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Il mistero di Cristo
Il
tempo grande e Santo della Quaresima, questo itinerario liturgico e
spirituale che ci conduce fino al cuore dell' anno e della storia, la
morte e la resurrezione di Cristo, inizia con una preghiera che mi ha
sempre fatto riflettere perché non riuscivo e non riesco a trovare
una soluzione: "Premettici di arrivare a conoscere sempre più a
fondo il mistero di Cristo" (Colletta della prima domenica).
Cos'è
questo mistero di Cristo? Se è mistero, è evidente che non potremo
per mai arrivare a comprenderne tutta la profondità e la ricchezza.
Se no che mistero è? Ma se ci invita a conoscere sempre più a
fondo, significa che qualcosa si può capire e imparare e più si va
a fondo e più si illumina la nostra mente, si sostenta la nostra
anima e si orienta la nostra vita.
Credo
che il mistero di Cristo, messo in questo momento e in questo
contesto, significhi che la strada per la vita deve passare
attraverso la morte, come Cristo che è giunto allo splendore della
Pasqua passando attraverso la tragedia e l' umiliazione del Venerdì
Santo. E' dunque un mistero di dolore. Ma non un dolore per il
dolore, che non ha nessun senso, e neanche un dolore senza speranza,
che non porta da nessuna parte. Ma un dolore che diventa premessa,
condizione, passaggio obbligato e privilegiato per la vita. E' ciò
che i mistici dicevano: "Per crucem ad lucem". E qui
entriamo nell' aspetto più scandaloso del vivere umano e di ogni
vita: il dolore e la morte. Davanti a questo muro che, presto o
tardi, troviamo davanti a noi a bloccarci la strada, la prima
reazione è di ribellione. Non è giusto pensare a un Dio padre che
voglia o che permetta tanto male, tanta ingiustizia, tanta violenza,
tanta crudeltà e disumanità. Un Dio che non riesce a fermare la
mano dal prepotente, del delinquente, del rapinatore, dell'assassino
e non riesce a togliere dalle grinfie dei cattivi le persone più
deboli ed esposte e quelle che hanno meno colpe. Un Dio che non ha
pietà né dei vecchi né dalle donne né dei bambini e neanche degli
animali. Un Dio assente o impotente e dunque responsabile del
fallimento della storia e del mondo o inutile.
Davanti
a questa constatazione troppo evidente per contraddirla o negarla, la
pluralità degli uomini si buttano nell' indifferenza o
nell'ostilità, non ponendosi il problema o risolvendolo in maniera
negativa. Ma il problema rimane. E qui esce fuori la novità, il
"mistero" di Cristo, "uomo dei dolori, che sa che
esiste il patire", "che ha portato le nostre infermità e
si è caricato dei nostri dolori " (Is 53, 3-4). Cristo sceglie
ciò che ognuno di noi scarta; cerca ciò che ognuno di noi odia;
percorre come strada privilegiata quella che ognuno di noi considera
una strada maledetta e senza uscita. Fa della maledizione la
benedizione, del patire un seminare, del morire un vivere, del
perdere un guadagnare. E riesce a chiamare fortunati quelli che ogni
persona di buono senso definisce sfortunati o disgraziati. Riesce a
mettere in cima quelli che noi poniamo in coda o fuori della lista: i
poveri, i tribolati, i perseguitati. Con lui il dolore fisico e
morale non è una condanna, ma una chiamata; non è una prova che Dio
ci abbandona, ma un segnale che Dio ci chiama a essere più vicino a
lui nel Venerdì Santo per essere i primi anche a Pasqua. Difatti i
santi, che umanamente sono quelli che non avrebbero nessuna motivo di
patire perché non hanno commesso alcun male, o meno degli altri,
sono quelli che con più fedeltà hanno riprodotto nella loro vita e
nella loro anima la vita tormentata e il volto dolorante di Cristo.
Il
mistero di Cristo capovolge le valutazioni umane a partire dagli
ultimi, come la resurrezione ha ribaltato la sua pietra sepolcrale a
partire dalla sconfitta.
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