mercoledì 5 dicembre 2012

49 Zaccheo e l’albero

49 Zaccheo e l’albero
La figura simpatica, anche se un po' carogna, di Zaccheo, “soreposto che dai pubblicani e ricco”, mi accompagna da una vita. Avevo ancora il moccio al naso che il prete Simeone ci raccontava di questo uomo, basso di statura ma grande di furbizia, che, dopo avere imbrogliato tutti, è riuscito a imbrogliare anche il Signore assicurandosi la salvezza. Mi sono imbattuto più volte leggendo e rileggendo il pezzo quando traducevo la parola di Dio nel calore della lingua di nostra madre.
Addirittura ho avuta la fortuna di visitare anche il suo paese, Gerico, dove mostrano tuttora il sicomoro su cui si era arrampicato per vedere il Signore perché era troppo piccolo. Eppure mi ero fermato al particolare tragicomico della statura, senza dare al fatto il valore di simbolo e di parabola.
Ho capito qualcosa solo l'altro giorno, il 3 di giugno, quando mi sono trovato con don Tonino e i miei paesani a ricordare i dieci anni della ricostruzione della chiesa di sant'Antonio abate, a Venzone, una perla incastonata nella collana delle mie montagne, a 850 m. di altezza.
Mentre cantavo il vangelo di Luca (19,1-10), ho avuta come una folgorazione. Zaccheo non poteva vedere il Signore non perché era basso, ma perché che era uomo. Nessun uomo, di nessun tempo, non è sufficientemente alto per vedere il Signore. Non si tratta dunque di una piccolezza fisica ma ontologica, esistenziale. Anche se fosse stato alto come San Cristoforo, non avrebbe potuto lo stesso vedere con i suoi occhi mortali nè Dio nè il figlio di Dio. Lo aveva detto per altri Dio a Mosè nella rivelazione del Sinai: “L’uomo non può guardare me e restare in vita” (Es 33,20).
Però nessuno può condannare la creatura se, per vedere il Signore, per chiarire il mistero della vita, per cercare la ragione ultima dell'esistenza e la giustificazione del suo combattere e tribolare, si arrampica su per un albero, Magari sul primo che trova. Può essere l’albero della scienza o della filosofia o della psicologia o della tecnologia o della medicina o del potere o del materialismo o un qualunque albero che ti dia almeno l'impressione di esserti distaccato dai garbugli e di essere più forte e più vicino alla soluzione.
Peccato che l’albero, simbolo della razionalità e delle potenzialità umane, può andare bene solo per vedere meglio le cose di questo mondo, nella loro complessità e nella loro globalità. Se si sale sull' albero per svelare il mistero si è scelta la strada sbagliata. Nessun albero, nessuna scala, nessuna montagna, nessuna altezza è sufficientemente alta per riuscire a sbirciare attraverso la porta del Signore.
Allora Dio ha pietà di noi e ci invita a fare il percorso inverso, a scendere giù velocemente da un'altezza inadeguata, a farci piccoli e ad aprire la porta ospitandolo in casa nostra.
Per vedere il Signore, l’uomo non deve alzarsi ma abbassarsi, rinunciando a ogni forme di furbizia e di cattiveria liberando il cuore di tutto ciò che lo tiene ingombrato.
Quando l’anima, mediante la grazia e il pentimento, si sarà disfatto di ogni cosa acquistata malamente e si sarà liberata di tutto ciò che ha rapinato e dissipato a livello religioso, culturale, morale, ambientale e umano, ritornerà ad acquistare l'armonia con Dio, con i fratelli e col mondo. ritornerà bambina. Non infantile o stupida, ma libera e semplice. Allora lui si siederà alla nostra tavola e la casetta dal nostro cuore diventerà chiesa, la prima chiesa, che dà valore e legittimazione a ogni chiesa di sasso, da quella del borgo fino alla cattedrale e all'immensa basilica carica di storia e di arte.

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