venerdì 16 settembre 2011

21 La terra: culla e madre


21 La terra: culla e madre

N.B. QUESTI POST E I SUCCESSIVI (DAL 21 AL 35 PER LA PRECISIONE)
DOVEVANO COMPARIRE TEMPO ADDIETRO
MA A CAUSA DI PROBLEMI TECNICI CIò NON è STATO POSSIBILE.
QUESTO DOVEVA COMPARIRE IL 25 APRILE SCORSO


A Spadolini il 25 aprile ricorda la festa della costituzione, al mondo della Resistenza la festa della liberazione. Io sono un po’ più prosaico: mi accontento di ritornare col pensiero alla rogazione di San Marco, quando si partiva dal duomo di Venzone alle sei di mattina e ci si inerpicava sul Piano di santa Caterina accompagnati dalla rugiada, dall’aria frescolina che ti faceva aumentare ancor di più, se fosse stato possibile, la fame, e dalle schiere dei santi invocati intonando le melodie aquileiesi più solenni perché pregassero con noi il Signore di preserevarci dal fulmine e dalla grandine, dalla peste, dalla fame e dalla guerra, dal flagello del terremoto e di darci ancora una volta i prodotti della terra. Anche a Rivalpo e a Trelli ho fatto le rogazioni, anche se i prati erano ancora indietro. Quaggiù non le ho celebrate perché avremmo solo sfidato le automibili nel traffico indiavolato sulla Pontebbana. Le rogazioni sono una cosa sacrosanta, ma devono avere una cornice adeguata.
Rimane il problema, tutto intero, della primarietà della terra, dell’importanza vitale e pedagogica di un rapporto positivo con il mondo naturale.
Non dico che la religione possa fiorire esclusivamente nel mondo contadino o solo nei paesi. Ci mancherebbe! Dico però che la civiltà contadina è la più intonata al mondo religioso. Dirò di più. In un contesto agricolo si è religiosi anche se non si frequenta la messa; in un contesto di industrializzazione forzata, si rischia di non essere religiosi nemmeno in chiesa. Perché la religione, che ha il compito di farci sentire la presenza di un Dio che non si vede, deve ricorrere al sacramento, al segno, e la terra è tutta un segno. Ed essendo che ogni sacramento è inadeguato a mostrare il mistero, io preferisco i sacramenti “naturali” che mi “ricordano” di più.
In questo senso è più facile sentire la pasqua in un prato e in un orto colorati di vita, che non in una chiesa dove si cambia solo il colore della tovaglia. Così il mondo naturale è spesso più “chiesa”, luogo di Dio, che non un povero e freddo edificio materiale.
A contatto con la terra, l’uomo si sente grande nel seminare e piccolo nel dover attendere una nascita che non è solo sua. Da qui un senso di umiltà che non lo umilia, di pazienza che non lo scanna e di sapienza che può fargli solo del bene. Perché la terra è sapienza, storia, filosofia, arte, scuola, chiesa. In un tutto unico armonico, che è ciò di cui più necessittiamo oggi.
La terra è madre e culla. Una madre generosa, che dà tanto di più di ciò che prende. Una culla che non dimentica mai un semino, per piccolo che sia. Inoltre è un’orologio preciso per ogni stagione e per ogni pianta. Io posso dimenticarmi dove l’ho seminato, ma non la terra. La terra è segreta e discreta. Ciò che gli consegni, lo conserva con grande delicatezza, nascondendolo agli occhi curiosi e indiscreti. E nasconde con la stessa attenzione il tesoro più prezioso e il semino più umile, senza distinzioni.
La terra, che nutre la nostra generazione, tiene conto anche del nostro passato. Difatti gli uomini hanno consegnato alla terra non solo la loro vita ma anche i loro morti. Come sementi per l’eternità. Ogni seminare è un atto di fede. Ma nel consegnare alla terra madre, buia e tomba questo seme particolare, la fede raggiunge il suo apice più alto e gratuito.
Il popolo friulano ha sempre avuto un rapporto vitale con la sua terra. Se lo conserverà, avrà la più grande briscola per un avvenire sereno e sicuro.

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