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Un popolo condannato a fare scelte disgraziate
La
liturgia aquileiese ci fa
cantare il vangelo di Gesù che entra in Gerusalemme
due volte: nella domenica delle Palme e nella prima domenica di
Avvento. perché è anche l’anno liturgico è Cristo che, nel nome
dal Padre, entra nella storia a salvare la storia.
Per
una volta non voglio soffermare la mia attenzioni sulla parte
centrale, su Cristo, pazienza di Dio, che viene avanti cavalcando un
asinello, re dei pazienti. Voglio guardare le comparse, la gente e
soprattutto i bambini che gridano contenti e spezzano rami dagli
alberi, dopo avere disteso i mantelli lungo le strade.
Una
scena commovente, da straziare il cuore. E il cuore si strazia
veramente pensando che la gente non è cattiva e che riuscirebbe a
capire con sufficientemente chiarezza se uno viene nel nome del
Signore o no. Per quella
verginità non rovinata o compromessa dai traffici e della cattiveria
della vita. Ma quella gente li, in prima piano, non è quella che
conta di più. Quella li può gridare o tacere
Quelli
che contano, i veri registi, quelli con il megafono in mano, non si
vedono, perché tessono nell'ombra del tempio o nei palazzi della
politica e della economia, e si preparano ad adoperare le stesse
comparse per suonare un’altra musica. Difatti pochi giorni dopo,
sempre quel popolo grida tre cose infami: di liberare Barabba, di
mettere in croce Gesù e, peggio di tutte, che il suo sangue ricada
sopra di loro e dei loro figli. Matteo dice chiaramente che i
superiori dei sacerdoti e degli anziani riescono a convincere la
folla.
Non
servono tante cose per convincere la folla. Basta togliere ciò che
serve e dare ciò che non serve. Togliere dignità, libertà,
istruzione, scuola, possibilità di ragionare con la sua testa e di
fare quattro conti. Dare paura, ricatto, mitologia, promesse golose e
false. Una cosa che sanno benissimo tutte le dittature, tutti i
regimi, tutti gli stati nazionalistici, tutti gli imbonitori e i
piazzisti.
La
folla di Gerusalemme che si
auto condanna mi richiama
i tedeschi e gli italiani che gridavano contenti di andare a morire
stupidamente e camminando sui corpi dei nemici inventati. O la mania
pericolosa di volere onorare i monumenti e i morti in guerra più
degli altri morti. O le adesioni plateali alle nuove formazioni
teledipendenti. O la (a)morale delle telenovella che deride la vera
morale e i veri valori. O anche la disistima, quando addirittura non
diventa odio, per la propria cultura, lingua, tradizione religiosa.
Quando
la mia gente protesta contro la lingua friulana nelle funzioni
religiose, invece di protestare contro la lingua italiana, o rinnega
la sua storia millenaria per vantarsi di una storia più recente,
meno onorevole e soprattutto straniera, non devo pensare ai registi,
nascosti, ma non tanto, che manovrano il popolo contro i suoi
interessi vitali e lo spingono a fare scelte disgraziate, come
esaltare i delinquenti e condannare i buoni, sbeffeggiare la verità
e incoronare la bugia?
Nella
passione del Signore le
vittime sono due: il Signore che
muore per salvare il popolo e il popolo che condanna l’unico che
può salvarlo e dargli risposte di vita alla sua domande di vita.
Per
questo Venerdì Santo, nel cantare gli “Improperis”, ribalterò
il testo e dirò: “popolo mio, cosa ti hanno fatto? Quando ti hanno
maltrattato? Rispondimi!”. Se fa pietà il Signore
spogliato e deriso, non deve fare scoppiare il cuore anche il
popolo, spogliato, vestito di abiti esteri e condannato a
condannarsi? “Ecce homo!”, ma anche “Ecce populus!”.
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