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Come un agnello al macello
Una
vecchia preghiera popolare della settimana santa recita: "figlio
mio dilettissimo, madre mia dilettissima, che giornata sarà per voi
Mercoledì Santo? Sarete come un agnello in macello". E non si
poteva trovare paragone più indovinato e doloroso, più dolce e
sconvolgente di questa
bestiolina trascinata sul fior fiore della stagione astronomica e
soprattutto della sua vita corta per essere uccisa, vittima innocente
e incosciente, icona tragica e patetica di tutte le vittime della
umana insensibilità e insanità. Peraltro il paragone coll' agnello
di Pasqua è un dei pilastri portanti della tradizione biblica e
della cultura ebraica e la Chiesa, da sempre, e ha sostituito o
sovrapposto al musetto dell'animale il volto trasfigurato di Cristo,
"il vero agnello che ha tolto il peccato dal mondo"
(prefazione I di Pasqua).
Su
questa raffigurazione e identificazione si sfoga la fantasia e la
pietà di un padre della hiesa orientale, il vescovo Meliton di
Sardi,nella sua Omelia di Pasqua (verso il 160-170), che gioca in un
continuo fra la liberazione dei figli di Israele a opera di Mosè e
dei fedeli a opera di Cristo e fra l'agnello e l'agnello. Cristo
viene trascinato via come un agnello e ucciso come una pecora, per
liberarci dalla schiavitù del diavolo come forse dalla mano del
faraone. E' lui che ci
tira fuori dalla schiavitù per la libertà, dal buio per la luce,
dalla morte per la vita, lui la Pasqua della nostra salvezza. è lui
che ha patito tanto in tanti di loro: è stato ucciso in Abele, è
stato legato per i piedi e trascinato sull' altare in Isacco, ha
conosciuta la profuganza in Giacobbe, è stato venduto in Giuseppe, è
stato esposto lungo il fiume in Mosè, è stato accoltellato
nell'agnello, è stato perseguitato in Davide e disonorato nei
profeti. è lui che si è incarnato nella Vergine, appeso sul legno
della croce, sepolto in terra e, risorto dai morti, è asceso nella
gloria dai cieli. E' lui l'agnello senza voce, l'agnello ucciso, nato
da Maria, la bella agnella, Catturato dal gruppo e trascinato al
macello, sacrificato sul tramontare del sole e seppellito durante la
notte. Sul legno della croce non è stato spezzato e sotto terra non
è andato putrefatto, ma è risorto dai morti e ha resuscitato
l'uomo dal sepolcro più profondo che si trovava.
Se
il ragionamento e l'applicazione di Meliton sono fondati, si può
dire che Cristo è stato deportato, venduto, torturato, violentato,
umiliato, sfigurato nelle tragedie infinite della storia umana, dalla
tratta dei neri ai gulag di Stalin, dai lager di Hitler ai campi di
tortura di Mao, di Pol Pot e dai Balcani, dai maelli del Ruanda alle
torture del medio oriente, Ma anche dal tribunale del malato degli
ospedali, dai bambini abbandonati, nei vecchi soli, nei matti e nei
detenuti. Se Cristo ha preso su di sé non solo il peccato del mondo
ma anche il dolore, non c'è lacrima che non bagni il suo volto, non
c'è ferita che non segni il suo corpo, non c'è peso fisico o morale
che non pieghi la sua schiena fino a terra. E' questo pensiero che
mi dà forza e serenità quando oltrepasso la porta dell'ospedale e
mi distendo sul letto. E' lui che ci
accompagna e si stende accanto a noi. Se Cristo spartisce il dolore
del mondo, tutto il dolore del mondo e ogni dolore partecipa della
missione redentiva di Cristo, una messa lunga come la storia e larga
come il mondo. Di un valore uguale a quello di Cristo, ovvero
infinito. E dunque il mistero insondabile e scandaloso del dolore,
che è la sfida più grande all'esistenza e alla provvidenza di Dio,
diventa la strada più dritta e sicura alla redenzione e alla
salvezza. Un seminare nel tempo per raccogliere per l'eternità. Ma
anche in questo mondo, se è vero che il regno di Dio è già
iniziato.