sabato 29 marzo 2014

13 Un malato ai malati



13 Un malato ai malati
La Quaresima, col suo itinerario liturgico e spirituale, sta per finire, anzi per colmarsi nel tempo della passione e della morte dal Signore e mi trovo a vivere questo mistero di amore dolorante o di dolore amoroso, questo dover salire a  Gerusalemme per essere preso, condannato e ucciso e solo così entrare nella gloria. Ma se per qualche anno ho celebrato il mistero di Cristo come cosa bella, ma riguardante un altro, e dunque con un certo distacco anche psicologico, da un bel po' di di tempo sono preso dentro anche io in questo buio con poca luce, in questa difficoltà a trovare un può' di speranza e di voglia di tirare avanti. E  stento a capire e ad accettare la logica di tutto questo tribolare, il senso di questa vita con poco senso. Vedo la croce, la sento pesare sulle spalle, ma stento a vedere ciò che c'è dopo il Venerdì Santo.
Lo so di non essere da solo. Magari! Quando entro nell' ospedale, un giorno sì e un giorno no, trovo sempre pieno di altri cristi come me o peggio, ognuno con la sua croce, con la sua storia, con la sua speranza mista a disperazione. E questa situazione si moltiplica per migliaia e milioni di persone di ogni terra e cielo, di ogni provenienza e condizione. E' il mare di lacrime che trasporta la barca dell'umanità verso la patria definitiva, dove  "non ci sarà più la morte, né lutto né lamento né dolore, perché le robe di prima sono sparite" (Ap 21, 4). E il dolore e la morte sono cose di prima, di adesso, penultime e non ultime.
A questo esercito senza numero di fratelli, vorrei dire loro, malato a malati, di non pensare che la malattia sia la peggior cosa di questo mondo. E' dura, ma non è la peggio. La cattiveria, l'egoismo, la banalità, il sprecare la vita, il peccato sono parecchio peggio. Meglio un malato buono che un sano senza cuore. Meglio un paziente che un delinquente. meglio uno che non può camminare di uno che è paralizzato dall'interno, negli affetti, nella testa, nell'anima. Non sono i malati che rovinano la società, ma i sani che non sanno adoperare bene il dono della salute. Qualche volta, anzi spesso, la salute tira fuori il peggio di noi, come la prepotenza, l'invidia, la brama, la violenza. La malattia sa tirare fuori il meglio di noi e di tanta gente attorno a noi, come la pazienza, la solidarietà, la delicatezza, la profondità, la spiritualità. Ci sono arrivati più in cielo passando per il dolore che attraverso la salute, perché la malattia, il dolore fisico e morale sono la strada dritta per andare in cielo. è la strada di Cristo, del maestro e del fratello, dell'agnello innocente e paziente che carica sulle sue spalle il dolore e il peccato del mondo. Dopo di lui e con lui, ogni malato non è un condannato ma un privilegiato, non è un dimenticato ma un chiamato a stare più vicino al Signore per essere più vicino anche nella resurrezione. Mi piacerebbe poter ripetere con convinzione, anche se col groppo, le parole del Signore: "fortunati quelli che piangono, perché  saranno consolati" (Mt 5, 4). è la seconda "beatitudine", subito dopo la prima, quella dei poveri nello spirito, per il fatto che ogni malato è povero. Qualche volta di amici e qualche volta di speranza. Però è ricco di tempo, per riflettere, per pregare, per fare il viaggio lungo e impegnativo verso il suo profondo.
Davanti al male, si può bestemmiare o pregare. ci sono ragioni per ribellarsi e per mettersi nelle mani di Dio, come i bambini. Costa meno e rende di più. Si rischia di avere una forza e una serenità mai creduta. Si rischia di fare della malattia "un tempo di grazia" (Sal 69, 14), un seminare nelle lacrime per raccogliere con gioia (Sal 126, 5). Una primavera.

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