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Nella miseria di ogni uomo
Ancora
una volta "è comparsa la bontà di Dio nostro salvatore e il
suo amore per gli uomini" (Tt 3, 4) e noi ci prepariamo a
vivere, nel mistero e sotto i veli sacramentali, questo evento unico.
Un evento che ha rivoluzionato la storia, riconsacrato la terra,
ricreato il genere umano. Di fatto la storia non è più, o non
dovrebbe essere, la civiltà o inciviltà degli uomini senza o contro
Dio, ma il loro percorso con lui, diventato Emanuel, Dio con noi, Dio
come noi, Dio per noi. Non più una storia maledetta, ma una storia
sacra, un sentiero di santità. La terra, divenuta ostile a Dio e
inospitale per l'uomo, torna a essere il luogo della sua presenza e
dunque è terra santa, riscattata, purificata dal suo sangue e
fecondata dalla sua grazia.
Ancora
una volta celebriamo il mistero di quel Dio che non solo crea il
mondo, non si accontenta di contemplarlo nella sua bellezza, ma
pianta la tenda nel nostro deserto, viene "in casa sua".
Ma, aggiunge Giovanni, "i suoi non lo hanno accettato" ( Gn
1, 11). è questo incontro sempre desiderato e mai concluso, questo
rincorrersi come innamorati che non arrivano a prendersi e non
arrivano a stare da soli, questo arco iniziato e mai chiuso il
mistero del Natale. Un mistero di luce ma anche di buio, di brama ma
anche di ripulsa. E la liturgia, nella sua forza sacramentale, ci
dà ancora una volta la possibilità di incontrarlo, di contemplarlo,
di invitarlo a casa nostra, nella culla del nostro cuore.
Peccato
che un'occasione così splendida e forse irripetibile, con tante che
ne abbiamo oramai sprecate, rischi di diventare l'ennesima commedia,
dove tutto si risolve in lampadine colorate, mucchi di panettoni,
regali stupidi, canzoni dissacranti e banali. Natale festa
dell'esclusione, invece di festa dell'incontro. Natale festa
dell'evasione, invece di festa di un'autentica incarnazione nel
nostro cuore e nel mondo.
Bisogna
tornare a l'essenzialità, alla sacralità, alla serietà del Natale,
altrimenti è meglio abolirlo come hanno fatto Fidel Castro e i suoi
compagni dittatori. almeno in quei paesi si aveva la brama della
festa, invece dell'assuefazione e della nausea. Di fatto i grandi
consigli che vengono dati in questi giorni su ogni pulpito mediatico,
non sono di fermarsi nel silenzio della propria coscienza a fargli
largo un cuore carico e disordinato, ma come mettere vicino il cenone
della veglia e il pranzo del giorno. La grande questione non è di
riempirsi di luce e di avere l'anima leggera e contenta, ma di
mettere su qualche chilo e arrivare a mandarlo giù a celebrazione
finita. Una questione di dieta, di calorie, di linea, più che di
fede, di religione, di conversione.
Tutto
questo clima di luce artificiale, di addobbo esteriore, di consumismo
smodato, di falsa allegria, rischia di umiliare, emarginare, fare
patire ancora di più quelli che sono i primi, e gli unici,
destinatari della buona nuova del' angelo: i poveri, i piccoli,
quelli senza nome, senza storia, senza dignità, senza avvenire,
condannati a una eterna insignificanza.
Eppure
il Natale è e rimane la loro grande occasione di essere consolati e
gratificati. Natale non è il Natale del panettone, ma di quelli che
sono senza pane e. non è il Natale dalle pellicce, ma di quelli che
tremano di freddo. Non è il Natale dalle strade inondate di luce
artificiale, ma di quelli che si tirano vicino l'uno all'altro, in
una cova, facendosi luce e scaldandosi con una candela. Non è il
Natale dei fortunati, ma dei falliti. E Dio guarderà le loro
lacrime, più che le nostre facce pasciute. Intanto che noi ci
riempiamo di presepi e di bambinelli, il figlio di Dio va a cercare
l'ultimo angolo sociale e umano e li, solo li, ripete il grande
miracolo. E' nella miseria di ogni uomo che il figlio dell' uomo
cerca e costruisce la sua casa benedetta.
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