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Requiem per un disperato
Il
20 di giugno del 1995 è morto a Parigi a 83 anni lo scrittore Emile
M. Cioran. non era di Basagliapenta e neanche friulano, ma era della
grande parrocchia dei disperati e parlava il linguaggio universale
del dolore. Difronte a uno che soffre, il cristiano deve tirarsi giù
il cappello come davanti a un Cristo, perché sono parenti, anche se
non si conoscono. La croce non è mai lontana dal Signore.
Mi
ha regalato i suoi libri un mio amico medico, da leggere solo un
piccolo pezzo alla volta, come le gocce di un veleno. E Cioran è un
veleno, iniziando dai titoli: Squartamento, La tentazione di
esistere, Il destino doloroso, Lacrime e santi, L’inconveniente di
essere nati eccetera. Pagine di una lucidità tremenda e di una
tragicità immensa, che ti fanno diventare pensieroso e pietoso. Dal
momento che nessuno riesce a esprimere proprio tutta la sua
disperazione, quanta ne aveva avuta il povero Cioran! La allegria,
dice Oscar Wilde, può essere falsa, ma la maschera del dolore è
sempre autentica.
La
vita di Cioran è stata segnata fin dall'infanzia. Era amico del
becchino del suo paese, che gli regalava i teschi dei morti perchè
giocasse. La sua tragedia è iniziata sui venti anni, con l’insonnia.
Per anni ha girovagato per le strade desolate di Sibiu, in Romania,
con una tensione nervosa al limite delle forze umane. Il sonno ti
permette di spartire la vita in fatica e riposo e di covare
un'illusione per il domani. Non dormendo mai, devi guardare la realtà
continuamente, senza soste e senza illusioni. questa lucidità,
trasformata in superbia (“io sono l’unico che può spiare la vita
senza essere spiato”), gli ha dato la carica di vivere, ma in
estrema solitudine e ripulso degli uomini.
Neanche
sua madre non ha saputo o è arrivata a capirlo. “Se sapevo ciò,
abortivo!” gli ha risposto. “Dal momento che sono un incidente,
mi ritengo libero nei confronti del mondo e della storia” le ha
risposto.
L’ironia
del destino ha voluto che morisse senza accorgersi a causa dell'
Alzheimer, lui che aveva scritto: “Si può sopportare la vita solo
perché si ha sempre la possibilità di farla finita”.
Cioran
fa parte di una grande famiglia: Giobbe, Qoelet, Leopardi e tanti
altri, conosciuti e sconosciuti, che hanno avuto il destino di
guardare in faccia l’aspetto più brutto della realtà: la sua
inutilità, le sue illusioni, la sua crudeltà, il suo accanirsi sui
più sfortunati. Ha spogliato senza pietà la religione, la filosofia
e la storia, palesando le tante falsità. In questo è moderno,
perché mai come oggi la vita si presenta come peso e fatica.
“E
la fede dove la mettiamo?” dirà il solito cattolico benpensante e
pasciuto. La fede non toglie la tragicità della vita e può legarsi
benissimo o prendere il gancio proprio nella assurdità di tante
esistenze. Il discorso della fede rimane aperto e non viene dalla
razionalità ma dalla compassione di Dio.
Personalmente,
davanti da un ottimisimo di facciata e ad una allegria volgare e
patetica, propagandata soprattutto da una televisione che fa pena nel
suo sforzo patetico di fare ridere, preferisco la lucidità disperata
di Cioran, tanto più dignitosa. Una lacrima vera è sempre
preferibile a una risata falsa.
Spero
che il Signore colmi di
luce questa anima tormentata che ha dovuto andare avanti nel buio
come le talpe sotto terra. Chi ha più diritto di lui e di quelli
come lui, che Dio ci manda
per richiamarci alla serietà e alla problematicità dell'esistenza?
Poche volte la preghiera cristiana ha avuto un significato così
denso: “Requiem, riposa, riposa finalmente in pace!”.
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