08 Figli del
concilio
La Chiesa ha celebrato, l' 8 di dicembre, i
quarant'anni della conclusione del Concilio Vaticano II. Per combinazione, la
mia classe si è trovata a studiare teologia una situazione psicologica curiosa:
studiavamo cose che si sapeva o si sperava che le avrebbero cambiate e non avevamo
sotto mano le novità. Di fatto abbiamo quarant'anni di messa, la stesse età del
concilio. Ma, se non ci arrivavano i documenti, ancora in gestazione, ci giungeva
l' eco di quella cosa grande che stavano facendo a Roma, dove una Chiesa,
gelosa e ossessionata della sua tradizione, stava assaggiando un clima nuovo di
libertà e di pluralismo, una autentica rivoluzione. Una rivoluzione profonda,
non di facciata, una conversione radicale nei rapporti tra Chiesa e mondo.
Quello che si chiamava e si sentiva come "lo Spirito del concilio".
Per la Chiesa,
abituata a misurarsi con i secoli, quarant'anni sono un tempo sufficientemente
corto per mettere in opera un concilio. Soprattutto se si pensa che il concilio
di Trento (1545-1563), è durato per quattro secoli e dura tuttora. Ma
quarant'anni sono anche una eternità, come il tempo che i figli di Israele
hanno vissuto fra la liberazione dall'Egitto e la sistemazione nella terra
promessa. Soprattutto se si pensa all'accelerazione dei nostri tempi, dove in
una generazione si vedono più novità che nei secoli precedenti. E' per questo
che qualcuno domanda un nuovo concilio, mentre altri chiedono più pazienza. E, come sempre, le
strade si dividono e le opinioni si contrastano. Chi esalta la fedeltà della
Chiesa, soprattutto gerarchica, al concilio e chi grida al tradimento, chi
parla di primavera e chi di autunno, chi sente il soffio dello spirito che
continua a soffiare e chi sente vento pesante e stagnante di restaurazione.
Come sempre, ci sono ragioni pro e contro.
Personalmente, per quello che può valere il giudizio
di questo figlio del concilio, anche se ultimo, dico che non si può parlare di
tradimento, perché non è stato tradito niente, ma di ridimensionamento e di
ripensamento. Un poco per colpa della paura dei reazionari e un poco per colpa
di quelli che, con troppa fretta e con poca intelligenza, si sono accontentati
della novità esteriore del concilio, con qualche stramberia e banalità. Mi
riferisco alla distruzione di un patrimonio splendido come la tradizione musicale
e liturgica latina per lasciare il posto al niente. O la fretta di girare
l'altare verso la gente senza preoccuparsi di girare la testa e il cuore. O di
tradurre nelle lingue del popolo senza trovare una nuova formulazione dal
mistero.
Ma ciò che trovo
più preoccupante e deludente è che è sparito lo Spirito del concilio, la
passione per la Chiesa e della Chiesa per il mondo, la stima profonda e la
simpatia genuina per tutto ciò che Dio
opera nella storia degli uomini. Una Chiesa che non ha grande fiducia nella
maturità e responsabilità degli uomini. Abbiamo ancora una Chiesa
autoreferenziale e sempre in cattedra a mettere voti come una maestra zitella,
più che come una nonna che guarda con
simpatica ironia ciò che combinano i nipoti. Per non dire della poca udienza
che ha il popolo di Dio, rimasto spettatore e fruitore di ciò che combinano in
alto, ma non attore e protagonista. Per non parlare dei vescovi e delle
conferenze episcopali e dalle grandi assemblee continentali, che dipendano
sempre di più da una curia romana rinforzata e accentratrice come mai.
Sono partito con il desiderio di quel disordine creativo
dello spirito che getta al vento le carte piene di (santa) muffa e mi trovo
alla fine della mia carriera con pacchi di avvisi e pronunciamenti su tutto e
di tutto, come i bambini di asilo. Ma niente m'impedisce di pensare a quel
evento come a un fatto provvidenziale e di sentire la nostalgia di quella
stagione così grande, anche se corta come tutti i sogni.
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