sabato 25 gennaio 2014

04 Mozart, la musica

04 Mozart, la musica
Tra le tante (o poche) stelle che nei secoli hanno illuminato e illumineranno la notte dell'umanità, una dalle più luminose è quella di Mozart ed è un atto di giusta riconoscenza ricordare i 250 della sua nascita. Joannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus (detto, Amadeus) è nato a Salzurg il 27 di gennaio del 1756, ultimo dei sette figli di Leopold e di Anna Maria Pertl. Di questa covata,resteranno solo due, Wolfgang Amadeus o, meglio, Amadé, e sua sorella Maria Anna (Nannerl), che condividerà col fratello la passione della musica e la fatica dei concerti in giro per l'Europa.
Non si può parlare di Mozart senza parlare del padre, musicista e compositore, che la storie ha giudicato con severità per la sua influenza possessiva sull' enfant prodige che Dio gli aveva regalato. Ha scoperto il suo talento e lo ha sviluppato al massimo, ma ha anche tolto al figlio la stagione più bella della vita. Qualcuno ha paragonato l'infanzia di Mozart con quella del Leopardi, anche se si tratta di due esperienze dal tutto differenti. Leopardi sempre chiuso nella sua biblioteca e Mozart sempre in giro a esibirsi come un fenomeno da baraccone, con umiliazioni e strapazzi. Gli è capitato più volte di restare senza lavoro, senza un soldo, senza un tetto. Quando gli andava bene, aveva un posto in cucina, con i servi. Peraltro tanta gente stava parecchio peggio. Ha girato per tutta l'Europa, venendo a contatto con le più grandi tradizioni musicali. Amava in particolare l'Italia e conosceva bene la lingua italiana, preferita nelle sue opere. Ha conosciuto e lo hanno conosciuto tutti i regnanti e non c'era palazzo di nobili che non gli spalancasse i suoi saloni. E' stato onorato dall' imperatore Giuseppe II ma il conte Arco, "grande maestro cuciniere" del principe arcivescovo di Salzburg, Colloredo, lo ha licenziato con una pedata.
Per tutta la vita ha combattuto per questioni economiche e più di una volta ha composto per pagare i creditori. La moglie, Costanze Weber aveva passione solo di spendere e di godere. Lo ha spiumato da vivo e si è fatta mantenere dopo morto, con i diritti di autore. E' diventato padre sei volte, ma quattro bambini sono morti nei primi giorni o mesi. E anche lui, che non era stato un leone, ha chiuso la sua vita a 36 anni, in miseria. Al suo funerale c'erano quattro gatti, neanche la moglie, e lo hanno seppellito nella fossa dei poveri.
Eppure, da questo uomo così provato, non è venuta fuori malinconia o disperazione, ma musica straordinaria, come se fosse fatto di armonie e non di carne e sangue come noi. "I musicisti vorrebbero arrivare in cielo con le loro opere, ma lui, Mozart, viene dal cielo" ha scritto Kurt Pahlen. Il più bello complimento lo ha fatto Karl Barth: "forse gli angeli, quando lodano Dio, suonano musiche di Bach, ma non sono sicuro del tutto. sono sicuro invece che, quando sono da soli, suonano Mozart e quella volta anche il Signore gode ascoltandoli".
La sua vena musicale ha buttato fuori come una fontana: acqua fresca, brillante, leggera e sostanziosa. Le sue opere rimarranno nei secoli, come le sue sonate. Ascoltando le sue messe, si sente una religiosità profonda e autentica. Il suo Ave verum, composto negli ultimi mesi di vita, è un concentrato di mistica e il Requiem, provato incompiuto sul letto di morte, è il più grande affresco sulla maestà tremenda di Dio e la creatura misera che domanda remissione.
Mozart, iscritto alla massoneria, ha avuta fortuna anche nella chiesa. Clemente XIV lo ha nominato cavaliere; Giovanni Paolo II ha celebrato in San Pietro i due secoli della sua morte, e il bavarese Benedetto XVI si distrae dal peso pontificale ascoltando e suonando la sua musica divina. Gli americani hanno sperimentato che anche le vacche, con la musiche di Mozart, producono più latte..
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sabato 18 gennaio 2014

03 Il pastore e la Bibbia


03 Il pastore e la Bibbia

Il pastore Eberhard Bethge,nella sua grande biografia dello zio diventato, il teologo e martire Dietrich Bonhoeffer, parla di un trattato di omiletica, dove il padre della Bekennende Kirche o chiesa confessante analizza il suo modo di predicare e quello dei suoi studenti. La prima predica, naturalmente, non viene tanto dal modo di parlare più o meno ispirato, ma dal modo di vivere, più o meno coerente e degno di meritare la fede della gente. Di li il dovere, per ogni persona che ha la missione difficile e delicata di predicare la parola, di confrontarsi per prima con la parola stessa, di pregare e di meditare.

