domenica 8 dicembre 2013

07 La consolazione di Dio



07  La consolazione di Dio
Il profeta tipico della speranza e il grande cantore dell’ Avvento è Isaia. In realtà gli esperti  dicono che non si tratta di un solo autore, ma di due o addirittura di tre. Il "Deutero-Isaia" o secondo Isaia inizia la sua profezia con le parole che poi hanno dato il titolo a tutto il libro, chiamato "Libro della consolazione". Inizia così: "Consolate, consolate il mio popolo, dice il Signore. Incoraggiate il cuore di Gerusalemme e fatele sapere che la sua schiavitù è finita, che la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore  doppia punizione per tutti i suoi peccati" (Is 40, 1-2).
Credo che la fede, la religione, la Chiesa abbiano un compito solo, una sola funzione e missione: consolare il popolo di Dio che, con l'incarnazione del Signore e la sua redenzione, è diventato il mondo intero. La Chiesa deve gridare fino a che le viene la gola secca che il Signore vuole bene al mondo., che non abbandona gli uomini anche se loro abbandonano lui, che lui troverà sempre il modo di farli uscire dalla loro malattia o morte fisica o morale, perché è un Dio terapeuta, un Dio che guarisce e ci dà vita. Addirittura riesce a portare la vita nel luogo costituzionalmente senza vita, il deserto. Di fatto nel deserto Dio chiede di aprire una strada. Per dire che lui non conosce limiti alla sua creatività e fantasia.
Che il mondo intero, e ognuno di noi, abbia bisogno di consolazione, non è il caso di sprecare tempo e parole. Lo sentiamo, lo vediamo, lo proviamo ogni giorno. Che la vita sia un tormento e la terra una valle di lacrime non è una novità legata al consumismo o alle follie massmediatiche. Il male è sempre esistito e ci accompagnerà fino alla fine. E noi dobbiamo consolare gli uomini. Non col sentimentalismo o la banalità del "Coraggio! Speriamo che cambi!", ma predicando in tutti i toni e in tutti i luoghi che  sta giungendo, anzi è già arrivato quello che carica sulle sue spalle il peso del nostro vivere e del nostro combattere e soprattutto il peso delle nostre colpe individuali e collettive. Il figlio di Dio viene a prendere sulle sue spalle non solo la pecora malata, ma anche la pecora cattiva e la cattiveria assoluta, ovvero il "peccato". Consolare significa confortare, dare forza, rinvigorire le braccia stanche e le ginocchia ballerine. Non significa togliere il peso del vivere, ma dare la forza per affrontarlo in maniera positiva e salvifica.
Ma perché Dio, invece di chiederci di consolare il suo popolo calpestato e tribolato, non toglie il male fisico e morale? Non può? Non vuole? E' l'eterna domanda che  tormenta gli uomini sul mistero di Dio, I rabbini cercano di dare una risposta ricorrendo al paragone del padre e della madre. Un padre e una madre sono liberi di non mettere al mondo i figli ma, una volta che li hanno messi al mondo, non sono più liberi di non voler loro bene e di non sopportarli quando li fanno morire di crepacuore. Anche Dio era libero di farci, ma adesso non è più libero e, davanti alla nostra cattiveria, mancanza di gratitudine e di cervello, si tira in parte, si ricava un angolino tutto per se, dove  piange sulla nostra brutta condizione e sul suo fallimento. Per questo una lettura differente di Isaia dice: "Consolatemi, consolatemi, popolo mio". Anche Dio ha bisogno di consolazione e di conforto. E anche noi, poveri vermi della terra, possiamo non solo chiedere la consolazione di Dio, ma consolarlo. Come ogni figlio avveduto e di cuore che riempie di lacrime gli occhi del genitore. Ma di lacrime dolci.

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