domenica 15 dicembre 2013

08 Figli del concilio



08 Figli del concilio
La Chiesa ha celebrato, l' 8 di dicembre, i quarant'anni della conclusione del Concilio Vaticano II. Per combinazione, la mia classe si è trovata a studiare teologia una situazione psicologica curiosa: studiavamo cose che si sapeva o si sperava che le avrebbero cambiate e non avevamo sotto mano le novità. Di fatto abbiamo quarant'anni di messa, la stesse età del concilio. Ma, se non ci arrivavano i documenti, ancora in gestazione, ci giungeva l' eco di quella cosa grande che stavano facendo a Roma, dove una Chiesa, gelosa e ossessionata della sua tradizione, stava assaggiando un clima nuovo di libertà e di pluralismo, una autentica rivoluzione. Una rivoluzione profonda, non di facciata, una conversione radicale nei rapporti tra Chiesa e mondo. Quello che si chiamava e si sentiva come "lo Spirito del concilio".
Per la  Chiesa, abituata a misurarsi con i secoli, quarant'anni sono un tempo sufficientemente corto per mettere in opera un concilio. Soprattutto se si pensa che il concilio di Trento (1545-1563), è durato per quattro secoli e dura tuttora. Ma quarant'anni sono anche una eternità, come il tempo che i figli di Israele hanno vissuto fra la liberazione dall'Egitto e la sistemazione nella terra promessa. Soprattutto se si pensa all'accelerazione dei nostri tempi, dove in una generazione si vedono più novità che nei secoli precedenti. E' per questo che qualcuno domanda un nuovo concilio, mentre altri  chiedono più pazienza. E, come sempre, le strade si dividono e le opinioni si contrastano. Chi esalta la fedeltà della Chiesa, soprattutto gerarchica, al concilio e chi grida al tradimento, chi parla di primavera e chi di autunno, chi sente il soffio dello spirito che continua a soffiare e chi sente vento pesante e stagnante di restaurazione. Come sempre, ci sono ragioni pro e contro.
Personalmente, per quello che può valere il giudizio di questo figlio del concilio, anche se ultimo, dico che non si può parlare di tradimento, perché non è stato tradito niente, ma di ridimensionamento e di ripensamento. Un poco per colpa della paura dei reazionari e un poco per colpa di quelli che, con troppa fretta e con poca intelligenza, si sono accontentati della novità esteriore del concilio, con qualche stramberia e banalità. Mi riferisco alla distruzione di un patrimonio splendido come la tradizione musicale e liturgica latina per lasciare il posto al niente. O la fretta di girare l'altare verso la gente senza preoccuparsi di girare la testa e il cuore. O di tradurre nelle lingue del popolo senza trovare una nuova formulazione dal mistero.
Ma ciò  che trovo più preoccupante e deludente è che è sparito lo Spirito del concilio, la passione per la Chiesa e della Chiesa per il mondo, la stima profonda e la simpatia genuina per tutto ciò  che Dio opera nella storia degli uomini. Una Chiesa che non ha grande fiducia nella maturità e responsabilità degli uomini. Abbiamo ancora una Chiesa autoreferenziale e sempre in cattedra a mettere voti come una maestra zitella, più che come una nonna che  guarda con simpatica ironia ciò che combinano i nipoti. Per non dire della poca udienza che ha il popolo di Dio, rimasto spettatore e fruitore di ciò che combinano in alto, ma non attore e protagonista. Per non parlare dei vescovi e delle conferenze episcopali e dalle grandi assemblee continentali, che dipendano sempre di più da una curia romana rinforzata e accentratrice come mai.
Sono partito con il desiderio di quel disordine creativo dello spirito che getta al vento le carte piene di (santa) muffa e mi trovo alla fine della mia carriera con pacchi di avvisi e pronunciamenti su tutto e di tutto, come i bambini di asilo. Ma niente m'impedisce di pensare a quel evento come a un fatto provvidenziale e di sentire la nostalgia di quella stagione così grande, anche se corta come tutti i sogni.

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