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Incarnazione: mistero e regalo
Tutto ciò che nasce è un mistero, cioè a dire un
qualcosa di più profondo del puro dato anagrafico visibile. Chi riesce a capire
a fondo e a spiegare il tempo, il modo, la preparazione la collocazione,
l’importanza, il destino di un fiore, di una bestiolina, di un bambino? Perché
nasce quello e non un altro? Perché nasce li e no in un altro posto? Perché
nasce in quel momento e non un secolo prima o dopo, che avrebbe avuto un
destino tutto diverso?
Nessuna meraviglia allora che il mistero rimanga,
anzi venga maggiorato, quando si tratta di un bambino che dividerà la storia in
prima e in dopo di lui e che sarà lui il centro e il giudice e il metro di
misura della storia. Quello che, comparso nella umiltà della nostra carne
mortale, è l’ immagine del Dio invisibile e possiede un nome al di sopra di
ogni altro nome, tanto in cielo che in terra e sotto terra.
Si sa che i misteri vanno contemplati, come le
stelle, e non spiegati, ma San Paolo ha cercato di dire qualcosa di grande
nelle sue lettere. Basterebbe prendere in mano il prima capitolo agli Efesini e
il secondo ai Filippesi, dove, per dare una idea del “salto” di Cristo dalla
natura divina a quella umana, dice che “si è ridotto a niente”.
Io non sarei così fiscale. L’uomo non è proprio
niente se è stato fatto “appena più piccolo degli angeli” e contornato “di
gloria e di onore” (Sal 8,6). Lo so che la incarnazione è un regalo, ma l’amore
fa questo e altro e anche noi non lo sentiamo come un peso. Peserebbe a non
farlo.
Qualunque genitore, anche non cattolico, troverebbe
normale “abbassarsi” al livello del figlio malato nel corpo o nell’anima, senza
pretendere medaglie o meriti. per una sorta di istinto. Una volta mi era caduto
un cagnolino in una vasca e la cagna ha tanto fatto fino a che è saltata dentro
anche lei, per afferrarlo, anche se rischiavano di annegare entrambi. Non aveva
ascoltato la ragione, che non possedeva, ma il cuore, che ne aveva tanto.
Dunque l’incarnazione va vista in un contesto di amore e l’amore riesce a
nobilitare tutto e a trasformare anche una “perdita” in un guadagno.
L’ abbassarsi di Dio può essere una perdita
obiettiva ma sicuramente non. E qui sta il miracolo dell’ incarnazione: che non
perde il primo e ci guadagna il secondo. Le cose materiali, quando passano da
uno all’ altro, fanno diventare più povero quello che le dà e più ricco quello
chele riceve, ma con le cose spirituali è diverso. Per questo dovremmo
abituarci a scambiare meno materia e più spirito, meno cose e più anima.
Quando il grande si abbassa sul piccolo, lui non
perde e ci guadagna quell’ altro. La stessa cosa accade quando un sano si
abbassa sul malato e il sapiente sull’ ignorante e il santo sul peccatore.
Questo succede, o deve succedere, in famiglia, a scuola, in chiesa, nella vita
sociale e culturale, nei rapporti fra persone e popoli. Incarnazione come
trasfusione e passaggio di amore e di spirito. Dopo può venire, e viene, anche
il resto.
L’importante però è che il primo termine rimanga
genuino. Cristo può salvarci solo se non rinuncia alla divinità. La Chiesa può
aiutarci solo se resta santa, seria e contemplativa. Se il sapiente e il santo,
per venire incontro all’ altro, rinunciano alla loro sapienza e santità, non abbiamo
più ne incarnazione ne regalo, ma una tragedia spaventosa. Vi immaginate un
maestro che, per mettersi a livello degli scolari, diventa più stupido e
ignorante di loro?
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