Il capitolo "il pastore e la Bibbia" è diviso in tre parti: la Scrittura sul pulpito, la Scrittura sul banco di scuola, la Scrittura sul comodino. E' chiaro che il punto più alto e importante è il primo, quello dal pulpito, ma quello non ha senso o è sterile se non è accompagnato dagli altri due.

La Bibbia sul banco di scuola si riferisce allo studio profondo, sistematico, libero e appassionato che ogni pastore deve fare su di un libro tanto importante e vitale. Si sa che la Bibbia è ispirata e sicura nelle questioni che riguardano la salvezza, ma è anche un libro scritto in un popolo e in un tempo e va studiata secondo tutte le regole ermeneutiche ed esegetiche. per capire il più possibile in che contesto il pezzo è nato e ciò che vuole trasmetterci. Don Milani diceva che noi preti dobbiamo spiegare bene ciò che dice il vangelo, non fare applicazioni o commenti o digressioni. La Scrittura parla sola.

La Bibbia però non è solo un libro di studio, ma il libro di preghiera, di meditazione, di confronti e di conversione. Non va solo studiata ma va anche pregata. Avere la Bibbia sul comodino, come lume che illumina la mia notte spirituale, come fontana che spegne la mia sete, come unguento che medica la ferita del mio cuore. Il pastore è pastore per gli altri, ma davanti di Dio è pecora come tutti e deve cercare come tutti le acque fresche e le erbe verdi, per sostentare la sua anima. Noi preti rischiamo di essere quelli che più parlano di preghiera e meno pregano; quelli che più dicono ciò che va fatto e quelli che meno lo fanno. Parliamo di Dio ma non con Dio e soprattutto non lasciamo parlare Dio nella meditazione. Bisogna tornare ad avere la Bibbia sul comodino, per addormentarsi e svegliarsi con lei.

Quando un pastore ha studiato la Bibbia e l'ha pregata, ha diritto, con la grazia dal Signore, di predicarla. E' la Bibbia sul pulpito. E qui un uomo studiato, un intellettuale di valore come Bonhoeffer, palesa tutta la sua fede nella parola che viene predicata. Davanti a qualunque oratore, magari l'ultimo dei suoi studenti, lui si pone in atteggiamento di umiltà come davanti a Cristo. Perché è Cristo, in quel momento, che parla e opera nella Chiesa. "La Chiesa predica alla Chiesa; la predica esiste per il fatto che esiste la Chiesa e la predica esiste perchè ci sia la Chiesa". "Non c'è niente di più concreto della voce di Cristo presente nella predica". Qui è chiara la sua fede luterana, che si fonda sulla parola.

Questa fede sulla virtù intrinseca della parola lo portava a dire che la predica non va analizzata ma solo ascoltata. perché Cristo è maestro e parla con la voce del pastore. Difatti ascoltava le prediche dei suoi studenti, anche dei più timidi e ingarbugliati, come se a parlare fosse stato un padre della chiesa, anzi Cristo in persona. Una buona lezione di umiltà per quelli che ascoltano e soprattutto una lezione di responsabilità per quelli che amministrano la parola.


