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Zaccheo e l’albero
La
figura simpatica, anche se un po' carogna, di Zaccheo, “soreposto
che dai pubblicani e ricco”, mi accompagna da una vita. Avevo
ancora il moccio al naso che il prete Simeone ci
raccontava di questo uomo, basso di statura ma grande di furbizia,
che, dopo avere imbrogliato tutti, è riuscito a imbrogliare anche il
Signore assicurandosi la
salvezza. Mi sono imbattuto più volte leggendo e rileggendo il pezzo
quando traducevo la parola di Dio nel calore della lingua di nostra
madre.
Addirittura
ho avuta la fortuna di visitare anche il suo paese, Gerico, dove
mostrano tuttora il sicomoro su cui si era arrampicato per vedere il
Signore perché era troppo
piccolo. Eppure mi ero fermato al particolare tragicomico della
statura, senza dare al fatto il valore di simbolo e di parabola.
Ho
capito qualcosa solo l'altro giorno, il 3 di giugno, quando mi sono
trovato con don Tonino e i miei paesani a ricordare i dieci anni
della ricostruzione della chiesa di sant'Antonio abate, a Venzone,
una perla incastonata nella collana delle mie montagne, a 850 m. di
altezza.
Mentre
cantavo il vangelo di Luca (19,1-10), ho avuta come una folgorazione.
Zaccheo non poteva vedere il Signore
non perché era basso, ma perché che era uomo. Nessun uomo,
di nessun tempo, non è sufficientemente alto per vedere il Signore.
Non si tratta dunque di una piccolezza fisica ma ontologica,
esistenziale. Anche se fosse stato alto come San Cristoforo, non
avrebbe potuto lo stesso vedere con i suoi occhi mortali nè Dio nè
il figlio di Dio. Lo aveva detto per altri Dio a Mosè nella
rivelazione del Sinai: “L’uomo non può guardare me e restare in
vita” (Es 33,20).
Però
nessuno può condannare la creatura se, per vedere il Signore, per
chiarire il mistero della vita, per cercare la ragione ultima
dell'esistenza e la giustificazione del suo combattere e tribolare,
si arrampica su per un albero, Magari sul primo che trova. Può
essere l’albero della scienza o della filosofia o della psicologia
o della tecnologia o della medicina o del potere o del materialismo o
un qualunque albero che ti dia almeno l'impressione di esserti
distaccato dai garbugli e di essere più forte e più vicino alla
soluzione.
Peccato
che l’albero, simbolo della razionalità e delle potenzialità
umane, può andare bene solo per vedere meglio le cose di questo
mondo, nella loro complessità e nella loro globalità. Se si sale
sull' albero per svelare il mistero si è scelta la strada sbagliata.
Nessun albero, nessuna scala, nessuna montagna, nessuna altezza è
sufficientemente alta per riuscire a sbirciare attraverso la porta
del Signore.
Allora
Dio ha pietà di noi e ci
invita a fare il percorso inverso, a scendere giù velocemente da
un'altezza inadeguata, a farci piccoli e ad aprire la porta
ospitandolo in casa nostra.
Per
vedere il Signore, l’uomo non deve alzarsi ma abbassarsi,
rinunciando a ogni forme di furbizia e di cattiveria liberando il
cuore di tutto ciò che lo tiene ingombrato.
Quando
l’anima, mediante la grazia e il pentimento, si sarà disfatto di
ogni cosa acquistata malamente e si sarà liberata di tutto ciò che
ha rapinato e dissipato a livello religioso, culturale, morale,
ambientale e umano, ritornerà ad acquistare l'armonia con Dio, con i
fratelli e col mondo. ritornerà bambina. Non infantile o stupida, ma
libera e semplice. Allora lui si siederà alla nostra tavola e la
casetta dal nostro cuore diventerà chiesa, la prima chiesa, che dà
valore e legittimazione a ogni chiesa di sasso, da quella del borgo
fino alla cattedrale e all'immensa basilica carica di storia e di
arte.
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