sabato 12 febbraio 2011

10 Troppi aggettivi vanificano la sostanza


10 Troppi aggettivi vanificano la sostanza x



Le “informazioni ecclesiastiche”mi hanno avvertito degli appuntamenti della vita diocesana. Il 2 febbraio è stata la giornata dedicata alla vita consacrata, cioè alle monache; l’11 febbraio, la Madonna di Lourdes e il Concordato poi c’è la giornata per i malati; in Quaresima si deve insistere sull’identità cristiana della famiglia friulana.
A dire la verità, questi sussidi mi aiutano solo ad arrabbiarmi. Prima di tutto perché mi tolgono la ricerca originaria e primaria del mistero liturgico, che viene utilizzata e banalizzata. E poi perché mi danno l’idea di un assalto del mondo cattolico per mettere etichette ovunque, col rischio che i troppi aggettivi tolgano tutta la vigoria del sostantivo. Perché la vera forza dovrebbe averla il sostantivo e non l’aggettivo, che segue. Ma forse è meglio passare al concreto.
Quando mi parlano di vita “consacrata”, riferita al religioso, mi fanno nascere il dubbio che possa esistere anche una vita non consacrata e che gli sposati valgano di meno. Così quando mi organizzano la giornata del malato, mi fanno dubitare che un malato non cattolico valga di meno e che il soffrire, già problematico e santo di per se stesso, abbia bisogno di una qualificazione confessionale.
Questo vizio di cattolicizzare tutto si trova anche negli oraganici diocesani e sovradiocesani. Così abbiamo medici cattolici, infermieri cattolici, universitari cattolici, maestri cattolici, professori cattolici, imprenditori cattolici, scuole cattoliche, volontari cattolici, esploratori cattolici, ospedali cattolici, stampa cattolica, senza contare le diramazioni all’interno di ogni movimento. Ma i cattolici hanno fatto di più e di peggio: hanno anche realizzato un partito cattolico e addirittura la banca cattolica. Con il risultato che hanno ottenuto un paese dei meno cattolici al mondo, almeno nelle scelte di fondo. Questo significa che tutte queste etichette o nascondono il vuoto, e dunque sono inutili, o servono solo al cristiano in piccole mafie, naturalmente “cattoliche”, e questo è pericoloso.
Smettiamola quindi di essere nominalisti, col gusto per gli aggettivi e le speculazioni, per ritornare al piacere per la sostanza, meno infiocchettata, ma più genuina.
E iniziamo a farlo con il linguaggio, che è sempre il riflesso di un pensiero. Finiamola allora di parlare di vita consacrata e parliamo solo di vita, laddove ogni espressione e diversificazione è sacra. Lasciamo stare anche la sofferenza cattolica, per rispettare e onorare il mistero della sofferenza, che ha sempre collegamento al sacrificio di Cristo. Che non si è mai sognato di darsi qualifiche (era maestro, non maestro cattolico) essendo lui puro sostantivo, anzi la Sostanza del Padre.
Così non parliamo dei cristiani “adulti”. O sono cristiani o non sono nulla. Finiamola anche con la ”Sacra Famiglia”. Basta “famiglia” , dal momento che la famiglia è sempre un sacramento di Cristo, in forma più o meno coerente e palese. Così lasciamo perdere il “Santo Padre”, dal momento che la paternità è già santa se è autentica. Se non è autentica non basta un aggettivo per santificarla.
Per la mia piccola comunità di Basagliapenta (e ognuno lo faccia per la sua) , chiedo che abbia sempre meno aggettivi e più sostantivi, che sia sempre meno sacrale e più santa, nel senso di genuina, che trovi la sua dignità a livello naturale prima che sacrale o confessionale. Perché la natura viene prima della grazia e sostiene la grazia. Lo ha detto uno che aveva una pancia grande, una testa fine e un cuore splendido: san Tommaso. Dunque bramo e prego di avere solo un paese e una chiesa. Senza aggettivi che invece di qualificare rischiano di squalificare.

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