martedì 3 dicembre 2013

06 Se tu strappassi i cieli

06 Se tu strappassi i cieli
L'Avvento è il tempo dello sperare e dunque il tempo di quelli a cui manca qualcosa, che aspettano qualcosa o qualcuno. Non è il tempo dei pasciuti o dei troppo pasciuti, ma di quelli che sono affamati e assetati, che vivono una situazione umanamente dolorosa, per non dire disperata. La speranza cristiana ha proprio questa connotazione specifica: non si basa sul fatto che le cose vanno bene, ma sul fatto che le cose vanno male. Che le robe non vadano bene, almeno dal punto di vista morale e spirituale, è tanto chiaro e tanto evidente che solo un prevenuto o un cieco o un superficiale può metterlo in dubbio.
Ritrae molto bene la situazione dei suoi tempi, che e può essere anche la nostra, il profeta Isaia, il grande cantore dell'Emanuel, della speranza personificata, divinizzata e umanizzata. "E noi tutti eravamo come impuri, e tutte le nostre opere buone come un panno macchiato: e tutti noi cademmo come foglie, e le nostre iniquità ci portavano via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si scuoteva per appoggiarsi a te " (Is 64, 5-6).
Ai fanatici del ottimismo banale, agli sbandieratori del "tutto va bene", il profeta mostra la cruda realtà. le nostre bandiere sono come quegli stracci che, nella nostra infanzia, le nostre madri e nonne rattoppavano fino che il punto teneva e che palesavano più di ogni discorso e indagine sociologica la nostra condizione sociale. Con la differenza che la nostra povertà era dignitosa, perché era pulita. In più noi non eravamo colpevoli, ma vittime. La sporcizia di cui parla il profeta è la sporcizia del cuore prima che dell'abbigliamento. Si tratta di una sporcizia morale, di un infezione che ci prende e ci tormenta dall'interno, una sorta di marciume interiore. Siamo sporchi perché non siamo giusti, non siamo buoni, ci siamo allontanati da quell'acqua benedetta che pulisce e ricrea. Per ciò siamo come quelle foglie che il ventaccio crudo del autunno porta via senza remissione.
Allora ti viene voglia di gridare, come ultima speranza o utopia: "Se tu strappassi i cieli e venissi giù!" (Is 63, 19). Se Dio facesse il miracolo di strappare una volte per tutte quel velo che ci divide dal assoluto, dal definitivo, dal vero, dal santo! Se il mondo è così malmesso, con tanto gente che geme e soffre, con tanta cattiveria incrociata, perché non fa un passo, l'unico che serve e basta? Perché non squarcia i cieli e non viene a vedere di noi come farebbe qualunque padre e madre?
In realtà i cieli sono già stati strappati e lui è già venuto giù a vedere di noi. L'Avvento è la celebrazione e l'attualizzazione di questa venuta. Ma allora cosa non ha funzionato? Non basta strappare i cieli. ci dice chiaro e tondo Gioele, che leggeremo nel primo giorno di quaresima: "Squarciate il vostro cuore, non i vostri abiti e ritornate dal Signore, vostro Dio" (Gl 2, 13). Bisogna che si apra anche il cuore del uomo e del mondo. Altrimenti Dio rimane fuori ed è come se non fosse mai sceso giù. Non serve a niente celebrare la venuta del Signore, se non riesce a entrare nel nostro cuore. "Andiamo contenti incontro al Signore!".

Nessun commento:

Posta un commento