbidienza e per poter essere presentato come esempio di castità.
Così ho imparato a conoscere questo santo venerato in Ordiente, dove aveva vissuto per diciassette anni a Odessa servendo i malati, e in Occidente dove ha vissuto altri diciassette anni a Roma, sconosciuto nel palazzo di suo padre, a servire i suoi servi fra mille umiliazioni e botte. La Chiesa lo ricorda il 17 luglio.
Lo avevano confinato sotto la scala e lì lo hanno rinvenuto morto con il diario della sua storia fra le mani e tutto circondato di luce. Sua madre lo baciava e gli chiedeva perdono per non averlo trattato bene, che se avesse saputo che era sua figlio, potete immaginare se lo avrebbe lasciato in quel canile. Già, si dice sempre così quando oramai è troppo tardi.
Mia nonna Anna di Davai conosceva giusto il succo di questa storia meravigliosa e non la ricordava mai non a causa della sua santità ma dei suoi occhiali. Perché li cercava ovunque e li aveva sul naso, proprio come Sant’Alessio, che lo cercavano ovunque mentre l’avevano sotto gli occhi.
Che bella storia e che grande insegnamento per tutti! Soprattutto oggi che si cercano tesori esotici per mari e monti e più si cercano più si allontanano e più si è inquieti. Perché il tesoro serve, come dice il vangelo “là dove è il tuo tesoro, ci sarà pure il tuo cuore” (Mt. 6,21)
Si cercano filosofie strambe, sensazioni peregrine. Ricette e medicine per il corpo e per l’anima mai conosciute e intanto cresce l’affanno e la delusione e l’anima si avvicina al buio della morte.
Ma Dio, sapiente e furbo, ha voluto castigare i ricchi e i troppo pasciuti, che spendono e spandono credendo che la felicità sia un luogo lontano, e ha avuto pena dei poveri e dei semplici, nascondendo il tesoro in un luogo in cui non servono né denari né mezzi per raggiungerlo: nella profondità del loro cuore. E quando uno va a fondo nel proprio cuore, sotto la scala della sua anima, trova la serenità e la pace, l’armonia delle cose e il segreto dell’esistenza.
La leggenda di Sant’Alessio ci dice anche che il tesoro è rivestito d’umiltà, di cianfrusaglie e di cose che nessuno stima e che tutti irridono. Solo un occhio attento e libero e un’anima umile e non prevenuta può abassarsi a rovistare in quella miseria esteriore che è simile alla conchiglia che contiene una grande perla.
Riusciremo noi friulani, figli di questo tempo di sensazioni continue e superficiali, ad avere la fortuna di cercare il nostro tesoro esistenziale nella lingua, nella filosofia, nella storia grande e piccola quotidiana, nella memoria personale e collettiva, nella terra, nell’umiltà di un piccolo borgo o di una chiesetta, in un vecchio ritratto, o in un baule, nelle persone che abbiamo sotto il nostro tetto, nell’armonia delle stagioni e dei colori dell’anno e della vita? Ci aiuterà la Chiesa, la scuola, il mondo degli intellettuali, a cercare il nostro bene e la nostra luce sotto la nostra scala? O dovremo giungere sempre gridando dinnanzi alla morte, quando ormai è troppo tardi? Oh, Sant’Alessio!

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