sabato 11 gennaio 2014

02 Nell'alba eterna

02 Nell'alba eterna
"Il popolo che camminava nelle tenebre vide un gran chiarore; sopra gli abitanti di quella che era stata una terra buia, si è accesa una luce" (Is 9, 1). sono le parole di Isaia che la Chiesa legge la notte di Natale e che abbiamo pensato di leggere, a nostro conforto, nella liturgia di commiato di Rosalba Rossi, nella chiesa di Rodeano Basso. perché in quel martedì 3 di gennaio, grande era la folla di gente venuta da ogni parte a tenere compagnia a questa famiglia splendida e provata ma ancora più grande era la commozione e il dolore per una figlia, una moglie e una madre che chiudeva la sua giornata terrena.
Profondo era il buio nel cuore di Gianni, suo marito, che ha diviso con lei il male e l'ospedale e che non ha potuto neanche essere presente per darle l'ultimo saluto. Grande era il dolore dei figli, che dovevano domandarsi il perché di tutto quel male che era piombato sulla loro famiglia, che senso poteva avere, se mai aveva un senso, e che colpa potevano avere per essere provati in quella maniera. Perché il dolore fisico ti fa penare anche l'anima e il male del corpo ti fa ammalare anche lo spirito. E ti vengono mille dubbi e ribellioni. Immenso era il buio anche nel cuore dei fratelli di Villacaccia e soprattutto di Amabile, la madre, che, come e più di Abramo, per la seconda volta è stata chiamata a consegnare una sua creatura a colui che è padrone della vita e della morte e che ci dà i figli, ma ci ricorda che non sono nostri ma suoi.
Abbiamo scelta la lettura di Natale anche per il fatto che, per i cristiani, la vera natività non è quando si aprono gli occhi su questo mondo, ma quando si chiudono e si nasce all'eternità. E la morte, questo buio più denso di ogni scuro, viene illuminato dalla speranza, dalla promessa, dalla sicurezza della resurrezione e dunque dalla luce che non conosce tramonto.
E' poco e ci sarebbe tanto da dire su questa madre premurosa e affettuosa, su questa moglie che dimentica il suo male per vedere del male del marito e di lui, che cerca di nascondere il suo male per non impressionare e fare patire la moglie, una gara spasmodica di sensibilità e di solidarietà. L'avevano chiamata Rosalba, nome che ci richiama la luce che pone fine alla notte per iniziare una nuova giornata e anche il colore delicato di questa ora unica dell'aurora. Per dire che ogni creatura che nasce porta in famiglia la luce del giorno e il colore delicato dell' amore. Ebbene Rosalba ha mantenuto per tutta la vita il significato dal suo non, portando luce delicata e serena a tutti quelli che hanno avuto la fortuna di incontrarla e di vivere con lei. E' entrata nell'alba eterna a 52 anni, perché ha finito presto il suo solco, come uno che finisce prima dell'ora perché ci ha dato sotto con più vigoria e passione.
Il vangelo ci parla di Maria che "custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2, 19) e dei pastori che "tornavano indietro glorificando e lodando Dio per tutto ciò che avevano sentito e visto" (v 20). Voglio sperare che la gente che ha partecipato a questa esperienza di fede e di dolore saprà meditare su di un caso così esemplare e racconterà di Carlo e Carla che hanno saputo stare vicino con tanto cuore e tanta premura al padre e alla madre malati. E questo va gridato a un mondo che ci mostra solo famiglie allo sfascio e figli senza cuore.
A Rosalba, che è nella luce, nella pace e nella vita, chiediamo di regalarci una raggio di luce, un po' di pace e soprattutto la voglia di vivere.

