sabato 4 gennaio 2014

01 La benedizione

01 La benedizione
Secondo la tradizione rabbinica, nel tempio di Gerusalemme, al termine delle funzioni o dei sacrifici, i sacerdoti impartivano ai figli di Israele una benedizione, divenuta in seguito come benedizione quotidiana alla fine del sacrificio serale e dunque della giornata. La Chiesa Cattolica l'ha posta nella messa del primo dell' anno. "Che il Signore ti benedica e ti protegga. Che il Signore faccia risplendere sopra di te il suo volto e ti conceda la sua grazia. Che il Signore rivolga a te il suo volto e ti di dia la pace" (Nm 6, 24-26). Non potrebbero trovare parole più profonde e beneauguranti per una vita che inizia o più consolanti per una che si chiude.
"Che il Signore ti benedica" significa: "Che il Signore possa dire bene di te". nel senso che sia contento di te e sia orgoglioso di averti pensato e voluto. Che ti guardi con lo stesso affetto e con la stessa intensità di un padre e di una madre che guardano per la prima volta, con sorpresa e con incanto, la loro creatura appena nata. Che si nutrono gli occhi e si consoli il cuore nel guardarti. Che non possa stare senza guardarti. Che non si stanchi di guardarti e di godere per ciò che tu pensi, che tu dici, che tu fai. Che guardi ognuno di noi con gli stessi occhi con cui ha guardato il suo figlio primogenito quando ha detto: "Tu sei il mio figlio più caro, in cui ho riposta tutta la mia contentezza" (Mc 1, 11).
Credo però che la benedizione di Dio per bocca dei preti significhi anche qualcosa altro. Che possono dire bene di gli uomini, tutti gli uomini, a partire da quelli che il destino o la provvidenza ti ha posto accanto come compagni di ventura. E mentre dicono bene di noi quelli che ci conoscono perché hanno occasione di vederci in dalgò. Ma quelli al di fuori potrebbero anche avere una idea falsata di noi, soprattutto quando uno è capace di raccontarla o i rapporti sono superficiali. Mi è capitato più volte di dire: "Che bravo uomo!" e di sentirmi rispondere dalla moglie: Glielo darei a lui da provare!". O mentre mi complimento di una donna sentirmi rispondere dal uomo: "Se l'avesse lui, non resisterebbe tre giorni con quella bestia li!". Per questo è importante, anzi fondamentale che parlino bene di noi quelli che ci conoscono bene, per il fatto che, come dicevano gli avi, "mangiamo sale insieme". è fondamentale che sia la moglie la prima a parlare bene di suo uomo, e il marito di sua moglie. Anche col passare degli anni. Soprattutto col trascorrere degli anni, quando l'amore perfeziona e smussa ogni durezza. Così i figli sono i più qualificati a dare un giudizio di merito o di demerito sui genitori e viceversa. Per la stessa ragione, è giusto che siano i parrocchiani a dire bene del loro prete e non gli estranei. E lui di loro. Così i malati del loro medico o infermiere, gli scolari del loro maestro o professori, i lavoratori del loro superiore o datore di lavoro. Questa relazione autentica e vitale è la prima condizione per un vivere positivo e godibile. Soprattutto oggi che,tante volte, o sempre, i rapporti sono diventati virtuali e dunque falsi, perché sono fondati su l'apparenza, l'apparizione televisiva, la chiacchiera medianica.
Mi piace tanto quella usanza, che si vede nei film americani, quando seppelliscono un morte. Il prete, cattolico o protestante che, legge un salmo o una preghiera e poi parlano del morto quelli che lo hanno conosciuto meglio. E ognuno racconta un aneddoto significativo o simpatico del morto, secondo la regola romana: "della mortuis, nihil nisi bonum", "Dei morti solo bene". Invece qui da noi tocca sempre più spesso raccontare frottole o parlare del tempo.

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