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Contare i giorni
Questa
volta mi tocca prendere in mano il libro santo per ragioni
anagrafiche. Si colma un altro giro della mia esistenza avventurosa e
venturata. L' 11 di febbraio, mentre a Roma brindano a ricordo del
pasticcio concordato fra il papa e il duce e a Lourdes pregano a
ricordo della apparizione della Madonna a Bernadette, compio 65
carnevali. E il libro mi ricorda di non cantare troppo da gallo,
perché sono vicino all'età biblica: "Gli anni della nostra
vita sarebbero settanta, e ottanta per i più forti" (Sal 90,
10).
Dovrei
mettermi a ridere di contentezza, perché sono oltre ogni ogni più
ottimistica previsione. dovrei sudare freddo, perché ho ancora poco
da rosicchiare. Invece non faccio né questo né quello, ma mi siedo
come il pellegrino lungo il fiume, a contemplare l'acqua che scorre.
E' uno scorrere lento e inesorabile, ma finalizzato e benefico.
L'acqua va verso il mare, verso la pienezza, e le sue sponde sono
tappezzate di vita, di erba sempre fresca, di alberi frondosi. così
anche io sto andando verso il mare della luce e della pienezza della
vita e spero, magari illudendomi, di avere aiutato qualche anima a
trovare serenità, freschezza e gusto di vivere. Non solo per i
misteri che ho impartito per professione, ma anche per quel poco che
sono riuscito a dare come uomo.
Mi
accorgo, con sorpresa, che ho superato perfino l'età di mio padre,
che vedevo già in età o addirittura anziano. Ma al mio solco l'età
di tante persone che sono riusciti a farsi un nome per una ragione o
o l'altra, nel campo della letteratura, della scienza, della umanità
e, perché no?, della santità. "Se il somaro non fa la coda
prima dei trenta, non la fa più" dicevano una volta. E io cosa
aspetto a mettere la testa a posto, a concludere il lavoro che Dio mi
ha dato da fare, a finire il mio solco? Il filo della memoria mi
porta a tante persone che non sono più con noi. Quando si ha più
gente di là che non di qua, c'è da pensare. Mi vengono in mente
tanti amici preti, compagni di battaglia, più sani di me, che sono
morti più giovani. A riprova che, fino a che non è ora, non si va.
Ogni tanto qualcuno mi spara una dalle solite sentenze non richieste
e non bramate: "Dura più un tegame rotto che non uno nuovo!".
E può essere vero. Però rimane sempre rotta, sempre incerta, sempre
a rischio. E può vivere anche più a lungo di una buona, ma e ha
un'altra qualità di vita. "C'è vivere, vivere alla grande e
vivacchiare" diceva la Maria da Vuiche. La precarietà, il non
poter programmare, il vivere giorno per giorno o ora per ora può
essere evangelico ma non è sempre facile. Un'aquila a cui hanno
tagliato le ali non è che muoia, ma non può volare. E la malattia,
soprattutto una malattia prolungata, cronica, invalidante, ti toglie
una piuma al giorno, fino a che rimani spiumato del tutto. E' vero
che si può volare con le ali dell'anima e del desiderio, ma non è
sempre facile e non è la stessa cosa.
Giunto
a questo punto, dico che mi ritengo, tutto sommato, fortunato. Non ho
avuta una grande briscola, ma sono riuscito a giocarla
sufficientemente bene. Con una bicicletta rotta e con poco fiato,
sono riuscito lo stesso a fare sufficientemente strada. Più di ciò
che pensavo e più di tanta gente con la bicicletta da corsa.
Soprattutto ho avuta la grazia, almeno per adesso, che il male fisico
non si è tramutato in male morale e dunque ho ancora una raggio di
luce. Non faccio progetti perché non posso permettermelo. Mi
accontento di ripetere la preghiera del salmista: "Insegnaci a
contare i nostri giorni, e così potremo arrivare alla sapienza del
cuore" v. 12).
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