sabato 1 febbraio 2014

05 Il flop del clic

05 Il flop del clic
“Se ritornassero i nostri vecchi!” Si sente dire in tante occasioni, più con la paura che fuggano come il fumo per ritornare nella loro pace silenziosa che con la speranza che restino affascinati dinnanzi al nostro mondo, ammesso che sia nostro il mondo. Siamo chiamati o condannati a vivere in tempi inediti e straordinari, che richiedono tutta la nostra intelligenza e libertà interiore per non essere presi in questa rete virtuale e fatale che riesce a catturare anche le realtà più piccole e appartate. Il tutto nel giro di una o due generazioni, a nostra memoria e testimonianza.
Appena finita la guerra, la seconde, e dunque ai tempi della mia infanzia, si andava ancora al santuario di Castelmonte col carro o con un camion militare; da Venzone a Gemona si andava regolarmente a piedi; il confine del nostro mondo era la montagna o la campagna; ci si chiamava urlando da una casa all'altra e da una montagna all'altra; ci si lavava nella tinozza quando si doveva andare dal medico; si sciacquava nella roggia; le novità arrivavano sempre vecchie e le portavano quelli che ritornavano dall'estero; la comunicazione era immediata, misurata, essenziale ma reale. forse si era un po' selvaggi, fuori dal grande traffico, chiusi ma sicuri, come gli uccelli nel nido o il grillo nella tana. Poi è arrivata la rivoluzione economica, industriale, culturale, religiosa, mediatica. siamo saltati fuori o caduti dal nido, abbiamo abbandonata la tana e ci si siamo trovati, di colpo, cittadini del mondo, proiettati in un progresso tecnologico esponenziale, passando come in un film e con la velocità di una giostra, dal neolitico al cibernetico. E tutti, anche le nonne, ci siamo trovati a fare i conti con i tasti, con i telecomandi e con ogni sorta di stregoneria Parafrasando Archimede, basta trovare il clic giusto per spalancare tutte le porte dal mondo.
La realtà è sotto gli occhi di tutti e non serve sprecare parole per raccontarla. Si va sulla luna e si gira il mondo intero senza nessun fastidio; cliccando il televisore si sa in tempo reale tutto su tutti, ammesso che sia proprio così; ci si sposta con l'auto per andare a fare la spesa o si può ordinarla rimanendo in casa cliccando col mouse; anche i più pidocchiosi hanno un televisore per stanza e il più stupido del paese, che non è capace di imbastire un discorso o di scrivere una lettera, schiaccia come un dannato i tasti del suo telefonino per mandare SMS senza sapore a gente che li riceve senza interesse. Possiamo fare il giro del mondo non in ottanta giorni, come Phileas Fogg, ma in un minuto e aprire tutti le finestre virtuali per curiosare in qualunque sito. Possiamo spostarci con i mezzi più veloci o anche rimanendo seduti davanti ad una tastiera. Tutto con un semplice, banale clic.
Giunti però alla fine di questa nostra corsa o navigazione megagalattica e pigiando il tasto fino a che ci fa male il dito, ci accorgiamo con sorpresa e con spavento che la cosa non è così esaltante, sicura, appagante come si credeva. Ci spostiamo, corriamo, cerchiamo, vediamo, sappiamo, sentiamo, pigiamo ma, invece di crescere, la nostra comunicazione, comunione, collegamento, cala. Al punto che il navigatore più zelante, per stare dietro a tutte le curiosità e sollecitazioni, deve chiudersi giorno e notte in una stanza, al buio, peggio dei carcerati. E mentre una volta, andando a piedi da Amaro a Tolmezzo, si chiacchierava andando e tornando con tutti quelli che si incontravano, oggi si fa il giro del mondo e si torna senza scambiare parola col vicino.
Il flop del clic deve farci capire che il virtuale può essere un buon integratore del reale per il fatto che lo completa ma è un orrendo sostituto. Mille orchidee di plastica non fanno e non valgono la viola più minuta.

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