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Nella squadra di Dio
Dice
la Bibbia che tutte le cose hanno due facce. Così uno che ci
vede entrare nell'ospedale un giorno sì e un giorno no per travasare
il sangue, può pensare: "che fortunati che sono: possono andare
a bere a una fontana che salva loro la vita". E un altro può
correggerlo: "ma no! Non vedi, poveri, che sono in lista per la
corriera che li conduce via!". E, a dire la verità, ci sono
ragioni tanto da una parte che dall'altra. La dialisi ci
permette di tirare avanti, ma la cronicità dal male ci
conduce via. In poco tempo la corriera è passata tre volte. L'ultima
sosta è stata la più dolorosa, perché ci
ha condotto via un giovane, Giacomo.
Lo
avevo salutato come ogni volta nel lunedì, alla fine della dialisi
e, dato che un mio amico si lamentava delle sue dolenzie, gli ho
detto: "Non fare quella vita! guarda Giacomo che serenità ha e
che esempio ci dà".
pòi gli ho fatto: "Mandi, Giacomo!". E lui: "Ciao,
Bellina!". chi pensava che aveva ancora una giornata di vita?
In
effetti i suoi malanni erano tanti, aumentavano a dismisura e
venivano da lontano. Questo giovane innamorato della vita,
appassionato di sport e tutto ciò che di bello ti puoi trovare sul
fior fiore della gioventù, colonna della squadra di calcio del
Bearzi, ha iniziato il suo calvario a 16 anni, con un malore al
termine di una partita, e la dialisi. Nel 1984 uno sprazzo di salute:
un trapianto di reni gli torna a fare splendere il sole. Ma cinque
anni dopo si trova come prima e peggio di prima, con le
complicazioni. La prima e più brutta quella di dovere adoperare le
stampelle. Arrivava per primo con la sua auto sempre in ordine, col
giornale sotto il braccio, lungo e secco come un pennello, gli occhi
sereni anche se velati di malinconia e con un ridere misurato. Mai un
lamento, mai una malegrazia, mai una ribellione. Anche quando la
dialisi diventava una tortura. Ci
voleva bene e noi gli volevamo bene, cercando di spartire assieme la
nostra esperienza e di darci una mano col calore della solidarietà e
dell'affetto. La fine è giunta improvvisa mercoledì sera. Lo hanno
sepellito sabato scorso. Quelli che lo hanno visto nell'ultimo sonno,
sono rimasti impressionati dalla sua serenità. Come uno che toglie
dalla schiena una croce portata troppo a lungo e troppo calcata, e
tira fiato.
La
prima giornata senza Giacomo eravamo sconfortatati e non riuscivamo a
darci pace, anche se poche volte la morte è stata una liberazione
meritoria come in questo caso. Ognuno covava i suoi pensieri. A un
certo punto, uno dice: "Sento che Giacomo è con noi, in giro
per la stanza". Dopo un'eternità, un altro dice: "Questo è
un caso di cui scrivere: Santo subito!". E di nuovo zitti, a
pensare a uno che non è più con noi, che è stato tanto con noi e
che non è andato dal tutto.
In
questi giorni che ci preparano
alla Ascensione, la liturgia ci
fa leggere le parole di Gesù: "Il vostro cuore è gonfio di
avvilimento. Ma io vi dico la verità: è meglio per voi che io
parta" (Gn 16, 6-7). Mi piacerebbe che i genitori e i fratelli e
i tanti amici di Giacomo riuscissero a leggere con la luce della fede
questo suo allontanarsi da un mondo di dolore per un mondo di libertà
e di contentezza, come una vacanza eterna. E chi lo merita più di
lui, che ha tribolato 28 anni su 44?
Il
Signore, col suo modo misterioso di volerci bene, ha lavorato alla
perfezione questo suo figlio e lo ha spurgato a lungo nel forno della
passione, per farlo diventare un diamante perfetto e splendente. Una
punta di diamante Nella squadra degli angeli e dei santi. Mandi,
campione!
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