venerdì 4 febbraio 2011

02 Troppe voci rischiano di soffocare la Voce


02 Troppe voci rischiano di soffocare la Voce

Le campane di Basagliapenta suonano ogni giorno, regolarmente. E, regolarmente, nessuno le sente suonare, tranne quelli che hanno l’abbonamento mattutino. Nei giorni scorsi ho avuto l’influenza e le campane sono rimaste mute. Tanto silenziose che anche chi non frequentava la messa si è accorto che il prete era rimasto a letto.
Da ciò ho tratto due conclusioni. La prima, consolante, è che la presenza del mondo religioso è più grande del numero delle persone presenti alla messa.
La seconda è che certe cose sono condannate a diventare significative quando vengono a mancare. Come la madre, il fuoco, la luce, la salute. O anche il prete o una chiesa chiusa.
Non sarebbe meglio accorgersene prima, quando si è ancora in tempo e si potrebbe godere di questi regali? Sarebbe meglio sì, ma non sarebbe in linea con la realtà della vita, fatta per lo più di errori aggiustati alla meno peggio che di cose indovinate.
Meditando accanto al fuoco dello spolert, ho letto il vangelo, laddove raccontava di Giovanni riportando le parole del grande profeta Isaia: “Voce di uno che grida nel deserto: Spianate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri.”
E ho iniziato a ragionare riguardo questa voce, solitaria, che grida nel deserto. In una domenica a Udine, ci sono oltre cento messe. In giro per il Friuli ogni prete legge due o anche tre volte questo vangelo. Inoltre ci sono i bollettini, i catechisti, i gruppi di preghiera e del vangelo, le prediche alla radio e alla televisione, i libri, i fumetti, i sistemi audiovisivi come le videocassette, che il papa ha definito “un mezzo insostituibile per la diffusione del vangelo” (forse chi le vende si è fatta un’idea leggermente diversa!) Insomma questa voce solitaria viene moltiplicata per mille, per centomila, per milioni di volte.
Come mai allora si fa tanta fatica a giungere al cuore della gente e a svegliarla?
Io avrei la mia idea. Non è che le persone siano digiune della parola. L’hanno ascoltata tante, troppe volte e pronunciata in maniera ripetitiva, scontata, moscia, poco convincente, come se anche quelli che la proclamavano avessero perso la sensazione della straordinarietà di questa voce solitaria in un luogo solitario.
Direi piuttosto che è pasciuta, stanca, come ingolfata. Tornare a insistere ora è solo caricarsi di nervoso e stancare ancora di più.
La medicina contro questa apatia viene chiamata “nuova evangelizzazione”. Un assalto globale e generale del bene sul male, della verità sulla bugia, della luce sul buio. E con un armamentario imponente di uomini, di soldi e di strutture.
Ma se la gente è ingolfata, e confusa da tante voci e parole, non sarebbe forse il caso di fare questa evangelizzazione, sacrosanta, in una forma veramente nuova? Come? Tacendo, pregando, pensando, contemplando. Ma soprattutto tacendo.
Così la gente, disintossicata, ritornerà ad avere nostalgia e necessità di parole e si preparerà di nuovo ad ascoltare, con piacere e con voglia. E la voce farà il suo effetto, ovvero tramutare in vita un luogo di morte come il deserto.
Una voce nel deserto è un segno di vita. Un altoparlante o un disco nel deserto danno l’idea che siano arrivate le giostre. Mille voci confusionarie e nella confusione tramutano tutto in un deserto.
Questi i miei ragionamenti in una domenica d’Avvento. Il medico dice che, con la febbre, devo anche, aver vaneggiato.

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