domenica 24 aprile 2011

18 Il canarino pasquale


18 Il canarino pasquale

18 Il canarino pasquale.

“Siamo risorti alla vita, abbiamo celebrato la Pasqua…” anche noi, comunità peccatrice e distratta di Basagliapenta. Con i tempi che corrono, non sicuramente tutto a causa della gente, non mi attendevo chissà quale ressa, invece la sorpresa è stata grande: una strage di persone, più di ogni altro anno, a vivere la giornata dell’amore di Giovedì santo e quella del dolore di Venerdì e quello della gioia pasquale nella Veglia “madre di tutte le veglie” e “nella prima giornata della settimana”.
Sicuramente il fatto di avere tanta gente non deve illudermi. Se la rivoluzione della Pasqua inizia e si conclude in chiesa, siamo veramente mal messi. Detto ciò, preferisco avere la chiesa gremita, con tutti i rischi della distrazione, che ne conseguono, piuttosto che quattro gatti elitari. Perché metto già in preventivo che, presenti o non presenti, santi o peccatori, il mistero rimane mistero, ovvero al disopra della nostra portata e la gente comprende ciò che può capire e partecipa fino dove può partecipare. E questo è sempre accaduto, anche in tempi più adatti per la fede.
Mi ricordo che a Venzone, durante la solennità delle Quaranta Ore, il pievano chiamava oratori famosi per convertire i miei paesani recalcitranti. E il duomo era stracolmo di persone, intente ad adorare “il mistero della presenza”. Ma di quei momenti straordinari mi è rimasta nella memoria solo pre Raffaele Zanini, che è scivolato sul tappeto e ha saltato con il sedere tutti i sette gradini dell’altare maggiore. E della Settimana Santa mi ricordo solo le scraculades subito dopo aver spento l’ultima candela, con il sacrestano che ci picchiava con il manico della borsa e noi che mettevamo i sassi nelle scarpe per fare più chiasso. E nel mese di maggio potevano bene anche togliere la Madonna. Bastava che ci avessero lasciato i maggiolini da liberare in chiesa e i campanelli da suonare dopo la funzione del rosario. Un anno a Basagliapenta è morta una persona di danno e il dolore era grande. Ma il becchino, nell’abbassarsi, strappò i pantaloni. Non mi ricordo di aver fatto un funerale più consolante e allegro.
La gente è così. Siamo tutti così. E dobbiamo accettarci. Per questo, della Pasqua di quest’anno, mi basterebbe che si ricordassero del canarino che abbiamo portato in chiesa nei tre giorni santi. Ha tanto cantato, ma tanto, che la gente era come istupidita ad ascoltarlo. E ogni volta che cantava, i bambini e i grandi si davano di gomito ridendo. E quando si zittiva, non attendevano che il prete riprendesse a predicare ma che il canarino riprendesse a cantare.
Quanta contentezza nella Pasqua di quest’anno! E se ci ha aiutato il canarino con il canto, che Dio lo benedica. Certo che lui non capiva nulla del mistero, come non avrà capito nulla il gallo che cantava per contare i rinnegamenti di Pietro. Come non avranno compreso nulla i diretti testimoni di questi grandi avvenimenti. Il capire è relativo e anche la folla dei partecipanti. L’importante è che accadano. Sono sicuro che il prete più sfortunato abbia avuto più gente in chiesa il giovedì santo alla sera che non Cristo all’ultima Cena e anche venerdì santo rispetto agli spettatori della morte di Cristo, pochi e distratti. Per non parlare della Pasqua, in cui è risorto senza che nessuno gli battesse le mani o gli facesse da testimone. Eppure le nostre chiese zeppe di persone sono una pallida ombra di quei fatti accaduti nel silenzio e nel mistero.
Non è la processione di persone verso il sepolcro che fa risorgere Cristo ma è la resurrezione di Cristo che attira la gente verso il sepolcro vuoto. E dinnanzi a un mistero così grande ogni segnale è valido e inadeguato allo stesso tempo. Così il mio canarino può far ricordare la Pasqua più di tutte le liturgie e le omelie di questo mondo.

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