06 Se tu strappassi i cieli
L'Avvento
è il tempo dello sperare e dunque il tempo di quelli a cui manca
qualcosa, che aspettano qualcosa o qualcuno. Non è il tempo dei
pasciuti o dei troppo pasciuti, ma di quelli che sono affamati e
assetati, che vivono una situazione umanamente dolorosa, per non dire
disperata. La speranza cristiana ha proprio questa connotazione
specifica: non si basa sul fatto che le cose vanno bene, ma sul fatto
che le cose vanno male. Che le robe non vadano bene, almeno dal punto
di vista morale e spirituale, è tanto chiaro e tanto evidente che
solo un prevenuto o un cieco o un superficiale può metterlo in
dubbio.
Ritrae
molto bene la situazione dei suoi tempi, che e può essere anche la
nostra, il profeta Isaia, il grande cantore dell'Emanuel, della
speranza personificata, divinizzata e umanizzata. "E noi tutti
eravamo come impuri, e tutte le nostre opere buone come un panno
macchiato: e tutti noi cademmo come foglie, e le nostre iniquità ci
portavano via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si
scuoteva per appoggiarsi a te " (Is 64, 5-6).
Ai
fanatici del ottimismo banale, agli sbandieratori del "tutto va
bene", il profeta mostra la cruda realtà. le nostre bandiere
sono come quegli stracci che, nella nostra infanzia, le nostre madri
e nonne rattoppavano fino che il punto teneva e che palesavano più
di ogni discorso e indagine sociologica la nostra condizione sociale.
Con la differenza che la nostra povertà era dignitosa, perché era
pulita. In più noi non eravamo colpevoli, ma vittime. La sporcizia
di cui parla il profeta è la sporcizia del cuore prima che
dell'abbigliamento. Si tratta di una sporcizia morale, di un
infezione che ci prende e ci tormenta dall'interno, una sorta di
marciume interiore. Siamo sporchi perché non siamo giusti, non siamo
buoni, ci siamo allontanati da quell'acqua benedetta che pulisce e
ricrea. Per ciò siamo come quelle foglie che il ventaccio crudo del
autunno porta via senza remissione.
Allora
ti viene voglia di gridare, come ultima speranza o utopia: "Se
tu strappassi i cieli e venissi giù!" (Is 63, 19). Se Dio
facesse il miracolo di strappare una volte per tutte quel velo che ci
divide dal assoluto, dal definitivo, dal vero, dal santo! Se il mondo
è così malmesso, con tanto gente che geme e soffre, con tanta
cattiveria incrociata, perché non fa un passo, l'unico che serve e
basta? Perché non squarcia i cieli e non viene a vedere di noi come
farebbe qualunque padre e madre?
In
realtà i cieli sono già stati strappati e lui è già venuto giù a
vedere di noi. L'Avvento è la celebrazione e l'attualizzazione di
questa venuta. Ma allora cosa non ha funzionato? Non basta strappare
i cieli. ci dice chiaro e tondo Gioele, che leggeremo nel primo
giorno di quaresima: "Squarciate il vostro cuore, non i vostri
abiti e ritornate dal Signore, vostro Dio" (Gl 2, 13). Bisogna
che si apra anche il cuore del uomo e del mondo. Altrimenti Dio
rimane fuori ed è come se non fosse mai sceso giù. Non serve a
niente celebrare la venuta del Signore, se non riesce a entrare nel
nostro cuore. "Andiamo contenti incontro al Signore!".
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