mercoledì 24 ottobre 2012

43 Un popolo condannato a fare scelte disgraziate

43 Un popolo condannato a fare scelte disgraziate
La liturgia aquileiese ci fa cantare il vangelo di Gesù che entra in Gerusalemme due volte: nella domenica delle Palme e nella prima domenica di Avvento. perché è anche l’anno liturgico è Cristo che, nel nome dal Padre, entra nella storia a salvare la storia.
Per una volta non voglio soffermare la mia attenzioni sulla parte centrale, su Cristo, pazienza di Dio, che viene avanti cavalcando un asinello, re dei pazienti. Voglio guardare le comparse, la gente e soprattutto i bambini che gridano contenti e spezzano rami dagli alberi, dopo avere disteso i mantelli lungo le strade.
Una scena commovente, da straziare il cuore. E il cuore si strazia veramente pensando che la gente non è cattiva e che riuscirebbe a capire con sufficientemente chiarezza se uno viene nel nome del Signore o no. Per quella verginità non rovinata o compromessa dai traffici e della cattiveria della vita. Ma quella gente li, in prima piano, non è quella che conta di più. Quella li può gridare o tacere
Quelli che contano, i veri registi, quelli con il megafono in mano, non si vedono, perché tessono nell'ombra del tempio o nei palazzi della politica e della economia, e si preparano ad adoperare le stesse comparse per suonare un’altra musica. Difatti pochi giorni dopo, sempre quel popolo grida tre cose infami: di liberare Barabba, di mettere in croce Gesù e, peggio di tutte, che il suo sangue ricada sopra di loro e dei loro figli. Matteo dice chiaramente che i superiori dei sacerdoti e degli anziani riescono a convincere la folla.
Non servono tante cose per convincere la folla. Basta togliere ciò che serve e dare ciò che non serve. Togliere dignità, libertà, istruzione, scuola, possibilità di ragionare con la sua testa e di fare quattro conti. Dare paura, ricatto, mitologia, promesse golose e false. Una cosa che sanno benissimo tutte le dittature, tutti i regimi, tutti gli stati nazionalistici, tutti gli imbonitori e i piazzisti.
La folla di Gerusalemme che si auto condanna mi richiama i tedeschi e gli italiani che gridavano contenti di andare a morire stupidamente e camminando sui corpi dei nemici inventati. O la mania pericolosa di volere onorare i monumenti e i morti in guerra più degli altri morti. O le adesioni plateali alle nuove formazioni teledipendenti. O la (a)morale delle telenovella che deride la vera morale e i veri valori. O anche la disistima, quando addirittura non diventa odio, per la propria cultura, lingua, tradizione religiosa.
Quando la mia gente protesta contro la lingua friulana nelle funzioni religiose, invece di protestare contro la lingua italiana, o rinnega la sua storia millenaria per vantarsi di una storia più recente, meno onorevole e soprattutto straniera, non devo pensare ai registi, nascosti, ma non tanto, che manovrano il popolo contro i suoi interessi vitali e lo spingono a fare scelte disgraziate, come esaltare i delinquenti e condannare i buoni, sbeffeggiare la verità e incoronare la bugia?
Nella passione del Signore le vittime sono due: il Signore che muore per salvare il popolo e il popolo che condanna l’unico che può salvarlo e dargli risposte di vita alla sua domande di vita.
Per questo Venerdì Santo, nel cantare gli “Improperis”, ribalterò il testo e dirò: “popolo mio, cosa ti hanno fatto? Quando ti hanno maltrattato? Rispondimi!”. Se fa pietà il Signore spogliato e deriso, non deve fare scoppiare il cuore anche il popolo, spogliato, vestito di abiti esteri e condannato a condannarsi? “Ecce homo!”, ma anche “Ecce populus!”.

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