mercoledì 11 aprile 2012

15 Il dono dal coraggio


15 Il dono dal coraggio

Nel giorno in cui lo Spirito Santo è sceso su di me, nella cresima, sono stato sommerso di regali o doni. Sette me li ha donati Lui e due, l’orologio e i colaçs, mio santolo. Dio, che bella giornata! Sarò stato un somaro, ma i regali che mi sono piaciuti di più sono stati quelli di mio santolo e avrei rinunciato anche ai doni dell’anima, trattando di poter guardare anche io l’ora al polso.
Adesso, che la vita mi ha pettinato e fatto crescere, sono convinto che i primi sono più importanti e nessuna cosa di questo mondo può sostituirli, perché sono la condizione stessa del vivere. Si può vivere senza sapienza, intelligenza, consiglio, coraggio, conoscenza, pietà e timore di Dio? Lo Spirito Santo non è dunque un optional ma il  fondamento e la risorgiva della vita. Spirito come vita e vita come Spirito.
Cosa chiederò a questo vento che muove tutto e tutti e che  fa andare avanti la barchetta della nostra esistenza e il grande bastimento della storia? A questo fuoco che riscalda, a questa forza che fa circolare il sangue della santità e tiene vive  e unite le parti infinite del grande corpo?
Come “ospite dolce dell’anima”, è  già un regalo che venga ad aprire la porta della nostra miseria ma, essendo anche uno Spirito generoso, non viene a mani vuote. E soprattutto ci fa i regali che servono a noi.
Mi sento un villano a scegliere fra sette perle, ma questa volta scelgo il dono del coraggio. Che è  il dono dei martiri.
La tradizione lo vedeva come la forza di affrontare la morte per testimoniare la fede e andare in Paradiso. Più prosaicamente, io lo vedo come la forza per affrontare la vita, divenuta più problematica e pesante della morte stessa, e per tirare avanti. Non è che la gente abbia meno fede, come  si sente urlare in giro. Anche perché non si può misurarla. E' la vita che è divenuta più difficile, ingarbugliata, disperante, insignificante, buia, come una stanza senza nè porte nè finestre. Combattere per un ideale  può essere anche entusiasmante e morire una sublimazione. Ma non serve più coraggio ad alzarsi dal letto e ad aprire le finestre quando le motivazioni di fondo non reggono più, le prospettive non esistono, il corpo è scannato e l’anima in agonia? E questo non per troppa abbondanza ma per una condizione obiettiva.
Mi raccontava un amico che nel suo paese è morto un uomo. Le prime quattro persone che ha incontrato gli hanno detto: “Fossi io al suo posto!”. Si trattava di gente sola, carica di spaventi interiori, senza forza di combattere e senza ragioni di vivere. Non è questo il momento di andare a cercare responsabilità per questo sballamento esistenziale, Ma sono convinto che a Basagliapenta e in altri paesi del Friuli non c'è meno dolore che a Sarajevo in piena guerra. Con la differenza che là basta schivare le bombe o arraffare un pezzo di pane per buttarla in ridere mentre qui le bombe le abbiamo dentro e non ci passa niente giù per il collo. Il dolore si misura in base a quanto uccide l’anima.
In queste Pentecoste voglio pregare per quelli che hanno paura a veder venire notte e anche giorno, come Giobbe. Per quelli che, guardando la realtà con lucida disperazione, non hanno più voglia di aggiungere giornata a giornata, delusione a delusione, dolore a dolore e si vanno chiedendo che peccato hanno commesso per venire in questo mondo.
Lo Spirito Santo, che è “il padre dei poveri”, non negherà la sua grazia a questi poveri fra i poveri. Il coraggio di proseguire al buio. Alla fine della strada la luce non  mancherà a loro. Spero anzi che venga a loro incontro. Magari solo un lumicino, come nelle fiabe.

Nessun commento:

Posta un commento