mercoledì 12 settembre 2012

37 Prima regola pastorale: umanità

37 Prima regola pastorale: umanità
Sono dodici anni che i miei passi hanno abbandonata la pieve di San Martino di Rivalpo e Valle e in tutto questo tempo, in verità volato, ho cercato di non tradire, se non ogni tanto col pensiero e nel cuore della notte, la nuova famiglia della mia anima.
Per una ragione di concretezza e di onestà.
Non si può volere bene a due donne nè tenere in piedi due famiglie e il cuore dell' uomo, compreso quello del prete che lo ha a tessera, non può essere diviso. Per questo non capisco quei preti che risparmiano l’affetto per i paesani per quando se ne saranno andati via e così tradiscono il loro nuovo paese e mettono in croce il successore.
Ma il caso ha voluto che tornassi a mettere piede, per qualche ora, dove ero giunto prete di nido, a 27 anni, e ho trascorso i quattordici anni della mia maturità. E quando ho visto da lontano quelle case che conoscevo sasso per sasso e quella chiesa dove ho sfogata la mia anima nel bene e nel male, Ho compresa la verità profonda del proverbio: il primo amore non ha fine. Perché si è aperto nel mio cuore come una ferita e il sangue mi gocciolava, ma era una ferita dolce, come le ferite dell'amore.
In un attiamo sono tornato in sintonia con quel tempo fondamentale della mia vita di prete dove che, usanza Gesù a Nicodema, sono tornato a nascere, abbandonati struttura, erudizione, programmi preconfezionati, ogni scienza e forza clericale, per farmi ultimo con gli ultimi e spartire le loro ricchezze e i loro limiti, che non erano “secundum ordinem Melchisedek”. per capire e essere capito, per crescere e per aiutare a crescere. E si può iniziare questa avventura solo se si entra a contatto di anime, in piena gratuità e disponibilità.
Incontrando i pochi che ho trovato, dopo essere stato a salutare i tanti che hanno traslocato nel luogo del riposo eterno, ho compresa la legge della relatività del tempo. Difatti a colpo si è squarciato il velo della separazione ed è stato come se fossimo stati sempre insieme. perché l’anima ritornava a godere e a patire. Ho sempre pensato che l’eternità deve essere una condanna se manca l’amore. Se ci si stanca un’ora, non è da rabbrividire a pensare di affrontare i secoli dei secoli? Ma l’amore è vita e contemporaneità, come il passato è morte e sepoltura. Se ci si vuole bene, si cancella il passato e si è in eterna presenza. Per questo dicono che gli amanti sono in Paradiso.
Di tanto tempo passato insieme, la gente non ricorda più nè lavori nè dottrine nè teologie. Tutto questo viene rimosso per primo ed è da stupidi investire in energie. La gente si ricorda che abbiamo pregato insieme e soprattutto che siamo stati bene assieme.
“Quanto ci manca!” e “Che bei momenti che abbiamo vissuto insieme” sono state le espressioni più usuali. E presentandomi il loro bambino, gli dicevano: “Questo qui è il signor santolo che mi ha cresciuto, di cui ti parlo spesso”. Che si può pretendere di più?
Nel raccomandarli ancora una volta a Dio, l’unico pastore e il vero prete di un paese, torno sulla mia idea fissa o tarlo: la prima regola pastorale è l'umanità. anzi l’unica regola. Intesa nell'esempio dell'incarnazione del Signore. Parafrasando l’imitazione di Cristo, dirò che, se hai umanità, non è importante se non hai altre qualità. Se non hai umanità, anche le tue più belle qualità non valgono niente.

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