sabato 4 gennaio 2014

01 La benedizione

01 La benedizione
Secondo la tradizione rabbinica, nel tempio di Gerusalemme, al termine delle funzioni o dei sacrifici, i sacerdoti impartivano ai figli di Israele una benedizione, divenuta in seguito come benedizione quotidiana alla fine del sacrificio serale e dunque della giornata. La Chiesa Cattolica l'ha posta nella messa del primo dell' anno. "Che il Signore ti benedica e ti protegga. Che il Signore faccia risplendere sopra di te il suo volto e ti conceda la sua grazia. Che il Signore rivolga a te il suo volto e ti di dia la pace" (Nm 6, 24-26). Non potrebbero trovare parole più profonde e beneauguranti per una vita che inizia o più consolanti per una che si chiude.
"Che il Signore ti benedica" significa: "Che il Signore possa dire bene di te". nel senso che sia contento di te e sia orgoglioso di averti pensato e voluto. Che ti guardi con lo stesso affetto e con la stessa intensità di un padre e di una madre che guardano per la prima volta, con sorpresa e con incanto, la loro creatura appena nata. Che si nutrono gli occhi e si consoli il cuore nel guardarti. Che non possa stare senza guardarti. Che non si stanchi di guardarti e di godere per ciò che tu pensi, che tu dici, che tu fai. Che guardi ognuno di noi con gli stessi occhi con cui ha guardato il suo figlio primogenito quando ha detto: "Tu sei il mio figlio più caro, in cui ho riposta tutta la mia contentezza" (Mc 1, 11).
Credo però che la benedizione di Dio per bocca dei preti significhi anche qualcosa altro. Che possono dire bene di gli uomini, tutti gli uomini, a partire da quelli che il destino o la provvidenza ti ha posto accanto come compagni di ventura. E mentre dicono bene di noi quelli che ci conoscono perché hanno occasione di vederci in dalgò. Ma quelli al di fuori potrebbero anche avere una idea falsata di noi, soprattutto quando uno è capace di raccontarla o i rapporti sono superficiali. Mi è capitato più volte di dire: "Che bravo uomo!" e di sentirmi rispondere dalla moglie: Glielo darei a lui da provare!". O mentre mi complimento di una donna sentirmi rispondere dal uomo: "Se l'avesse lui, non resisterebbe tre giorni con quella bestia li!". Per questo è importante, anzi fondamentale che parlino bene di noi quelli che ci conoscono bene, per il fatto che, come dicevano gli avi, "mangiamo sale insieme". è fondamentale che sia la moglie la prima a parlare bene di suo uomo, e il marito di sua moglie. Anche col passare degli anni. Soprattutto col trascorrere degli anni, quando l'amore perfeziona e smussa ogni durezza. Così i figli sono i più qualificati a dare un giudizio di merito o di demerito sui genitori e viceversa. Per la stessa ragione, è giusto che siano i parrocchiani a dire bene del loro prete e non gli estranei. E lui di loro. Così i malati del loro medico o infermiere, gli scolari del loro maestro o professori, i lavoratori del loro superiore o datore di lavoro. Questa relazione autentica e vitale è la prima condizione per un vivere positivo e godibile. Soprattutto oggi che,tante volte, o sempre, i rapporti sono diventati virtuali e dunque falsi, perché sono fondati su l'apparenza, l'apparizione televisiva, la chiacchiera medianica.
Mi piace tanto quella usanza, che si vede nei film americani, quando seppelliscono un morte. Il prete, cattolico o protestante che, legge un salmo o una preghiera e poi parlano del morto quelli che lo hanno conosciuto meglio. E ognuno racconta un aneddoto significativo o simpatico del morto, secondo la regola romana: "della mortuis, nihil nisi bonum", "Dei morti solo bene". Invece qui da noi tocca sempre più spesso raccontare frottole o parlare del tempo.

Cercando le Orme di Dio di Antonio Bellina del 2006



Cercando le Orme di Dio di Antonio Bellina del 2006
1 La benedizione
2 Nell'alba eterna
3 Il pastore e la Bibbia
4 Mozart, la musica
5 Il flop del clic
6 La barba di Maometto
7 A proposito di polli
8 ll tempo del deserto
9 Il mistero di Cristo
10 L'offerta di Isacco
11 Una legge di libertà
12 Lungo i fiumi della nostra storia
13 Un malato ai malati
14 Contare i giorni
15 Un frate poco fedele
16 A scuola di Tommaso
17 Come un agnello al macello
18 La migliore propaganda
19 Memoria positiva
20 Una famiglia al buio
21 Volere bene
22 Nella squadra di Dio
23 In coda per il Codice
24 La libertà dello spirito
25 Rosa dell'oriente
26 Retorica acrobatica
27 Diario di un pentito
28 Il Signore e la morte
29 Maria Goretti
30 Maternità spirituale
31 Nel culmine delle vacanze
32Allenamento spirituale
33 Mia nonna
34 Guardiani della memoria
35 Religione e violenza
36 La visione della terra
37 Viva e cattolica
38 Fedeltà e tormento
39 Il mercato dei valori
40 Un Dio di ricomposizione
41 Il cantore della rondine
42 Cristo e il prete
43 Tornando a casa
44 Paternità di Dio e dolore del mondo
45 La scomparsa del presepio
46 La notte santa di Efrem il siriano